venerdì 28 maggio 2010

LA FISIOLOGIA DEL DESIDERIO di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

"In verità si dice anche che l'uomo è fatto di desiderio: ma quale è il desiderio, tale è la volontà, quale è la volontà, tale è l'azione, quale è l'azione, tale è il risultato che consegue(1)".

Nel terzo capitolo della Bhagavad-gita Krishna analizza psicologicamente la fisiologia del desiderio. Ad una domanda cruciale di Arjuna: "O discendente di Vrishni, cosa spinge l'uomo a commettere errori anche quando non lo desidera, come se vi fosse costretto?", Krishna risponde: "E' lussuria soltanto, o Arjuna. Essa nasce dal contatto con l'influenza materiale della passione poi, trasformandosi in collera, diventa il nemico devastatore del mondo e la sorgente di ogni peccato(2)". Il desiderio frustrato produce collera, la quale scarica una serie di negatività sugli organi che governano il corpo e produce sofferenza, distruzione della memoria, del sapere e di conseguenza anche dell'equilibrio. Come ben sappiamo, vi sono persone che hanno pagato due soli minuti di collera con venti anni di galera o con la rovina totale sul piano fisico ed economico, oltre che su quello delle relazioni sociali. Quindi la collera va evitata, ma per poter far ciò occorre gestire il desiderio con molta attenzione. Nella Katha-upanishad come nella Bhagavad-gita vengono descritti la materia inerte (prakriti), i sensi (indriya), la mente (manas) ed infine l'intelligenza (buddhi). Nel terzo capitolo della Bhagavad-gita(3), Krishna spiega come la persona che è situata nel sé riesca a dominare e quindi a governare ed armonizzare gli impulsi sensoriali senza reprimerli. Non serve a nulla rimuovere, dimenticare, nascondere tra le pieghe della mente, perché questa lancerà comunque i suoi strali di protesta, disturbando tutte le funzioni dell'individuo, nel sonno e nella veglia. Il Supremo ha un altro piano: gestire l'energia inferiore elevando la coscienza e acuendo la consapevolezza. La trasmigrazione dell'essere da un corpo ad un altro è un fenomeno che avviene proprio in forza dei desideri coltivati e delle azioni compiute. Esiste una sostanziale causalità tra desiderio ed azione: il primo è infatti il seme della seconda. Il piano fisico è l'ultimo sul quale si manifesta la realtà; l'azione ha la sua origine nel desiderio, poi passa alla fase verbale per esplicitarsi infine sul piano degli elementi fisici. E' dunque essenziale comprendere bene la genesi e le dinamiche dell'agire per non ritrovarsi inermi di fronte a fatti compiuti, incapaci di gestire il proprio presente e di progettare il proprio futuro.

(1) Brihadaranyaka-upanishad IV.4.5. Traduzione ripresa da Upanishad Vediche, a cura di Carlo della Casa. Torino, UTET, 1976. P. 77.
(2) Bhagavad-gita III.36-37. La traduzione è di chi scrive.
(3) Cfr. Bhagavad-gita III.37-43.


Tratto da "Vita, Morte e Immortalità".

2 commenti:

  1. Tema molto interessante, mi piacerebbe ricevere un approfondimento sulla qualita' del desiderio, credo che ognuno di noi alle volte faccia fatica a distinguere sfere sottili in noi che a volte predominano trasformando lo scenario, come distinguere desideri spirituali da desideri materiali?E' attraverso l'adesione al dharma e agli shastra?Chi non ha un maestro spirituale in vita puo' cercarne uno di riferimento come insegnante, altrimento rischia di essere autoreferente e spinto dall'ego?

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  2. Il desiderio è ciò che sta nel cuore e che dipende dai nostri vissuti (presenti e passati), ciò che comunemente vengono chiamate impressioni latenti (samskara). Lo scopo è trasformare le impressioni presenti e non accumularne nuove che possono essere nocive. In questo senso l'aiuto di una guida, che ci possa orientare nella comprensione dei testi sacri (shastra) e nel seguire un modello di vita aderente a principi etici universali (dharma), può sicuramente aiutare. Il modello del "self made man" può in questa prospettiva essere pericoloso e fuorviante.

    Andrea Boni

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