domenica 31 maggio 2009

LA PSICOSOMATICA NELLA LETTERATURA INDOVEDICA (PARTE SECONDA).
di Marco Ferrini.

IL POTERE DELLA MENTE.
Per alcuni potrebbe sembrare incomprensibile come un’immagine formatasi nella mente possa avere effetto sulle funzioni fisiologiche, arrivando persino ad arrestare malattie tanto gravi come ad esempio forme tumorali incurabili. Secondo la moderna fisica subatomica, nel cervello umano l’immagine memorizzata di una cosa può avere altrettanto impatto sui sensi quanto la cosa stessa. In realtà l'immaginazione è già creazione di una forma, poiché essa implicitamente possiede già in sé tutti i parametri necessari per metterla in atto(1). Queste recenti acquisizioni scientifiche confermano il punto di vista della tradizione indovedica, la quale spiega come la genesi dell’azione vada ricercata in ultima analisi nel desiderio che genera il pensiero, il quale possiede di per sé un’enorme forza creativa che, se lasciata fluire correttamente, esplicita lungo il suo percorso tutte le proprie potenzialità, passando dal livello sottile a quello grossolano e arrivando persino a modificare la realtà delle cose. Dunque immaginazione e realtà, pensiero e azione sono fondamentalmente inscindibili; non dovremmo perciò sorprenderci che immagini presenti nella mente possano alla fine manifestarsi come realtà fisica. In altre parole, i nostri corpi rispondono non alla realtà, bensì a ciò che noi immaginiamo reale. L'efficacia del placebo è dimostrazione evidente di come psiche e corpo interagiscano in continuazione e siano troppo interconnessi per essere trattati come entità separate. Secondo Bohm, il sistema mente-corpo non è fondamentalmente in grado di distinguere la differenza tra gli ologrammi neuronali che il cervello usa per sperimentare la realtà e quelli che evoca quando immagina la realtà. In tutti i casi comunque gli elementi che vanno a formare questi ologrammi neuronali sono molti e molto sottili. Giocano ad esempio un ruolo fondamentale le speranze e le paure, i pregiudizi e le credenze individuali. L'immaginazione, a seconda della qualità dei suoi contenuti, può dunque causare malattie oppure curarle. Per mettere in atto quest’ultima benefica potenzialità è indispensabile attenersi ad una disciplina mentale che permetta al soggetto di controllare la propria attività psichica (in assenza di ciò i medici debbono ricorrere al placebo cercando di indurre inconsciamente il paziente ad attingere alle forze guaritrici presenti dentro di sé). In questo ambito l’importanza dello Yoga è più che mai fondamentale poiché insegna la disciplina per il dominio della mente e per il pieno e corretto utilizzo di tutte le sue infinite potenzialità, le quali possono apportare benefici enormi su tutti i piani esistenziali, incluso quello fisico. Quando infatti si riescono a penetrare livelli di coscienza elevati, la forza della mente può arrivare persino a prevalere sui caratteri genetici (cfr. Bruce Lipton “La mente è più forte dei geni”). Ovviamente quanto più la consapevolezza è profonda, tanto maggiori saranno i cambiamenti che riusciremo ad attuare sia nei nostri corpi che nella realtà attorno a noi. L’essere umano vive dunque in un universo nel quale anche un solo cambiamento di attitudine o di modo di pensare può stabilire la differenza tra la vita e la morte, tra la salute e la malattia, e nel quale le cose sono così sottilmente interconnesse che anche un sogno o un’immagine possono diventare realtà. I miracoli accadono non in opposizione alla natura ma in opposizione a ciò che noi conosciamo della natura, affermava Sant’Agostino. In definitiva corpo e mente rappresentano due entità solo apparentemente distinte, così come materia ed energia. Tutto ciò che è fisico, i Veda insegnano ed alcuni esponenti di spicco della fisica moderna confermano, non è altro che energia mentale cristallizzata. Nella scienza medica dell’Ayurveda, l’aspetto psicologico e l’aspetto fisiologico, vista la loro stretta connessione, non vengono trattati separatamente ma studiati e curati di pari passo. Questo perché lo stato di salute può essere effettivamente ristabilito, con risultati totalmente soddisfacenti e duraturi nel tempo, solo se la cura è di tipo olistico, se cioè tiene di conto di tutte le diverse componenti che, nel loro insieme, costituiscono quel micro universo che è l’essere umano: la componente fisica, psichica e spirituale. Il corpo fisico e quello psichico, cioè il complesso corpo-mente, debbono venir armonizzati perché, una mente disarmonica rispetto al corpo o un corpo disarmonico rispetto alla mente, generano sofferenza e di conseguenza malattie e infermità. Niente ha più potere sul corpo quanto le convinzioni della mente. L’armonia è un assaggio di liberazione; è la chiave per ripristinare uno stato di salute totale riappropriandosi della propria inesauribile riserva di energie, indispensabile per scalare le vette della consapevolezza più elevata.

(1) Cfr. Michael Talbot, Tutto è uno, ed. URRA, 1997, p. 103.

lunedì 25 maggio 2009

LA PSICOSOMATICA NELLA LETTERATURA INDOVEDICA (PARTE PRIMA).
di Marco Ferrini.


LA RISONANZA FRA PIANO FISICO E PIANO PSICHICO.
Secondo la psicologia indovedica l'essere umano risulta come un paradosso costituito da profonde aspirazioni interiori che contrastano con bisogni fisici oltremodo impellenti. La differenza tra il sé e il corpo, nel quale il sé temporaneamente abita, dovrebbe diventare una profonda, costante consapevolezza perché, quando l’individuo si identifica con gli strati più superficiali della propria personalità, l’universo interiore sembra frantumarsi e il soggetto è costretto a sperimentare con dolore il suo fallimento intimo. A questo fine fondamentale da sviluppare è la consapevolezza dell’essenziale differenza tra spirito e materia, tra il sé e il corpo, tra il sé e la mente. Questo naturalmente non significa che il corpo e la Natura, con tutti i loro elementi, debbano venir trascurati o disprezzati; vanno anzi apprezzati e curati nel migliore dei modi, in quanto strumenti preziosi che possono permettere di fare in questa esistenza un viaggio agevole e in ascesa, rivolto alla conoscenza e all'elevazione etico-spirituale. Per apprendere la capacità di auto-disciplina e sviluppare al meglio le proprie potenzialità occorre diventare consapevoli anche di quanto corpo e psiche siano interconnessi ed interdipendenti: ciò che avviene sul piano fisico influenza lo psichico, ma è ancor più vero che quanto accade sul piano psichico influenza notevolmente il fisico. Gran parte delle malattie del corpo deriva infatti da disagi o da malesseri mentali. Sembra sia stato ormai scientificamente dimostrato che, ad esempio, perfino in gravi patologie quali i tumori, le malattie cardiocircolatorie o l’invecchiamento precoce, la componente stress abbia una rilevanza notevole. La letteratura psicologica indiana afferma che ogni organo, tessuto, cellula, molecola e atomo del corpo è irrorato di psiche e che il sistema nervoso cerebrospinale rappresenta il canale fisiologico principale attraverso cui la mente opera nel corpo, senza però che l’influenza del “pensare” e del “sentire” sia limitata ad esso. Se il soggetto intrattiene pensieri positivi ed elevati, fondati su valori quali la veridicità, la lealtà o la compassione, l’intero organismo, attraverso impulsi elettrochimici associati a ciascun pensiero (le cosiddette cellule-messaggere), riceve questi stessi stimoli positivi, che provocano un’immediata fortificazione del sistema immunitario, che invece si indebolisce gravemente in presenza di pensieri o emozioni negativi quali paura, rancore, collera, concupiscenza, odio, malumore, invidia, delusione, ecc. Secondo l’Ayurveda, lo stato fisico di un individuo cambia col modificarsi dei suoi contenuti psichici e del suo stato di coscienza. In questo modo trovano spiegazione anche le cosiddette guarigioni miracolose o, con un linguaggio clinico, le remissioni spontanee. Similmente, tutto ciò che avviene nel corpo influenza inevitabilmente anche la struttura psichica, tanto che risulta evidente non solo l’esistenza di una connessione tra mente e corpo quanto una vera e propria risonanza tra i due. Anche il respiro, che possiamo considerare come una cerniera tra il fisico e lo psichico, ci conferma quanto questi due piani siano inscindibilmente collegati, interagenti e interdipendenti. Attraverso il respiro si può infatti intervenire sui processi psichici e, influendo sullo psichico, si arriva a gestire il fisico. Nevralgie, dolori reumatici, crampi, sudorazione, affaticamento ed altri disagi organici, possono venir superati tramite la pratica del controllo del respiro (pranayama), branca che possiamo approfondire studiando gli Yoga-sutra(1). Sul versante psichico, ansietà, paura, emozione, stordimento, possono venir controllati attraverso una corretta gestione del respiro e le pratiche meditative, finché la mente si calma e la coscienza può accedere ad un livello di consapevolezza superiore.

(1) Cfr. Marco Ferrini Psicologia dello Yoga.

sabato 16 maggio 2009

LA MASCHERA TRASFORMA.
Antica Narrazione Cinese.


In un favoloso impero, viveva una principessa molto bella, unica figlia dell’imperatore. Venne per lei il tempo di sposarsi, e decise con suo padre, di non limitare le ricerche del suo futuro sposo alle sole persone di corte, ma di estenderle in tutto il regno. Così l’imperatore mandò i suoi messaggeri per cercare l’uomo più bello perché sapeva che l’interiorità di un uomo si manifesta nei tratti del suo volto. Un ladro ed assassino che viveva in una lontana provincia saputo del bando, si fece costruire dal miglior artigiano una maschera, perché la durezza del suo volto rivelava la sua crudeltà. Quando la indossò, vide davanti a sé un uomo gentile e fine, un uomo che aveva qualità di dignità, di forza e onestà, di gentilezza e amore. Fu prescelto senza esitazioni per diventare il futuro sposo della regina. Al ladro si presentò subito una terribile alternativa: sia accettando, che rifiutando il suo segreto sarebbe durato poco, con conseguenze facilmente prevedibili. Trovò un espediente, chiese alla principessa per ponderare la questione, la principessa fu molto comprensiva, l’idea le sembrò saggia ed accettò. Il ladro era considerato l’uomo più bello e più nobile del regno e, per non tradirsi doveva agire conformemente al suo aspetto, a come appariva. Per un anno intero, aveva sofferto e combattuto per vivere secondo i sentimenti che la maschera mostrava. Quando arrivò il giorno dell’incontro con la principessa, decise di dire la verità. Al che la principessa disse: “Sono stata ingannata, sarai libero solo se ti toglierai la maschera per farmi vedere qual è il tuo vero volto.” Il ladro si tolse la maschera con mani tremolanti, allora adirata la principessa disse ancora: “Ora mi stai ingannando, la tua maschera è perfettamente uguale al tuo volto.” Noi diventiamo l’immagine di ciò che il nostro cuore desidera.

giovedì 14 maggio 2009

L'IO, L'INCONSCIO E LE MASCHERE DEL SE'.
di Marco Ferrini.
L'uomo moderno è prima di tutto decontestualizzato, non sa quale posto occupa nell'universo e, se poco sa a livello fisico, ancora meno sa a livello psichico e quasi niente circa la propria natura più intima. Il Sé è quindi l'oggetto della nostra ricerca, come tanti scienziati nei campi della fisica, delle neuro-scienze, della microbiologia, sono alla ricerca di un'equazione, della definizione di un principio che sia capace di uniformare tutte le forze che agiscono nell'universo. Come già Socrate affermava, lo scopo è conoscere sé stessi, il precetto "Conosci te stesso" era scritto a caratteri cubitali, in pietra, sul frontespizio del tempio di Apollo a Delphi. Questa istruzione può apparire come banale ma non è così, in quanto le persone credono di conoscersi, ma di fatto, conoscono le maschere che si sono sovrapposte al Sé, all'atman. Tale confusione, produce uno smarrimento pari alla perdita di visione che caratterizza uno stato ipnotico, di sonnambulismo o lo stato di un soggetto narcotizzato; si ha un'idea di sé, ma distante dalla realtà, estranea alla realtà dei fatti. Finché il soggetto non conosce sé stesso, non può riconoscere le maschere. Acquisendo consapevolezza del più intimo Sé, il soggetto non solo riconosce le maschere, ma le indossa con una certa difficoltà e solo quando risultano indispensabili per operare in questa dimensione umana, come chi veste un abito essendo ben cosciente che è qualcosa che si può togliere e mettere. Dunque la personalità è una maschera che il soggetto indossa per stare in rapporto alla società e la maschera rappresenta una sorta di compromesso tra le istanze dell'individuo e quelle della società circostante.La società è un ballo in maschera e benché porti un grande rispetto per la maschera, per chi indossa e soprattutto per coloro che ne conoscono l'utilità, il mio rammarico va nei confronti di tutti coloro, purtroppo la stragrande maggioranza, che sono mascherati e non lo sanno. Tali persone si sono talmente identificate con la maschera, ad esempio il corpo, il ruolo sociale, il compito, che a causa di questa totalizzante identificazione, perdono di vista sé stessi. A volte una funzione come quella di sindaco, di senatore, di deputato, di cavaliere del lavoro, persino di scienziato, di grande chirurgo, di grande professore in un'università prestigiosa, produce quel tipo di identificazione che non permette più di conoscere sé stessi ed il pericolo ulteriore è che anche a casa, in famiglia si indossi quella maschera, riducendo la propria vita relazionale, familiare e affettiva ad un disastro. Fortunatamente noi possiamo anche essere noi stessi. E' difficilissimo compiere un lavoro di destrutturazione di condizionamenti in questo intricato ginepraio delle maschere che si sovrappongono, inseguendosi e stratificandosi una sull'altra, poiché troviamo sempre una maschera che resiste, che non riusciamo a togliere al soggetto. E' maschera tutto ciò che ha relazione con il tempo e con lo spazio, perché noi siamo fuori dallo spazio e dal tempo. Quando io dovessi dire “sono nato 63 anni fa nel tal posto” ecco, quella è una maschera, è una delle condizioni che mi impone l'ego, perché non è vero niente che io sono nato 63 anni fa nel tal posto; se affermo “ho preso questo corpo 63 anni fa nel tal posto”, siamo un po' più vicini alla realtà, ma non è ancora veramente esatto, perché io questo corpo non l'ho preso 63 anni fa quando sono stato registrato nel registro delle natività dall'anagrafe. Dieci mesi lunari prima, sono stato introdotto in un ambiente di una matrice femminile, un ovulo femminile, dove si sono uniti assieme due pacchetti cromosomici, che si sono cominciati a mischiare e da quella interazione io, che non c'entro niente con questi pacchetti cromosomici, ho colto gli strumenti, gli ingredienti per costituire questo corpo. Quindi se c'è una certezza è che io non sono questo corpo. Poi chi sono, come vi ho già anticipato, è l'esito di un lavoro che c'è da fare. Non abbiamo bisogno di nessuna sostanza per compiere un viaggio esplorativo alle sorgenti della nostra psiche, alle sorgenti della nostra personalità e incontriamo, accostandoci con gioia, con calma e con dolcezza, a quel centro che è un punto che corrisponde perfettamente alla definizione euclidea secondo cui "non ha altezza, larghezza, lunghezza", ed un'altra scoperta formidabile è che "non ha neanche tempo". Noi siamo unità immateriali, a-spaziali, atemporali, immortali: è la mente che si è impigliata nello spazio-tempo e ha causato lo spazio-tempo, dunque, se si va oltre le maschere, si scopre un mondo meraviglioso, un mondo di straordinaria vitalità e varietà, imperniato sull'Amore, il cui termine sanscrito è prema-bhakti, e la devozione è l'espressione più immediata, più genuina di questo bisogno che ciascuno di noi ha, di dare e ricevere amore.

Tratto dall' omonima conferenza - Brescia, 14/06/2008.

venerdì 8 maggio 2009

AMARE CON AMORE di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).

Ogni persona è per propria natura desiderosa di amare ed di essere amata. In realtà la vita non ha altro scopo e in nient'altro trova il suo valore se non nell'amore, ma la cognizione certa di tale sentimento è un traguardo elevato e, come tale, richiede impegno, consapevolezza elevata, cura, sacrificio, coerenza, lealtà e verità. L’amore è un sentimento radiante, potenzialmente capace di espandersi all’infinito, in grado di dare completa soddisfazione all'essere rendendolo interiormente forte e autonomo, libero da condizionamenti, consapevole e maturo. Esso rappresenta il sentimento naturale e spontaneo della nostra matrice più profonda, della nostra spiritualità. Nella cultura diffusa dell’Occidente il vero amore è un po’ come l’Araba Fenice: mitologico, raro e spesso apparentemente irraggiungibile. Generalmente le persone sperimentano più di frequente l’eccitazione dei sensi, ma scoprono poi, con delusione e sofferenza, che non si tratta di qualcosa che nutre veramente, anzi, spesso depaupera corpo e mente di energie preziose. L’amore autentico è sperimentato da chi vive nella consapevolezza della sostanza autentica dell’essere e della realtà e dona una gioia duratura, profonda e indipendente da condizioni esterne. La cultura della società in cui viviamo è purtroppo impregnata di concetti falsi, superficiali, pericolosi, che inducono i cittadini-consumatori, che sono sempre in cerca di stimoli, di eccitazioni e di nuove promiscuità in equilibrio precario, a diventare assillati ricercatori non di amore ma di eros, se non addirittura di infima promiscuità. Quindi per riscoprire l'amore in tutte le sue speciali e sublimi sfumature (i rasa descritti nei testi della tradizione Bhaktivedantica) occorre prendere coscienza di noi stessi e della nostra natura più profonda, poiché tutte le problematiche della sfera affettiva sono collegate ad una percezione distorta del senso di sé. Il Vedanta, lo Yoga ed altre opere della letteratura indovedica descrivono l’essere incarnato come composito, poiché costituito biologicamente di un corpo oggetto dell’esperienza empirica, caratterialmente di una struttura psichica e spiritualmente di una essenza eterna e immutabile. Questa, l’atman, rappresenta il fulcro e baricentro della personalità, il centro unificatore di tutte le attività psicofisiche e sostegno stesso della vita. Il paradosso consiste in questo, che proprio di essa, della sua essenza vera l'individuo smarrisce la consapevolezza a causa dell’imporsi di condizionamenti strutturati. Questi ultimi rendono la persona schiava di una percezione e di una comprensione superficiale di sé, che la vincolano alla dipendenza da stimoli sensoriali e da passioni egoiche, da bisogni indotti. Tutti legami che però spesso appaiono insopprimibili, fino ad occupare l'intero campo della coscienza. Se l'amore è la più alta espressione dell'essere, l'eros lo si può paragonare ad un fuoco che divampa e tutto divora, fino a distruggere anche se stesso. In mancanza infatti di un processo di elevazione della coscienza, i desideri e le bramosie, frutto dell'identificazione con il corpo psicofisico, non diminuiscono con l’indebolimento del corpo, bensì sempre più incatenano al continuo sorgere e dissolversi di attrazioni e repulsioni (raga e dvesha) fondate su di un'affettività patologica che produce relazioni frustranti, con profonde delusioni e sofferenze. I grandi Maestri della tradizione Bhaktivedantica hanno insegnato come superare gli opposti e riscoprire il sentimento vero dell'amore attraverso la destrutturazione dei condizionamenti e la trasformazione e sublimazione delle proprie energie. Il processo chiamato sadhana-bhakti, che viene compiutamente descritto nella letteratura Bhaktivedantica, permette di avviare tale fondamentale opera di trasformazione, sublimazione e trascendenza delle pulsioni egoiche, consentendo di accrescere e valorizzare le qualità migliori di ogni individuo e renderlo capace di compiere quell’affascinante viaggio interiore che fa giungere dall’io al sé, dall’eros all’amore, dalla morte alla vita. Il segreto del successo per avvicinarsi sempre più a tale stato interiore dell'essere, fondato sulla più alta consapevolezza spirituale, non risiede dunque nella repressione di istinti e passioni. Infatti, questi, se repressi tendono a strutturarsi in maniera ancor più potente a livello inconscio. La soluzione non può essere nemmeno quella del loro libero sfogo che aprirebbe completamente le porte al dominio della coscienza da parte dell'ego o io inferiore. Quindi la realizzazione del sé e l'elevazione fino al sentimento dell’amore richiedono trasformazioni armoniche della personalità, scelte ponderate, svolte coscienti e sono l'esito di una serie di sforzi ben coordinati e costanti, volti a consentire il passaggio del potenziale umano dalle istanze dell’ego a quelle del sé, attraverso lo sviluppo delle più elevate qualità dell'anima. Come ha affermato anche Arthur Schopenhauer, “l'amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”. La conoscenza di immediato valore pratico che ci tramandano i testi millenari della tradizione Bhaktivedantica, con i loro tanti e significativi esempi di vite trasformate e di coscienze illuminate, oltre alla nostra personale esperienza nell'applicazione di tali metodologie, ci dimostrano che tale trasformazione dei sentimenti è possibile attraverso un processo di rieducazione della personalità. Cambiamento in cui pulsioni ed emozioni possono essere ri-orientate e rese propedeutiche a quell'evoluzione interiore che dall’inconsistente eccitazione dell’eros porta alla solida beatitudine della Bhakti, quindi del vero amore trionfante.

Per approfondimenti si consiglia la lettura del libro Dall'Eros all'Amore, di Marco Ferrini - Ed. CSB.

martedì 5 maggio 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE QUARTA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.

4. L'IDEALE DELL'AMORE COME FORZA TRASFORMATRICE.
L’umanità ha conosciuto diverse figure esemplari, le più grandi, quelle che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, sono quelle che erano animate dall’amore più elevato e questo le ha dotate di una forza trasformatrice straordinaria. Se invece l’amore che fa da propulsore è ad un livello meno puro, è misto con altri sentimenti, la capacità trasformatrice diminuisce sensibilmente e agisce solo su coloro che sono più predisposti alla correzione. Nella filosofia indiana esiste una dottrina della trasformazione chiamata parinama-vada, che può agire anche in senso involutivo. Il dharma è una forza immane, ineluttabile, ineffabile, onnipervadente che sospinge verso l’evoluzione, ma non è l’unica forza in campo, c’è anche la volontà umana. Solo quando la volontà umana si allea alle forze evolutive del dharma, la personalità si armonizza e segue la sua strada di ascesa interiore senza più incorrere in inciampi e frustrazioni. Da Buddha a Cristo a Krishna, tutti i grandi hanno convenuto nel dire che la vita incarnata è dolore, ma esso si placa se il soggetto sviluppa un buon rapporto con la propria guida interiore e se si collega al dharma. In questo modo le difficoltà diminuiscono visibilmente, finché la crisi per eccellenza, che è la morte, cessa di essere motivo di spavento e diventa la consapevole occasione di transizione verso un’esistenza superiore. La vita, infatti, non abbisogna del corpo fisico per manifestarsi, per godere o soffrire delle proprie esperienze, è piuttosto vero il contrario. Nel sogno ad esempio si vivono numerose situazioni a seconda di quelle che sono le componenti oniriche, indipendentemente dal corpo fisico. Una relazione ideale dovrebbe fluire tra anima e anima, nella consapevolezza della propria natura spirituale, e progredire dall’attrazione (ratim) allo sviluppo di intensità e gusto (ruci) nel relazionarsi, per poi passare a priti, ovvero allo sviluppo dell’affetto ed infine all’amore che si manifesta nel desiderio di servire e di far piacere all’altro ma che, nel suo stadio più evoluto, trascende un rapporto a due di tipo egoico e avvicina al bene universale, all’amore totale, ad una relazione che mette in contatto con l’universo, le creature, il creato e il Creatore. Nel processo evolutivo s’incontrano frequentemente sia gli ostacoli posti dagli altri, sia quelli creati dai brandelli della nostra vecchia personalità, dalle nostre precedenti abitudini ed antichi attaccamenti. Ma in quanto espansioni di Dio non corriamo mai definitivamente il rischio di perderci o rimanere soli, possiamo in ogni momento e in ogni circostanza risvegliare le nostre capacità creative superiori connesse alla natura spirituale che ci permettono di agire in maniera oculata e seminare bene per il nostro futuro attraverso la gestione sana di desideri, pensieri e parole. Queste capacità e facoltà latenti che noi tutti possediamo, si rinforzano o si indeboliscono a seconda dell’impostazione etico-morale che diamo alla nostra vita e in base al modello che scegliamo per scolpire la nostra personalità ed esistenza. Non sono sufficienti formule già fatte applicate astrattamente all’insieme delle persone; le autentiche evoluzioni non possono essere altro che individuali, non sono dunque semplicemente il frutto di un’adesione acritica ad una fede o denominazione religiosa, bensì l’esito di sforzi personali ben coordinati, costanti e determinati di chi anela alla luce, alla gioia, alla libertà e all’amore.

venerdì 1 maggio 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE TERZA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.

3. LA SUBLIMAZIONE DELL'INTIMITA'.
Una delle tensioni principali che possono nascere all’interno della coppia si verifica quando uno dei due soggetti, ricercando la pace e la gioia dello spirito, perde appetito ed interesse per i rapporti sessuali. La cultura moderna tende ad ingenerare la convinzione che il bisogno di sesso equivalga a quello dell’aria, dell’acqua o del cibo, ma le grandi tradizioni spirituali ci testimoniano una realtà ben diversa. Reprimere gli impulsi sessuali genera nevrosi, ma in chi? Solo in coloro che non hanno ancora la visione e l’accesso ai piaceri superiori. Fino a che una persona non è capace di sostituire qualcosa di meno elevato con qualcosa di più nobile, non può bruscamente tagliare i ponti a un’energia che è abituata a fluire senza ostacoli. Dal momento in cui la mente umana viene illuminata da una visione più ampia ed elevata, tutti gli atteggiamenti condizionanti che in precedenza avevano prodotto attaccamenti e dipendenze, vengono gradualmente superati e trasformati dalla pratica delle virtù, della conoscenza spirituale (jnana) e del distacco emotivo (vairagya) verso tutto ciò che non è utile al processo evolutivo. In questo modo il soggetto acquisisce una visione etica dell’uomo e del mondo dalla quale diviene impossibile prescindere nel pensiero quanto negli atteggiamenti. Non esiste un’inconciliabilità a priori tra rapporti intimi tra coniugi e vita spirituale. L’attività sessuale ha un suo compito e una sua funzione fino ad un certo livello evolutivo, raggiunto il quale il percorso spirituale trascende quelle necessità che solo allora scopriamo essere state mere proiezioni della mente. Bloccare la propria spinta passionale non è salutare, è piuttosto innaturale. Il processo di perdita d’interesse nei confronti delle componenti fisiche deve avvenire da sé, in modo armonico e permettendo l’accesso a piaceri superiori che porteranno a grandi trasformazioni. La regolazione sociale dei rapporti intimi è tutelata dall’istituzione della famiglia e dunque del matrimonio. Tale regolamentazione mira principalmente a limitare e contenere in un ambito più ristretto l’attività sessuale, proprio perché questi bisogni fino ad un certo stadio evolutivo sono ritenuti vitali, importanti da soddisfare, e dunque le persone sono invitate a sviluppare tali rapporti in una struttura socialmente e religiosamente protetta. Ma quella protezione, quella istituzione fatta essenzialmente per regolare gli impulsi, ha la funzione di permettere la crescita individuale fino a trascendere le ragioni stesse per cui la famiglia era stata formata. In altri termini, l’istituzione del matrimonio dovrebbe essere considerata come un contenitore che permetta una zona di evoluzione protetta, fino al momento in cui il livello raggiunto sarà così elevato che essa potrà essere trascesa. Secondo la tradizione alla quale ci riferiamo, l’uomo non è fatto per rimanere nei limiti dell’esistenza fisica, per appiattirsi sulla sola dimensione del corpo, ma piuttosto per riconoscere, scoprire e realizzare la propria natura spirituale, la quale per esprimere la propria gioia, creatività e amore ha tutti i poteri (siddhi) ad essa connessi. Dipende dalla persona se preferisce degradarsi o elevarsi; si deve lasciare all’individuo la libertà di gestire la propria sfera sentimentale, il proprio investimento affettivo, se in eros o in amore. Dobbiamo dare a tutti l’opportunità di muoversi secondo il proprio livello evolutivo, sperando ed incoraggiando ognuno a guardare verso la trascendenza. Occorre una grande lungimiranza e capacità adattiva da parte dell’intelligenza per non turbare gli altri e non essere a nostra volta da loro turbati. Affinché il nostro comportamento non crei anche seppur sottili imposizioni sui nostri interlocutori, è necessario essere molto cauti nel comunicare le nostre scoperte evolutive e il risveglio della nostra coscienza, per non indisporre, non turbare e non incorrere in atteggiamenti che tramuterebbero un gesto d’amore in una forzatura. Essere in grado di percepire dimensioni superiori permette di essere saldi in questa nostra visione; ciò non significa demonizzare o svilire la realtà fisica e nemmeno coloro che vi si dedicano interamente negando ogni ipotesi di realtà ulteriore.