Il senso d'inferiorità non è qualcosa di per sé patologico o patologico a priori, è infatti qualcosa che ci coglie spesso quando ci mettiamo a contemplare un abisso o una vetta montana o lo splendore del sole. Noi non siamo in grado di paragonarci a queste manifestazioni, così come non possiamo paragonare le nostre prestazioni fisiche alla potenza di un elefante, di un toro o alla velocità di una gazzella. Ciò che diviene patologica è la competizione che può suscitare da questo senso di inferiorità. Esso porta seco una serie di comportamenti coatti, reattivi automatici quali la coazione a diventare narcisisti o la coazione a diventare inibiti e depressi. Nel primo caso s'ingenera, per compensazione, una sorta di sindrome di superiorità o delirio di potere ed il tentativo conseguente di voler primeggiare o stabilire il dominio sugli altri, diventando critici verso persone che vivono meglio, che sono più capaci o più produttive o oggetto di maggiori attenzioni, che sono più amate o semplicemente più apprezzate. Nel secondo caso il senso di inferiorità crea un'inibizione tale per cui la persona diviene progressivamente più introvertita, fino quasi ad annullarsi. Se nel primo caso le relazioni sono compromesse a causa del comportamento tiranneggiante ed impositivo assunto dall'attore della sindrome di superiorità, nel secondo sono compromesse per l'isolamento in cui cade l'attore completamente inibito dal complesso di inferiorità. Qual è l'atteggiamento sano, salutare per evitare queste due posizioni estreme? Il coraggio della imperfezione. Tendere alla perfezione senza pretendere di essere giunti, camminare sul sentiero della perfezione senza mai darsi le arie di averla raggiunta, alimentando in noi una sana visione di nuove tappe da raggiungere, di nuovi livelli, di nuove realizzazioni, in modo da essere coscienti che la perfezione è sì una realtà ideale, ma nel momento in cui la si persegue dà i suoi frutti. È quindi evidente come il senso d’inferiorità sia esplicativo della sopraccitata dinamica di proiezione del conflitto: infatti, a causa di conflitti irrisolti si produce il senso di inferiorità, che innesca un senso di competizione, talvolta forsennata, lacerante e distruttiva, la quale porta ad entrare in conflitto con chiunque divenga l'oggetto di questa competizione e questo meccanismo, non può che produrre molta sofferenza. Noi possiamo infatti apprezzare qualcuno che canta meglio di noi, che suona meglio di noi, che corre meglio di noi, che danza meglio di noi, che dipinge meglio di noi, possiamo incontrare centinaia di persone che sanno fare centinaia di cose meglio di noi ed evitare il senso di inferiorità perché noi riconosciamo il senso inferiorità, noi riconosciamo di essere inferiori ad A, B, o C, o D. Come si può dunque evitare che questo naturale sentire degeneri poi in un complesso? La soluzione principale risiede nella scoperta di chi si è veramente, dei propri talenti e qualità, riscoprendo la propria ricchezza intrinseca ed altresì la propria unicità. Ciascun individuo è infatti identico solo a se stesso, è una realtà a sé, ha talenti propri ed è capace di essere soddisfatto in sé a prescindere dai talenti degli altri. Diventare sé stessi significa dismettere tutte le maschere “sarvopadhi vinirmuktam” (Caitanya Caritamrita Madhya Lila XIX.170).
Tratto da “Io e gli altri nel gioco della vita”, Corso serale di 3 lezioni tenute presso l'Aula Magna Fondazione Studi Bhaktivedanta, 20/27 Novembre e 4 Dicembre 2008.
Tratto da “Io e gli altri nel gioco della vita”, Corso serale di 3 lezioni tenute presso l'Aula Magna Fondazione Studi Bhaktivedanta, 20/27 Novembre e 4 Dicembre 2008.
Purtroppo, quando ci si confronta agli altri, non riuscendo a trovare in noi qualita'o volonta' sufficienti per essere riconosciuti utili in un certo gruppo (anche spirituale) si rischia di auto emarginarci e decidere di non giocare piu'...
RispondiEliminaExcellent.
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