mercoledì 16 dicembre 2009

IL VALORE DELLE RELAZIONI (PARTE PRIMA).
Di Marco Ferrini.


La qualità delle relazioni è garantita solo se sappiamo apprezzare il valore e le qualità degli altri e della relazione in sé. La carenza o addirittura la mancanza di tale apprezzamento produce un deserto relazionale. Per ovviare a ciò, primo passo indispensabile è imparare a riconoscere i pregi a chi li ha. Cosa dire, quando, quanto e a chi non è sempre facile da capire o da intuire: le relazioni umane sono un universo complesso. A volte mettiamo il cuore in una relazione, cerchiamo di svilupparla al meglio delle nostre possibilità, eppure non riusciamo a costruire con l'altro quel che era nelle nostre intenzioni. A noi spetta impegnarci e fare il massimo, con intento evolutivo, con gioia e desiderio di crescere assieme ma senza aspettative, sempre aperti alla risposta dell'altro, rispettando l'altrui libertà. Se davvero desideriamo imparare ad amare gli altri, non ci adageremo passivamente sulle persone sviluppando con loro relazioni morbose, di dipendenza, caricandole delle nostre aspettative e pretese egoiche e con queste soffocando la possibilità di interagire ed operare favorevolmente per il bene comune. Chi non riesce a mettere in pratica questo basilare principio, crolla con il crollare della relazione: perde quota e cade al suolo senza neanche aver avuto il tempo di accorgersene. Investiamo nelle relazioni le nostre migliori energie, tutta l'intelligenza e il cuore, ma facciamolo senza ammalarci di perfezionismo, essendo umilmente consapevoli degli umani limiti, nostri e altrui. Anche ciò ci aiuterà ad apprezzare il valore di ciò che stiamo costruendo. Per edificare una relazione, che sia di coppia, amicale, parentale o di Maestro-discepolo, tenete di conto dei tre principi fondamentali che Vitruvio stabilì come prioritari per l'edificazione delle costruzioni:

1) Stabilità
2) Funzionalità
3) Bellezza

Un edificio deve essere stabile, solido, capace di reggere agli urti del tempo e degli elementi della natura, e così una relazione. Non si può costruire su di un terreno fragile che non regge: si debbono necessariamente scegliere terreni solidi. Se abbiamo a che fare con un terreno fragile, occorre prima di tutto iniziare un lavoro di consolidamento del terreno stesso, prima di cominciarvi a costruire. Non si può consolidare il terreno e nel frattempo iniziare a costruirvi sopra: non funzionerà, per certo l'edificio non potrà reggere, così come una relazione non potrà reggere agli urti del tempo e alle sfide della vita se non è stata ben impostata, ben preparata, coltivata, rafforzata, maturata. Affinché si manifestino i propri ed altrui talenti e qualità, affinché si sviluppino le siddhi, ovvero le perfezioni nella relazione, e diventino sempre più fulgenti, in tutta la loro potenzialità espressa, occorre costruire su basi solide e per far ciò occorre operare con continuità, senza intermittenza, senza distrazioni o dispersioni di energie, viceversa le nostre possibilità di sviluppo e di realizzazione rimarranno incompiute, flebili come piccole lucciole che si accendono e spengono nel buio della notte. La discontinuità e i conseguenti sbalzi di umore, rovinano le relazioni e ogni cosa che si fa. Oltre ad operare con continuità per favorire il vigore, la tenuta e la stabilità delle relazioni, occorre impostare i nostri rapporti in base a ciò che è più funzionale alla nostra e altrui evoluzione. Una relazione può essere di per sé stabile e bella, ma se non è funzionale all'alto scopo che ci siamo prefissi, quale sarà il suo valore? Per imparare ad impostare le relazioni secondo il principio della funzionalità, è importante sviluppare le qualità della flessibilità, della duttilità, dell'elasticità, che ci permettono di scegliere a seconda della situazione in cui ci troviamo il comportamento più idoneo – per quel tempo (kala), luogo (desha) e circostanza (patra) - rispetto ai valori che ci siamo dati o che intendiamo perseguire. Infine, oltre ad essere stabile e funzionale, una costruzione secondo Vitruvio deve essere anche bella, e così ugualmente una relazione. Per quanto gli umani si siano sforzati di stabilire dei canoni estetici, il senso del bello è sempre sfuggito a rigidi schemi o a preimpostate categorizzazioni. La bellezza è proporzione, armonia, perfezione delle forme, ma anche quel certo “non so che” che rappresenta il fascino di una certa cosa, persona o relazione: la sua unicità. E così, se affiniamo lo sguardo, se eleviamo la coscienza, se purifichiamo il sentire, possiamo scoprire fascino e bellezza in ogni essere, in ogni relazione, realizzando che la bellezza è oltre la mera parvenza delle forme: corrisponde all'intima essenza di ciò che è. Nella tradizione il bello era infatti inscindibile dal buono, dalle qualità dell'anima. Avviare relazioni affettive basandosi su criteri di estetica superficiale, quella ingannevole delle forme, vuol dire condannarsi a fallimenti sicuri. “Non t'inganni l'ampiezza dell'entrare”, dice Minosse a Dante, e continua: “Bada di chi te fide”. Ciò è importante per non intraprendere relazioni frutto di scelte avventate, il cui esito non può essere che frustrazione, sofferenza, tante volte depressione e disperazione.

mercoledì 9 dicembre 2009

SEMINARIO INVERNALE CSB 2009/2010

La Scienza della Meditazione e la Trasformazione Evolutiva della Personalità. Analisi e commento del Kaivalya Pada.

Imparare l'arte della meditazione per favorire la liberazione dai condizionamenti e lo sviluppo della gioia nella relazione d'amore con Dio, con sé e con gli altri.


Pinarella di Cervia (RA), dal 27 Dicembre 2009 al 3 Gennaio 2010 - Struttura sul lungomare.

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LA STRUTTURA PSICHICA SECONDO LA PSICOLOGIA INDOVEDICA di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

Secondo la psicologia indovedica la struttura psichica prevede diversi livelli progressivamente di natura più sottile: un livello più superficiale (manas), di ricezione degli stimoli sensoriali, un livello che agisce come filtro rispetto a tutte le informazioni sensoriali in entrata e che seleziona le più importanti da elaborare ad un livello più alto, questo è il cosiddetto intelletto (buddhi) ed infine un livello inconscio (citta), deposito di tutte le tracce esperienziali vissute durante le diverse parentesi di vita. La psiche così descritta, qualunque sia il livello cui ci si riferisce, non ha luce propria né consapevolezza, ma è materia (prakriti). Essa è come un diamante che solo quando è attraversato dalla luce la rifrange e la rende colorata secondo la sua composizione e purezza. Infatti, così come le pietre semi-preziose possono rifrangere la luce solo in parte, la mente non è sempre in grado di riflettere completamente la luce della coscienza, ma può agire come un prezioso diamante, solo quando è resa trasparente, purificata da tracce negative inconsce (samskara)(1) che determinano tendenze distorte nella personalità (vasana)(2), creando ostacoli (anartha)(3) alla elevazione della coscienza. Tutti questi elementi giocano un ruolo contrario alla volontà dell'anima e si frappongono a livello psichico distorcendo il puro fascio luminoso della coscienza. Da bambini avete mai giocato a riflettere la luce del sole con uno specchio? Se osservate un fascio di luce riflessa in uno specchio, l’effetto abbagliante non è originato da quest’ultimo, che ne è solo il rifrattore. Così la struttura psichica non genera la personalità, ma la riflette; così come un oggetto che, riflesso in uno specchio deformante, produrrà un’immagine deformata, similmente la personalità riflessa da una psiche condizionata apparirà anch'essa deformata, patologica. Ecco perché, concordemente, tutte le più grandi tradizioni spirituali sottolineano quanto sia importante la purificazione della psiche (mente e cuore, simbolici siti di pensieri, emozioni, sentimenti). Quando un individuo porta la propria consapevolezza spirituale ad un livello più alto meglio controlla i propri pensieri, emozioni e sentimenti ed evita così di venire sbandato da pensieri ed emozioni disturbanti.

(1) Con samskara ci si riferisce ai semi causali dell’azione, impressioni psichiche latenti, tracce esperienziali situate a livello inconscio accumulate durante le diverse parentesi esistenziali. Il termine di per sé non è negativo, si possono infatti trovare sia samskara positivi sia samskara negativi, nel testo ovviamente si precisa la necessità di purificare la mente da samskara specificatamente negativi.
(2) Tendenze mentali inconsce che muovono l’essere all’azione, prodotte dall'accumulo di numerosi samskara simili e che a loro volta producono nuovi samskara della stessa natura, durante l'esperienza presente e le esistenze precedenti. Il termine di per sé non è negativo, si possono infatti trovare sia vasana positive sia vasana negative, nel testo ovviamente si precisa la necessità di purificare la mente da vasana specificatamente negative.
(3) Tradizionalmente considerati come i più veri nemici dell'uomo, i sei anartha, 'ostacoli (an-) [alla realizzazione dello] scopo (artha)' sono: kama (cupidigia, desiderio, lussuria), krodha (ira, rancore), lobha (avidità), moha (illusione, smarrimento), mada (superbia) e matsarya (invidia). Il termine indica anche ciò che è privo di scopo, significato, finalità.
Tratto da Pensiero, Emozioni e Realizzazione di Marco Ferrini.

lunedì 30 novembre 2009

LA VALORIZZAZIONE DI SE' E DEGLI ALTRI PER SUPERARE DISISTIMA E CONFLITTI di Diana Vannini.

Le persone vanno amate non per quello che fanno, ma per quello che sono. Ogni individuo è unico e speciale in quanto scintilla divina; non sono le abilità o le qualità esteriori che dimostra a conferirgli valore, sebbene questi due aspetti siano intrinsecamente connessi. Ciascun talento ha infatti origine in tale matrice divina e rimane allo stato potenziale o si esplicita a seconda del livello di coscienza dell'individuo che ne è portatore. Sarebbe sciocco abbattere un pesco in inverno perché i suoi rami appaiono spogli, poiché ad una osservazione più attenta questi si rivelerebbero costellati di minuscoli boccioli, in attesa solo del calore necessario per schiudersi; allo stesso modo sarebbe ottuso considerare una persona priva di qualità solo perché esternamente prevalgono aspetti negativi della sua personalità. In realtà ogni creatura ha abilità ed aspetti luminosi, se non manifesti, almeno in nuce, in quanto pervasa da energia divina, fonte inesauribile di talenti, qualità, in sanscrito shakti o siddhi. Riconoscendo dunque questa universale matrice divina, che altresì rappresenta la più intima natura di ogni essere vivente, noi siamo chiamati ad espandere il nostro amore in maniera incondizionata, non indirizzandolo esclusivamente verso chi in apparenza più si lega a nostri gusti o tendenze contingenti, o ci pare colmo di talenti da ammirare ed emulare(1). Noi possiamo far risuonare diffusamente il flusso d'affetto che dal cuore dipana, facendo sì che questo, come un'accogliente chioccia, possa covare la maturazione di qualità, manifestazioni del divino individuale, anche in chi non pensa di averne. Disprezzare le persone focalizzandosi su ciò che di negativo hanno è una terribile offesa, non solo a loro stesse, ma a questa natura divina più profonda: possiamo non essere d'accordo su un particolare atteggiamento o comportamento, ma non dobbiamo identificare l'individuo con quel particolare atteggiamento o comportamento. Nel momento in cui lo osserviamo oltre i dati esteriori comprendiamo che ciò che di negativo è in lui, altro non è che frutto di una distorsione psichica che nulla ha a che fare con la sua reale identità, nitya svarupa. Di fronte a tale soggetto dovremmo piuttosto sentire nel cuore un'attitudine costruttiva e compassionevole, pari a quella che potremmo sperimentare se incontrassimo qualcuno che è appena scivolato in una pozzanghera infangandosi dalla testa ai piedi: potremmo forse criticarlo o sbeffeggiarlo? O meglio, criticarlo o sbeffeggiarlo sarebbe di qualche utilità per lui? Semmai il contrario. Sposando un'attitudine empatica e misericordiosa il cuore ci suggerirebbe di offrire allo sventurato un panno con cui asciugarsi o pulirsi; allo stesso modo, incontrando qualcuno che suo malgrado ha un'attitudine offensiva o dimostra ancora immaturità caratteriali e forti condizionamenti, dovremmo cercare di offrirgli uno strumento di purificazione, attraverso le parole o ancora meglio attraverso il nostro personale esempio, per far sì che il fango dell'ego non sovrasti completamente la sua scintillante natura divina. Anche apprezzare smisuratamente le qualità esteriori di una persona non rappresenta, a mio modesto avviso, il modo migliore di porsi: potremmo fare complimenti ed applausi all'infinito vedendo una persona bella, brava nel canto, nella cucina, brillante nello studio, eloquente o con qualsivoglia dote extra-ordinaria, ma se ci limitassimo a fare ciò, sarebbe come gustare esclusivamente la farcitura esterna di una torta, come quelle decorazioni di glassa o cioccolato che si possono aggiungere quale “tocco finale”. Se, infatti, l'impasto della torta fosse malauguratamente venuto male, la farcitura di per sé sarebbe completamente inutile e non sazierebbe assolutamente, mentre se l'impasto fosse buono, una farcitura non proprio ottimale potrebbe acquisire nel complesso un buon sapore o, nel peggiore dei casi, la si potrebbe scartare. Ciò che conta in ultima analisi è quindi la sostanza della persona: la sua più profonda identità, che avendo connotazione divina è necessariamente luminosa. Questa divina identità è la fonte originaria dell'amore che sentiamo per le persone che ci circondano e che dovremmo cercare di sviluppare per tutte le creature, indipendentemente dal loro involucro esteriore e dal loro livello di coscienza e possiamo farci portatori di questo flusso d'amore se solo anche noi oltrepassiamo i filtri egoici del nostro vedere e sentire. Il rispetto di ogni creatura e la valorizzazione dell'altro rappresentano le fondamenta per un cammino di evoluzione spirituale e costituiscono anche la fonte di ogni più grande gioia nelle relazioni. Talvolta, per risolvere un conflitto o addirittura modificare l'attitudine negativa di una persona è sufficiente trasmetterle fiducia, dimostrarle che gli automatismi in cui cade altro non sono che distorsioni psichiche inconsce e non costituiscono la sua vera personalità. Costei, spiazzata dal sentimento che le trasmettiamo, distante da quelli invalidanti ed altrettanto automatici che il più delle volte gli individui attorno a lei hanno utilizzato in risposta ad alcuni suoi comportamenti, comincia realmente a pensare di essere altro e progressivamente svela nuovi lati del carattere. In tal modo, viene sancito l'inizio di un percorso di trasformazione che la persona intraprende con altrettanta fiducia, per cercare di divenire non qualcos'altro da sé, bensì la migliore versione di sé stessa. Per poter con efficacia comunicare questa fede nelle altrui potenzialità quali manifestazioni del divino individuale, è necessario realizzare il medesimo sentimento d'amore per noi stessi. Ciò che è vero nei confronti dell'altro, deve necessariamente esserlo prima verso noi stessi, cercando di apprezzare con sincera gratitudine ogni dono divino che abbiamo, non dandolo per scontato o per dovuto, ma accogliendolo come dono straordinario qual è. Abbiamo il dovere di osservarci allo specchio prendendo coscienza dei lati ancora ombrosi della nostra personalità, ma non per cadere in depressione o utilizzarli come alibi all'inazione, al contrario, cercando in maniera costruttiva di capire come collocarci sul sentiero evolutivo per modificarli progressivamente ed assumere una forma quanto più aderente possibile a quella originaria. Se apprezziamo in noi, come negli altri, la scintilla divina che irradia dal cuore, così come se comprendiamo che ogni dono, interno o esterno che possiamo avere, non è in realtà nostro, ma origina sempre e comunque da tale fonte, possiamo preservarci anche dal rischio di sviluppare l'altrettanto pericoloso opposto sentimento della disistima, la superbia. La perfezione non è un qualcosa da rincorrere affannosamente o un traguardo da raggiungere necessariamente quale condicio sine qua non per essere fieri di sé stessi e volersi bene o per volere bene agli atri, la perfezione in realtà non è nemmeno di questo mondo - universo in perenne trasformazione - essa appartiene solo a Dio e noi al massimo possiamo tendere al riflesso di perfezione che il Signore dall'alto illumina, offrendo poi a Lui tutto ciò che comunque di fatto da Lui origina. Ogni giorno, in ogni istante possiamo fare una scelta: criticare o aiutare, lamentarci o ringraziare, ogni cosa può essere vista da prospettive diametralmente opposte: si può criticare una ragazza madre per aver solo pensato di abortire o la si può apprezzare per non aver infine messo in atto tale terribile gesto, possiamo lamentarci perché non ci vediamo esteticamente carine come le ragazze in copertina o ringraziare per aver la possibilità di avere un corpo non propriamente appariscente che ci stimoli a sviluppare forme meno effimere di bellezza e di esempi se ne potrebbero fare a milioni, ma ciò che questo breve saggio ha la pretesa di voler esprimere è il semplice fatto che la vita che stiamo vivendo è un'opportunità unica e straordinaria di evoluzione che non è detto debba ripetersi e per la quale avere il cuore colmo di gratitudine, con la consapevolezza che in questo senso di gratitudine e di dipendenza dal Divino risiede in ultima analisi la chiave per la gioia più intensa e per la beatitudine eterna.

(1) Paolo Crepet, importante psichiatra contemporaneo, identifica l'amore condizionato del genitore verso il figlio come uno dei fondamentali errori pedagogici originati dalla competitività della moderna società occidentale, in cui il bambino viene apprezzato e sostenuto proporzionalmente al primato che può conseguire in una qualche disciplina, intellettuale o sportiva che sia. Cfr. Crepet P., Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e sull’adolescenza
 Einaudi, 2001.

venerdì 20 novembre 2009

SULLA PREDISPOSIZIONE di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

In qualsiasi impresa la nostra predisposizione gioca un ruolo decisivo. Se non c'è una buona predisposizione non vi sarà successo, quello vero che è spirituale: tutto il resto non ha consistenza, non dura e non ha valore. I testi indovedici ci spiegano che la potenza, l'energia, la forza derivano dalla purezza. Se ne deduce che l'aspetto più importante nella preparazione all'agire è la purificazione, della mente e del cuore. Si potrebbero leggere e studiare molti libri, ma non è da ciò che si trarrà la forza per ben agire e la capacità di ispirare altri. La forza deriva dalla purezza e la purezza genera trasparenza. Come nell'acqua pulita si può vedere un oggetto che giace sul fondo, e non è possibile vederlo se l'acqua è torbida, così una mente velata, offuscata ed ottenebrata dai condizionamenti, non riesce a vedere né a discernere la verità: per farlo occorre produrre uno stato di trasparenza, di purezza interiore. Anche nella comunicazione, per avere successo, è più che mai indispensabile una buona attitudine, tanto in chi parla quanto in chi ascolta. Quando ad uno dei due interlocutori manca questa sensibilità e questo impegno, il dialogo non si svolge nel migliore dei modi e non porta i frutti sperati. Non è sufficiente il desiderio intenso di chi parla, occorre l'attenzione, altrettanto intensa e pulita, di chi ascolta. Coltivando la purezza possiamo ricostituire per intero la nostra riserva d'amore e investirla tutta nella relazione con Creatore, creato e creature. Quando ciò avviene si manifestano i segni visibili di pacificità, serenità e soddisfazione interiore. Chi è soddisfatto nell'anima non ha bisogno di oro, argento o brillanti, di riconoscimenti od onori, poiché già dentro di sé ha trovato quel che lo appaga in tutto. Come spiega Krishna nella Bhagavad-gita (XVIII.54): egli non ha rimpianti né brame; è profondamente umile avendo realizzato che la potenza illusoria dell'energia materiale è insuperabile e che solo abbandonandosi a Dio possiamo varcare i confini delle apparenze ed entrare nella realtà (cfr. Bhagavad-gita VII.14).
Nel suo più alto insegnamento lo Yoga è questa visione ritrovata, è la reintegrazione del sé nella realtà universale, la sua ricongiunzione in amore con Dio e con tutte le creature. La libertà interiore, patrimonio inalienabile di ciascun essere, va utilizzata tutta per volgersi alla purificazione e perseguire il supremo bene. Sebbene molte dinamiche possano sfuggire al nostro controllo, noi abbiamo sempre la possibilità di modulare e scegliere la nostra risposta agli eventi, la nostra attitudine interiore. Se ci sono pensieri disturbanti che impediscono un corretto agire, possiamo evocare esattamente il loro opposto, come Patanjali rishi insegna nel Sadhana Pada (II 33): vitarka badhane pratipaksha bhavanam. Ad esempio: pensare con orgoglio di essere al centro dell'attenzione ed aspirare unicamente al proprio tornaconto egoistico è esiziale, micidiale per la nostra coscienza; se insorge questo pensiero dobbiamo spostarci nel suo opposto: “Agisco non per me ma per il bene di tutti gli esseri. Offro ad uno scopo superiore, a Dio, le mie azioni con tutto il mio amore. Spero che il Signore possa gradire la sincerità della mia umile offerta, nonostante i miei limiti, e che nella Sua infinita misericordia le conferisca reale valore". L'umiltà e la sincerità dei nostri sforzi, faranno sì che potremo essere recipienti di intelligenza e forza necessarie per agire in ogni circostanza in maniera costruttiva, per la nostra ed altrui evoluzione. Il segreto del successo è il puro spirito di offerta, il predisporsi con umiltà, tolleranza, fede e gioia, pronti a riconoscere il valore altrui e ad agire per il bene di tutti. Con questa attitudine possiamo affrontare positivamente qualsiasi impresa o evento, anche una malattia, una grave perdita o un tradimento. Di fronte agli ostacoli che incontriamo occorre far fronte; non abbattersi ma fronteggiarli con serenità e fiducia, come un atleta che con entusiasmo si accinge ad una corsa a ostacoli sapendo che sono proprio gli ostacoli a spronarlo al miglioramento delle prestazioni, a superare i propri limiti. Ogni evento va accolto come una possibilità di crescita e di formazione. Questo è ciò che offre la grande scuola della vita, per realizzare un'armonica integrazione tra corpo, psiche e anima, tra varna e ashram, tra individuo e società, tra immanenza e trascendenza. Mantenendo fissa la meta, dobbiamo imparare a nuotare nel grande mare dell'essere per trovare il nostro porto sicuro, la nostra centratura, il nostro equilibrio, utilizzando le sollecitazioni alle quali siamo continuamente esposti. In questa ardua ma affascinante impresa la predisposizione gioca un ruolo essenziale, e per questo deve essere almeno “buona”.

mercoledì 11 novembre 2009

GUARDARE ALLA MORTE DA UN'ALTRA PROSPETTIVA (PARTE SECONDA) di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

Ma non chiediamoci soltanto cosa fare con gli organi di un corpo ormai giunto al capolinea di questa vita; pensiamo anche al futuro di quella persona che lo ha abitato e che, secondo la prospettiva indovedica, continuerà la propria esistenza anche dopo aver lasciato quel corpo fisico. Come aiutare la persona ancora imprigionata in quello scafandro ormai logoro? Come stimolarla a prepararsi interiormente al suo abbandono? Come orientare il percorso evolutivo che principierà dopo l'attestazione della sua morte clinica? La risposta a questi interrogativi è importante non solo per chi opera nel settore sanitario ma per ogni individuo. Accoglienza, assistenza e accompagnamento sono in questo ambito tre concetti chiave. Accogliere significa incontrare l’altro, aprire non solo le braccia, ma anche il cuore e la mente. Assistere vuol dire intervenire con delicatezza, entrando in empatia, prestando ascolto alle modalità e ai bisogni dell’altro. Accompagnare significa mettersi a fianco della persona, senza precederla, ponendosi quasi dietro di lei, essere una presenza umile e affettuosa, stimolandola a procedere. Accompagnare è sospingere dolcemente, far giungere a destinazione con calore e bontà, con empatia, compassione e misericordia. La tradizione indovedica non utilizza tecniche psicoterapeutiche, ma offre insegnamenti volti allo sviluppo di una visione cosmica della vita, dell’uomo e del mondo, che non si concentra sulla risoluzione di disagi psicologici ma sulla elevazione di una consapevolezza globale, affinché chi la applica possa riscoprire l'interezza della propria natura sul piano bio-psico-spirituale ed esprimere tutte le proprie potenzialità e aspirazioni più nobili, affrontando anche la morte in uno stato di pace interiore. Perché esiste la morte? Chi o che cosa muore? Come ci possiamo preparare? In cosa consiste il morire? Come assistere il malato nello stadio terminale? Come interagire con i suoi familiari e con il personale sanitario? Interrogandosi sinceramente su tali domande si perviene a intuizioni sorprendenti, talvolta in grado di farci sentire oltre il cangiante flusso di questo mondo rutilante e ingannevole (i Veda lo definiscono maya che significa “illusorio”). La prima domanda da porsi è: quando l’obiettivo cura medico-farmacologica non è più raggiungibile, cosa si può fare per prendersi cura della persona? Si può trasformare un evento traumatico come la morte in un'esperienza evolutiva? Il fenomeno morte viene abitualmente vissuto come fine di tutto, dissoluzione, scomparsa, con tonalità che vanno dal rassegnato al drammatico, fino al disperato. Eppure, secondo la tradizione filosofico- spirituale indovedica, la morte non esiste come entità, ma solo come concetto o momento di passaggio da un segmento di vita ad un altro. Attraverso un percorso di consapevolezza, ogni essere umano può imparare a “viverla” percependo che la propria identità è diversa da quella del corpo e scoprendo di fronte a sé una nuova fase della propria eterna esistenza, da progettare costruttivamente. La Bhagavad-gita (II.20) afferma: L'essere non nasce, né muore. E' eterno. Non muore quando il corpo è distrutto. Tagore scrive: Si cammina quando si leva il piede come quando lo si posa. Come l’alba prepara un nuovo giorno che giungerà poi al tramonto, così il tramonto, attraverso la notte, cederà il posto ad una nuova alba. La vita scorre incessante e se ne comprendiamo il senso evolutivo e infine il suo arcano significato trascendente, possiamo superare anche la paura più grande, quella della morte e – realizzando l'immortalità della nostra essenza – ridare nuova speranza alle profonde aspirazioni di ogni essere verso autentiche libertà e felicità, oltre i limiti dello spazio e del tempo.

mercoledì 4 novembre 2009

GUARDARE ALLA MORTE DA UN'ALTRA PROSPETTIVA (PARTE PRIMA) di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).



Le grandi innovazioni della tecnologia medica e della scienza sono in grado oggi di mantenere in vita malati per i quali in passato non vi era nessuna speranza di prolungare artificialmente l'esistenza, pur sapendo che non ritroveranno mai più una condizione di salute e di vita accettabili. Tale situazione viene comunemente definita “accanimento terapeutico”. La definizione di morte cerebrale, risalente alla fine degli anni '60, ha permesso peraltro lo sviluppo della chirurgia dei trapianti, quando in precedenza il prelievo degli organi da un paziente con cuore ancora battente era comunque considerato reato. Al centro dell'odierno dibattito scientifico e sociale ci sono interrogativi sempre più cruciali: fino a che punto è giusto mantenere in vita un corpo ormai logoro e incapace di assicurare la minima dignità all'insieme psico-fisico definito persona? Qual è la linea che segna il confine decisivo tra l'ineludibile assistenza medica e l'accanimento terapeutico? La recente vicenda di Eluana Englaro ed altre simili, come quelle di Piergiorgio Welby e di Terry Schiavo, hanno fatto riflettere il mondo intero, evidenziando l'urgenza di tale riflessione. Il valore incomparabile della libertà, della sacralità e della dignità della vita e del rispetto di tutte le vite, dovrebbe essere patrimonio comune di ogni corpo sociale, a prescindere dall'orientamento scientifico o religioso individuale e andrebbe tutelato non solo nei confronti degli umani ma verso ogni creatura vivente, anche se non umana. E' la vita che va tutelata in ogni sua manifestazione. Sulla base di tale imprescindibile valore comune, la scienza e la cultura religiosa possono offrire prospettive preziose di comprensione, da cui derivare suggerimenti e orientamenti che aiutino ciascuno di noi a ben definire le nostre scelte, poiché in ultima analisi non può essere che il singolo individuo, nell'intimo della propria coscienza, ad essere responsabile delle proprie decisioni, libero di autodeterminarle sempre nel rispetto delle libertà altrui. Nel complesso contesto umano, sociale e scientifico diventa sempre più importante, e oramai urgente, offrire informazioni e insegnamenti sul processo del morire ma anche sul post-mortem, secondo prospettive medico-scientifiche ma necessariamente anche spirituali, umanistiche ed esistenziali, operando con sensibilità e riguardo, affinché ciascuno possa costruirsi – liberato da intrusioni o pregiudizi culturali - una chiara visione del proprio volere e darne esplicita ed altrettanto chiara indicazione attraverso il testamento biologico ed altri utili strumenti che la società potrà individuare e destinare a questo scopo. Possiamo avere migliori opportunità di auto-determinare il nostro presente e il nostro futuro se ci apriamo ad una più profonda comprensione del fenomeno morte, prendendo le distanze dai tanti tabù e dalle tante rimozioni dell'immaginario collettivo che abitualmente ne ostacolano una matura elaborazione. Infatti, solo crescendo in consapevolezza possiamo crescere in senso di responsabilità e in libertà. A questo scopo chi scrive si sta occupando personalmente e da anni dell'assistenza ai malati incurabili, ai parenti stretti di tali malati e a tutto il corpo medico coinvolto nella cura e nell'assistenza, offrendo strumenti di riflessione sulla base della tradizione sociologica, psicologica, filosofica e spirituale indovedica che può estendere in maniera significativa la nostra percezione e concezione della persona e dell'evento morte. Il come lo si può comprendere attraverso un tessuto continuo di considerazioni intimamente collegate fra di loro, peraltro contenute nel testo “Psicologia del Ciclo della Vita - Esperienze oltre nascita e morte” (Edizioni Centro Studi Bhaktivedanta).

martedì 6 ottobre 2009

SOGNARE DA SVEGLI (PARTE SECONDA) di Priscilla Bianchi.

Ciò che è fondamentale comprendere è che il desiderio mette in moto un processo creativo sul piano sottile. Desiderando, soprattutto se il desiderio è accompagnato da una carica emotiva forte, emaniamo una frequenza energetica che richiama invariabilmente cose, persone e situazioni sintonizzate su quella stessa frequenza. Pensieri e desideri sui quali ci concentriamo di più, consapevolmente o meno, diventano “cose” e si concretizzano nei vari episodi della nostra vita. Questo è, in sintesi, il principio alla base della ormai nota “Law of attraction”, la legge di attrazione, una delle leggi che governano l'universo. La fisica quantistica conferma che l'universo nel quale viviamo è un insieme di vibrazioni energetiche; anche i nostri pensieri e desideri lo sono e ciascun individuo è come una potente stazione radio. Certe vibrazioni entrano in risonanza con vibrazioni simili e determinano specifici campi di frequenza. In sintesi potremmo affermare che ciò che emaniamo sarà ciò che attraiamo e in tal senso è proprio vero che il mondo è come un grande specchio che riflette la nostra realtà interiore. Il lavoro più impegnativo consiste nel sondare le nostre pulsioni inconsce, visto che i desideri inconsci non sono meno forti di quelli consci, ma sono molto meno determinabili. Risulta quindi prioritario diventare quanto prima e quanto più profondamente consapevoli dei semi che giacciono sul fondale del nostro inconscio prima che si dischiudano manifestando situazioni a noi sgradevoli o addirittura ostacolanti per il nostro percorso evolutivo. Questa analisi è fondamentale anche per riuscire a trovare una coerenza nella nostra modalità di “emissione energetica”; ad esempio, se sul piano cosciente desideriamo stringere amicizie sul piano di sattvaguna(1), ma il nostro inconscio ci sospinge ancora verso situazioni tamasiche o rajasiche, probabilmente queste ultime spinte avranno la meglio, oppure sfioreremo per breve tempo compagnie più elevate per essere poi risucchiati in vecchie e ripetitive dinamiche. Se desideriamo cambiare vita o se intendiamo modificarne almeno alcuni aspetti, dovremmo modificare la nostra frequenza, che in termini pratici significa modificare i nostri pensieri, ovvero i nostri contenuti mentali. Secondo la sapienza dell'India classica nell'universo operano tre macrofrequenze, cui ho già precedentemente accennato: si tratta di sattva, rajas e tamas. Le persone che vibrano secondo la frequenza di sattvaguna generalmente si circondano di bontà e benessere; quelle che vibrano secondo la frequenza di rajas, secondo la Gita vanno inesorabilmente incontro alla sofferenza, perché sono impulsive, frenetiche e sconsiderate nell'azione e nella reazione; chi, infine, è sintonizzato sulla frequenza di tamas, perpetuando un atteggiamento apatico e negativo, non farà che attrarre nella propria vita situazioni che somiglieranno a vicoli ciechi e depressione. Chi impara a sognare “da sveglio” nel senso vero dell'espressione, coltiva la propria consapevolezza, seleziona i propri contenuti mentali, comprende a fondo che cosa veramente desidera, mette a fuoco il proprio sogno e ci si “prova dentro”, incanala la propria energia e la propria affettività nella direzione della realizzazione del sogno senza lasciare spazio ad interferenze ostacolanti, predisponendosi con lietezza d'animo e fiducia. Per poter giungere a tale lucidità di pensiero ed efficacia nell'azione è condizione imprescindibile intraprendere un percorso di autodisciplina attraverso il quale riportare armonia nella nostra vita, sviluppando modalità psicofisiche che ci orientino verso un trend evolutivo. La sadhana bhakti, millenario sentiero di realizzazione del sé percorso con successo da grandi Maestri e da loro trasmesso ai propri discepoli di era in era, offre anche all'uomo di oggi strumenti quantomai preziosi per uscire da condizioni frammentate ed alienanti e ritrovare un appagamento profondo e duraturo. Scopo del Centro Studi Bhaktivedanta, con i suoi numerosi programmi ed attività, è proprio quello di mettere a disposizione antiche tecniche ed imperitura saggezza con un linguaggio ed una metodologia adatti ai nostri tempi. Buona continuazione e buona realizzazione dei vostri sogni.

(1) I guna sono i costituenti della materia, potenti energie archetipe che strutturano l'universo. Sattva indica in generale la virtù con tutte le sue caratteristiche, tra cui bontà, luminosità e visione; rajas e tamas indicano rispettivamente la passione e l'inerzia/ignoranza.

domenica 27 settembre 2009

SOGNARE DA SVEGLI (PARTE PRIMA) di Priscilla Bianchi.

Le persone si intrattengono spesso parlando dei loro sogni: sogni da realizzare, sogni ancora tutti da sognare, sogni finiti in quel celebre cassetto senza fondo che aspetta ancora di essere aperto. E' chiaro che quando parliamo di realizzare i nostri sogni, con la parola sogno non ci stiamo riferendo all'attività psichica che si attiva mentre dormiamo, bensì ad un sinonimo di desiderio o fantasia. Per quanto riguarda il termine desiderio, l'etimologia ce ne svela la natura più profonda. Le due parole latine che compongono il desiderio sono la particella de- che in questo caso indica allontanamento, 'via da' e sidus-sideris, dal significato di 'stella, astro'. Letteralmente, dunque, desiderio significa 'lontano dalle stelle', indica la mancanza di sidera, delle costellazioni necessarie per trarre gli auspici. Se ci riflettiamo, effettivamente il desiderare implica una lacuna, una mancanza: si desidera quel che ci manca e quello che, secondo noi, completerebbe la nostra vita o ci procurerebbe una gioia al momento assente. E' proprio a questo punto, all'inizio cioè del processo, che dobbiamo porre particolare attenzione alla motivazione e alla natura del nostro desiderio: cosa stiamo desiderando? E soprattutto: perché? Siamo proprio sicuri che quella cosa, quella persona, quella situazione andrà a colmare qualche nostra lacuna e ci farà stare meglio? Attraverso questo processo logico saremo probabilmente in grado di evitare i danni maggiori, sempre che il desiderare egoico, dribblando tutti i filtri razionali, non sia già divenuto sentire, ovvero non si sia già prepotentemente insediato nei nostri sensi. Quando così accade, la manovra di inversione a U riesce raramente, e in ogni caso con grande difficoltà. Questo perché l'energia del desiderio non è più semplicemente psichica, ma è entrata nella centralina dei sensi mandandola in fibrillazione. Ecco come la Bhagavad-gita, testo di millenaria sapienza, conferma e mette in guardia:

“Come un vento impetuoso spazza via una barca sull'acqua, così uno solo dei sensi su cui la mente si fissa porta via l'intelligenza dell'uomo(1)”.

Quando il pensare/desiderare/fantasticare è ormai nella fase del sentire, quella del volere è dietro l'angolo ed è piuttosto arduo schivarla. E' per questo che, come affermano le Upanishad e la Gita e come ben sintetizza Marco Ferrini nel suo “Pensiero, Azione, Destino”, è davvero importante monitorare i nostri pensieri e i nostri desideri, perché da quelli scaturiscono inesorabilmente le azioni che orientano il nostro presente e anche il nostro futuro. Il desiderio vola sulle ali della fantasia, che il dizionario descrive come quella “facoltà dello spirito capace di riprodurre o inventare immagini mentali in rappresentazioni complesse, in parte o in tutto diverse dalla realtà”. Tale concetto ci rimanda inevitabilmente a quello di visualizzazione e a quello veicolato dal sanscrito vikalpa. Vikalpa, nel linguaggio proprio dello Yoga darshana(2), indica un fantasticare che può avere natura costruttiva, oppure condizionante. Nel primo caso la visualizzazione che il soggetto proietta sul proprio schermo mentale è basata su sat, sulla realtà, intendendo per realtà qualcosa che risponde ad una natura vera e buona e che affonda le proprie radici nel principio cosmico del dharma, l'Ordine universale. Questa è la dinamica che segue un desiderio sano, ben orientato, che darà buoni frutti. In caso contrario il fantasticare avrà ali corte, perché non avendo una base reale nel senso appena spiegato, obbligherà il soggetto a naufragare, generalmente dopo qualche esperienza deludente e dolorosa.


(1) Bg. II.67.
(2) Uno dei sei darshana o sistema di pensiero classico dell'India. L'autore, il saggio Patanjali, negli Yogasutra che costituiscono tale darshana ha raccolto tutti i principali insegnamenti sullo Yoga. Il CSB ha svolto numerosi lavori e studi comparati con la odierna psicologia su questo tema, richiedibili via internet o direttamente alla nostra Segreteria.

martedì 15 settembre 2009

IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA (PARTE TERZA). Da una lezione di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa) del 13 Maggio 2008.

Per capire se si veramente adatti l’uno per l’altra occorrono una verifica ed una valutazione di anni, ovviamente non da sposati ma nell'ambito di un necessario periodo di osservazione e prova. E' fondamentale realizzare la differenza sostanziale tra complementarietà e affinità elettiva. Il coniuge non è soltanto una spalla o un rimedio alla solitudine e ovviamente non è una delle tante amicizie. E' una persona con la quale dovremmo intessere una vita di comunione, fondata sulla condivisione seria e profonda di valori ideali. Oggi la società premia un modo irresponsabile di costituire coppie e famiglie, ma quale società troveranno i nostri figli? Quale mondo stiamo costruendo? Viene esaltato il principio edonistico della mera gratificazione egoistica e di pari passo vengono penalizzati quello della giustizia e della vera libertà. Vengono così legalizzati abusi e oltraggi, ma quel che è legale non sempre è anche giusto. Se pensate ad una persona ritenendo che potrebbe essere il vostro coniuge, studiatela e osservatela attentamente, e soprattutto provate a vederla come il padre o la madre dei vostri figli. La vedete attiva, proattiva, responsabile, capace di impartire educazione con buoni insegnamenti e soprattutto con un buon esempio? Ritenete che con l'aiuto di questa persona possiate risolvere le crisi della vita come ad esempio difficoltà economiche o problemi di salute, o invece la considerate poco adatta, poco consapevole, tendente a sfuggire alle responsabilità piuttosto che ad affrontarle con coraggio e maturità? Siate ben consapevoli delle difficoltà che provengono da un coniuge autoritario, da un padre padrone, o da un marito o da una moglie morbosamente gelosi che vedono rivali e pericoli ovunque. È pur vero che pericoli ci sono per uno sposo o una sposa giovani, ma occorre sviluppare un certo livello di maturità che ci permetta di evitare i pericoli senza diventare paranoici. Donne e uomini che hanno vissuto con modalità etiche dubbie o con uno scarso livello di responsabilità debbono modificare tali attitudini e aspetti del carattere migliorandosi con un congruo anticipo, non certo quando la decisione del matrimonio è già stata presa. L’educazione alla formazione di una famiglia deve necessariamente includere considerazioni di questa natura, e molte altre che potremmo fare in un'analisi più accurata. La famiglia può essere un ottimo strumento per la nostra evoluzione, ma dev'essere una famiglia fondata su princìpi sani, che tengano di conto delle istanze più profonde e spirituali dell'essere e dello scopo della vita umana oltre i bisogni di ordine mondano. Se poi una persona non si pone un fine evolutivo, trascendente, allora in privato può fare quello che vuole, può anche cambiare partners ogni sei mesi se tutto quello che desidera ottenere dalla vita è una soddisfazione egoica temporanea, ma ricordate che il numero dei suicidi sta aumentando a dismisura in chi coltiva questo tipo di mentalità. Sono le battaglie che abbiamo vinto per il vero bene nostro e altrui che ci danno forza, fiducia in noi stessi, profonda e duratura soddisfazione, non quelle a cui abbiamo rinunciato per egoismo o avidità. Dobbiamo tener fede a valori elevati e con tenacia e lungimiranza superare ogni difficoltà. Se invece uno cede alle debolezze proprie e altrui rinforza la malsana opinione: “non ce la posso fare... lo sapevo di non valere niente” e così - dopo essere stato un pessimo profeta – quel soggetto avvera la sua profezia disastrosa. La famiglia non è un obbligo, l'essere padri o madri non è indispensabile per evolvere; può essere infatti che una persona abbia già fatto questa esperienza nelle vite precedenti e sia giunta ad una consapevolezza che le permetta di impostare la sua vita e di crescere senza l'obbligo di assolvere a questo dovere sociale. Ma chi invece decide di farsi una famiglia dovrebbe prendersi questa responsabilità avendo bene in mente lo scopo per cui la famiglia esiste, che a dire il vero consiste proprio nell'esaurire il bisogno di famiglia. Lo scopo è infatti quello di liberarci progressivamente da dipendenze e bisogni esteriori, per sviluppare autonomia affettiva e spirituale, e perciò marito e moglie dovrebbero aiutarsi vicendevolmente affinché il loro legame si fondi sempre di più sulla gratitudine e stima reciproca, piuttosto che sulla dipendenza emotiva e psicologica. Questo non per reprimere l'amore, ma per far evolvere la nostra capacità di amare ed essere amati, estendendola progressivamente e rendendola sempre più universale. In effetti il bisogno di scambiare affetto e sentimenti appaganti non è garantito automaticamente sposando, ma sarà in proporzione a quanto saremo stati in grado di trasporlo e viverlo su di un piano sempre più consapevole ed evoluto. Una famiglia va consumata, e lo dico non in modo irrispettoso o svalutante per l'istituzione familiare in sé, ma intendendo con ciò che la sua funzione è di condurre a tappe ulteriori di maturità e realizzazione, come se fosse un vero e proprio sacrificio che porti crescenti saggezza, benessere e giovamento a tutti i membri del nucleo familiare. Pensate invece ai danni del tradimento e dell’infedeltà che riaccendono il fuoco della passione torbida e alimentano la dipendenza da nuovi partners e da fantasie che bloccano la propria ascesa etica e spirituale, e purtroppo anche quella dei propri figli. L'aspirazione a formarsi una famiglia - se si hanno le giuste motivazioni - è un desiderio nobile ed è una scelta che comporta responsabilità, così come del resto quella di percorrere una via di rinuncia: anche in questo caso occorre infatti assumersi responsabilità di coerenza, impegnandosi a maturare la capacità di dare e ricevere affettività e amore. La via della rinuncia non implica infatti una rinuncia ad amare, anzi: è una scelta che richiede imparare ad amare tutti nella consapevolezza della comune radice spirituale di ogni essere. Per concludere, gettiamo uno sguardo alla storia: prima delle ultime due o tre generazioni non c’era mai stato un momento in cui l’umanità non avesse modelli di valore cui riferirsi: l’eroe, il mistico, il gentiluomo, ecc. Adesso invece si opera per cancellare ogni riferimento eticamente nobile: impera il self-made man, l'uomo che si è fatto da solo e che poi si ritrova drogato, depresso, agitato da disistima, conflitti e insoddisfazioni e che a volte purtroppo finisce anche suicida. Chi è l’eroe della televisione? Il calciatore, la velina, il cantante che ha avuto successo, lo stilista imbottito di denaro, che ormai non può più sopravvivere senza alcool o perversioni sessuali. I giovani purtroppo vengono irretiti da questi falsi modelli, la cui vita sembra facile, ma quanta sofferenza, autocommiserazione e disperazione si nascondono dietro queste vite! L’apparenza inganna. Il vero successo è fatto di sforzi continui e seri tesi al raggiungimento di obiettivi costruttivi ed evolutivi. Chi vive con questa consapevolezza rimane attivo, produttivo e geniale anche con l'avanzare degli anni. Nella storia abbiamo casi emblematici, come quello di Goethe che scrisse o il Faust ad oltre ottant’anni o Jung che in tarda età compose la sua autobiografia “Ricordi, Sogni e Riflessioni”, o anche saggi e maestri come Bhaktivedanta Svami Prabhupada che negli ultimi anni della loro vita hanno compiuto imprese meravigliose per il bene dell'umanità. Essere giovani o vecchi non dipende dalla nostra data di nascita: dipende dall’impostazione che diamo alla nostra vita, dalle priorità che scegliamo, dalla qualità delle nostre motivazioni e dalla dedizione con cui portiamo avanti gli obiettivi che ci siamo prefissi. Se si vive per sviluppare Saggezza e Amore, più passa il tempo più si ringiovanisce. Che ciascuno rifletta bene sulla natura e scopo del matrimonio e sulla scelta personale di sposarsi o meno, valutando le proprie attitudini e tendenze, perché quello che è bene per uno potrebbe essere per un altro un male o una complicazione dannosa. Entrambe le scelte, sia quella di sposarsi, sia quella di non sposarsi, sono in sé valide; sta a noi comprendere quale dovrebbe essere il nostro percorso e viverlo con coerenza.

domenica 6 settembre 2009

IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA (PARTE SECONDA). Da una lezione di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa) del 13 Maggio 2008.

Chi vive in modo frivolo le relazioni affettive e sentimentali danneggia prima di tutto se stesso e di conseguenza anche gli altri, poiché rovina ai suoi occhi e a quelli altrui i concetti di fedeltà, di lealtà e amore. Quando da tali relazioni nascono figli, si riversano su di loro confusione, instabilità emotiva ed incapacità di amare e così il danno si estende e si moltiplica. Una famiglia dovrebbe formarsi non in maniera casuale, magari per rimediare al guaio di una gravidanza inaspettata o soltanto perché si ha paura di rimanere soli. La famiglia dovrebbe essere una Missione che – se si sceglie di compierla – necessita di tutte le nostre migliori energie e di dedicarvi una parte consistente della nostra vita, considerando il matrimonio come strumento per migliorarsi, maturare ed evolvere affettivamente, psicologicamente e spiritualmente. Naturalmente non tutti hanno bisogno di vivere l'esperienza della famiglia per giungere alla realizzazione di se stessi: sposarsi non è un obbligo, bensì una scelta che va ben ponderata in base alle proprie esigenze interiori e caratteristiche caratteriali. Ripercorrendo la storia incontriamo vite luminose di spiritualisti che – avendo già maturato determinate comprensioni ed esperienze - hanno potuto percorrere con soddisfazione la via della rinuncia e che in quella via si sono realizzati. Viviamo in un mondo dove prevalgono comportamenti altamente scorretti, disecologici e patologici, dove si compiono oltraggi e nefandezze che purtroppo sono considerati legali, ma scuole e tradizioni nel corso della storia - che rappresentano vette di saggezza del pensiero e dell'animo umano – ci indicano orientamenti nobili da seguire per trasformare il nostro percorso nel mondo in un viaggio evolutivo verso la liberazione dai condizionamenti e lo sviluppo di Conoscenza autentica e autentico Amore. Gli insegnamenti psicologici e spirituali dei Maestri della tradizione Indovedica veicolano non soltanto concetti e modelli di pensiero sani, ma anche e soprattutto esempi concreti di comportamenti evolutivi, che sono come fari in grado di illuminare l'agire dell'uomo nel mondo, nella vita affettivo-sentimentale, in quella professionale e in ogni altra sfera dell'esistenza. Come purtroppo confermano innumerevoli esperienze cliniche, ci sono famiglie patologiche, psicotiche, distruttrici di ideali e valori. Un padre padrone, ad esempio, può bloccare con la sua violenza l’evoluzione di un figlio per decenni, così come un genitore perditempo, irresponsabile e neghittoso può ingenerare questa stessa mentalità negativa nella prole, producendo effetti rovinosi che potranno essere smaltiti a costo di tanti sforzi, tempo e sofferenze. Dunque è indispensabile un'accurata educazione prima di lanciarsi in un’impresa familiare. Oggi sposarsi e divorziare è diventato assai frequente, ma non per questo dovete sottovalutarne la pericolosità. In realtà ciò è il segno di una società votata al degrado. Della società moderna possiamo certamente apprezzare alcuni aspetti, ma è altresì indispensabile rilevarne le macchie, le incongruenze, i paradossi, gli abusi, come quello di considerare l'aborto un diritto civile quando assolutamente non lo è, soprattutto per il bambino che viene privato del diritto di vivere. Occorre un'educazione per potersi sposare e vivere una vita matrimoniale, e soprattutto per poterlo fare con successo, quello vero, duraturo e propedeutico all'armonizzazione e allo sviluppo della personalità, propria e altrui. Una donna dovrebbe essere accuratamente educata per diventare sposa e madre e così un uomo per diventare un marito, responsabile e capace di espletare bene il suo ruolo nel dare sostegno e guida alla moglie e ai figli. Oggi non ci sono o sono alquanto rare le scuole che insegnano a far ciò. Non c'è sufficiente cultura su questo tema e soprattutto non ci sono modelli o esempi viventi che sappiano ispirare ad un corretto modo di pensare e agire nella scelta e nella cura delle relazioni affettive, o perlomeno questi modelli sono purtroppo tremendamente rari. Come si è detto in precedenza, il matrimonio non è semplicemente la scelta di un compagno o di una compagna; è la scelta di uno sposo e di una sposa per la formazione di un nucleo familiare. Matrimonio implica procreare e procreare implica educare nella consapevolezza delle leggi psico-spirituali che permeano l'universo e la vita di ogni essere. Educare significa amare continuamente, affinché i figli possano conseguire nella loro esistenza risultati costruttivi ed evolutivi, contribuendo a loro volta nella società alla diffusione di un messaggio di Luce e di Amore. Mai nessun gesto dei genitori dovrebbe essere avulso dall’amore, dal desiderio di correggere e attrarre verso la perfezione. Il ceffone dato in stato di collera è fortemente diseducativo, tanto che chi subisce tali modalità viene danneggiato a sua volta nella capacità di essere un futuro buon educatore. I figli sono parte integrante del matrimonio; sposarsi con l'intenzione di non averne non è assolutamente consigliabile. Canakya Pandita spiegava che un matrimonio senza figli è un deserto. I figli infatti sono essenziali per rafforzare l'unione della coppia attorno ad un fine nobile che è appunto quello di dare educazione e valori alla prole, e ciò permette di portare il bisogno di amare ed essere amati su di un piano più elevato rispetto a quello dell'attrazione meramente sensuale o passionale che, se non superata e sublimata per accedere ad un sentimento più profondo, diventa causa di ansietà, contrasti e instabilità nella relazione. Una madre con un figlio stretto al petto soddisfa quasi completamente la sua affettività, in modo assai costruttivo ed evolutivo, e lo stesso vale per un padre che si prende cura dei figli, cercando di assicurare protezione, rifugio e affetto a tutta la famiglia. L'educazione da provvedere ai figli dovrebbe essere per aiutarli a difendersi nella vita dalle trappole dei tanti ingannatori e soprattutto per favorire la loro evoluzione etica e spirituale. In ogni caso la più grande educazione è quella che si dà non a parole ma con l’esempio personale. Non è necessario che i figli sappiamo teoricamente che i genitori hanno studiato insegnamenti di valore, ma li devono vedere applicati nelle loro vite. Un vero genitore non deve essere soltanto un generatore del corpo del figlio ma anche un generatore della sua coscienza: dovrebbe ispirare, educare, proteggere. Come spiega Rishabhadeva ai suoi figli: che non si diventi padre, madre o maestro spirituale se non si è in grado di liberare dalla sofferenza dell'esistenza condizionata le persone cui si deve provvedere. Non si può imporre la nostra volontà sugli altri, ma si può e si deve offrire un modello di cui essere fieri. Naturalmente la famiglia richiede anche la capacità di fare un progetto economico che sia valido e capace di assolvere a tutti i bisogni di ordine materiale, che non sono gli unici né i più importanti ma che altresì non possono essere disattesi. Se uno vive da solo, quando ha provveduto a se stesso non ha nessun obbligo nei confronti della società, ma quando una persona ha famiglia e procrea non può operare con la stessa logica, ed è importante tenere in considerazione che chi ha vissuto per tanti anni in quel modo non così facilmente è in grado di accedere ad un altro tipo di mentalità.

lunedì 24 agosto 2009

IL MATRIMONIO E LA FAMIGLIA (PARTE PRIMA).
Da una lezione di Marco Ferrini del 13 Maggio 2008.

Famiglia, matrimonio, figli rappresentano un'unica realtà, costituita da elementi da considerarsi nel loro complesso come inscindibili, se non a costo di gravi errori e conseguenti significativi disagi e sofferenze. Intendiamo spiegare questa complessa realtà secondo gli Shastra o testi del pensiero psicologico e filosofico indovedico e secondo gli insegnamenti e le realizzazioni di vita dei Maestri di tale Tradizione, tenendo di conto che viviamo in un’epoca purtroppo molto inquinata da condizionamenti culturali, sociologici e psicologici. Non è facile sottrarsi alla pressione che essi esercitano, permeando ogni sfera del nostro vivere quotidiano e rafforzando a volte nostre tendenze antiche e malsane abitudini contratte a seguito di errori e di cattive impostazioni nel rapportarci a noi stessi e agli altri. Intendendo valutare alcune caratteristiche determinanti che si consiglia di ben valutare per chi desidera intraprendere la vita matrimoniale, il primo elemento fondamentale da prendere in considerazione è il grado di responsabilità della persona che si pensa come futuro coniuge; una responsabilità ovviamente da misurarsi non soltanto a parole ma soprattutto nella realtà dei fatti e nella storia della vita personale del soggetto. Il livello e la qualità della responsabilità che si è in grado di assumere e mantenere nel tempo sono essenziali per ritenersi idonei al matrimonio. Matrimonio significa prole e prole implica educazione, dunque un intenso, complesso e lungo impegno, che nella società di oggi dura come minimo 30 anni di cure assidue dedicate ai figli. Prendere decisioni impulsive, sulla spinta di passioni non sufficientemente elaborate, e indulgere nella cattiva abitudine di accettare e rifiutare – senza opportuna previa valutazione - la persona del coniuge, non è certa una mentalità che si confà a chi desidera vivere nel benessere, il che implica necessariamente “essere – bene”. Il matrimonio richiede fedeltà, che non è una qualità secondaria ma fondamentale, sia nell’uomo che nella donna. La scelta dello sposo o della sposa dovrebbe essere per la vita. Certo si deve prevedere anche il caso di una donna o di un uomo che si separino dal proprio coniuge e si risposino con un'altra persona, ma ciò non dovrebbe essere un fenomeno diffuso - come invece purtroppo avviene oggi - quanto piuttosto un episodio raro, un'eccezione sulla base di motivazioni veramente serie, non certo per superficialità, instabilità di carattere, vulnerabilità o fragilità affettiva, o per una colpevole negligenza nella fase di valutazione e scelta del coniuge. Fintanto infatti che la mente non viene educata ad un'approfondita analisi e continua ad essere trasportata dagli impulsi che s'impongono alla coscienza, non farà altro che perpetrare l'errore muovendosi acriticamente da un oggetto del desiderio ad un altro e ad un altro ancora. Coloro che hanno tali tendenze e conformazioni caratteriali certo non hanno la maturità sufficiente per intraprendere una vita matrimoniale. La castità è un valore essenziale per il matrimonio, ed è un dovere sia per la moglie che per il marito, ma la castità viene ridicolizzata da coloro che credono che questa dimensione sensibile sia l’unica esistente. Tanti oggi pensano che chi crede ancora nella castità sia vittima di inibizioni o che abbia subito un lavaggio del cervello. Ma chi davvero avrà subito questo lavaggio del cervello? Chi pensa che la vita sia limitata ai bisogni del corpo e che difende il motto: “chi può se la goda”, oppure chi crede in una vita dedicata allo sviluppo della persona nel suo complesso, sul piano fisico, psichico e spirituale? Chi sceglie quest'ultima via s'impegna in una disciplina che non è repressiva, che non nega la soddisfazione dei desideri primari assurgendo a castigo paranoico, ma li trasforma e li sublima fino a renderli propedeutici a tappe evolutive ulteriori. Il bisogno di affetto deve essere assolutamente soddisfatto, così come il bisogno di amare ed essere amati, ma per soddisfarli veramente occorre capire qual è la modalità migliore, più idonea e benefica. Se uno mi parlasse di una disciplina di vita che include la rinuncia all’amare e all’amore, definirei quella cosiddetta disciplina una sorta di attacco terroristico, poiché uccide l'essenza stessa della persona; essa sarebbe di fatto insostenibile, come se ci obbligassero ad una dieta che prevede la completa astensione dal cibo. Scambiare affetto è essenziale sul piano psicologico, così come amare è prerogativa irrinunciabile sul piano spirituale. Ma per riuscire davvero ad amare occorre scoprire l'autentico significato di Amore, che non può essere disgiunto dalla consapevolezza dell'esistenza di un Ordine cosmo-etico che regola la vita di tutte le creature, e per il quale vige la legge psicologica della reciprocità, per cui ogni azione che compiamo influenza la nostra coscienza e quel che facciamo agli altri ritorna inesorabilmente su di noi, nel bene e nel male, poiché l’inconscio – come un grande ed infallibile orecchio interno - registra ogni nostro movimento, fisico e mentale. Per questo le Upanishad affermano che comportandosi male si diventa male e si diventa bene se si agisce nel bene.


CONFERENZA
IL VIAGGIO DI DANTE E LA BHAGAVAD GITA
.
Esperienza psicologica di Inferno, Purgatorio e Paradiso per l’uomo contemporaneo.


Il 26 Settembre 2009 a Firenze, nel prestigioso Salone dei 500 dentro Palazzo Vecchio, il Centro Studi Bhaktivedanta ha organizzato una Conferenza dal titolo:

IL VIAGGIO DI DANTE E LA BHAGAVAD GITA.
Esperienza psicologica di Inferno, Purgatorio e Paradiso per l’uomo contemporaneo.

‘L'amor che move il sole e l'altre stelle.’
Nella prestigiosa cornice storico-artistica del Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, Marco Ferrini terrà una conferenza nella quale dialogheranno la Divina Commedia e la Bhagavad-Gita, universali monumenti del pensiero occidentale e orientale che, a distanza di molti secoli, ancora ispirano l’uomo moderno nel suo anelito di evoluzione e realizzazione, sia dal punto di vista laico che religioso. Esplorando le convergenze esistenziali tra queste due opere di filosofia perenne, i partecipanti avranno l’opportunità di fare un viaggio in altre dimensioni che rappresentano differenti livelli di coscienza nella ricerca del senso della vita. La Commedia e la Gita sono un compendio d’insegnamenti cosmogonici, antropologici ed escatologici, di filosofia, psicologia, etica e spiritualità. L’intreccio di queste tematiche esprime la sostanziale continuità tra i diversi piani dell’essere e la fitta serie di corrispondenze fra micro e macrocosmo. Se è vero che un’opera è grande nella misura in cui fornisce strumenti teorici e pratici per poter realizzare livelli alti di consapevolezza, e se offre concetti, suggestioni, modelli di vita adatti ad affrontare e risolvere i problemi esistenziali dell’individuo e quelli più complessi della società, allora non è azzardato affermare che la Commedia e la Gita sono scritti di intramontabile valore. L’intento dell’incontro è il disvelamento del significato congiunto delle due opere oltre i noti contenuti storico-letterari e i caratteri di Dante e di Arjuna non solo come pragmatici uomini di Stato ma anche come appassionati ricercatori che, oltre l’adempimento dei loro doveri nel mondo, anelano a realizzare la dimensione spirituale dell’uomo senza negarne l’umanità nel viaggio che dalla selva oscura conduce all’illuminazione e all’amore immortale.

‘La mia vita non è stata che una serie di tragedie esteriori,
e se queste non hanno lasciato su di me nessuna traccia visibile, indelebile,
è dovuto al’insegnamento della Bhagavad-gita.’ Mahatma Gandhi

La conferenza sarà ad ingresso gratuito;
E' gradita la prenotazione comunicando con:

Segreteria CSB:
Telefono: 0587 733730
Mobile: 320 3264838
Email: secretary@c-s-b.org

Per avere un’anteprima degli argomenti trattati guarda il video.

domenica 16 agosto 2009

SULLA SUBLIMAZIONE.
di Marco Ferrini.

La sublimazione è l'arte di trasferire gli impulsi su di un piano superiore, quindi potrebbe essere definita come 'arte della trasformazione dei contenuti psichici. E' fondamentale applicare la propria forza di volontà su piani ideali superiori perché se tale forza s'inclina verso il basso, l'esito sarà il mancato conseguimento dei propri progetti di crescita culturale, psicologica e spirituale, quindi l'insoddisfazione e il concreto rischio di incorrere in numerosi incidenti di percorso. Il processo della sublimazione avviene al più alto livello attraverso la preghiera e la meditazione, ma può essere favorito anche dall'esperienza estetica. Si pensi alla musica o ad una danza, che si esprime attraverso il corpo, la mimica, il ritmo: possono sembrare semplici esercizi estetici, ma attraverso di essi un'energia di natura negativa, talvolta persino distruttiva, derivante da rancori, violenza, inimicizie e simili, può rigenerarsi in energia ecologica e positiva, quel che si fa viene compiuto come atto di offerta al Divino. L'arte di far affluire le energie psichiche a livelli superiori è di grande valore e beneficio. Attraverso quest'arte i gradi di egoismo individuale possono gradualmente essere superati passando a stadi evolutivi sempre migliori: l'interesse può allargarsi dal piano personale a quello familiare, da quello di gruppo ad uno sempre più esteso all'intera compagine sociale, fino a considerare come primario il bene di tutte le creature di qualsiasi specie. L'espansione della benevolenza verso tutti gli esseri viventi porta ad una fratellanza cosmica e alla riscoperta di Dio come origine, seme e sostegno dell'universo in tutte le sue forme e manifestazioni di vita.Ogni esperienza dovrebbe essere considerata come una preziosa opportunità per migliorarsi, senza far distinzione tra amici o nemici, poiché in ogni creatura si dovrebbe vedere un frammento di Dio, sapendo guardare con occhio equanime alla zolla di terra e alla pepita d'oro (si veda Bhagavad-gitaVI.8). La tradizione psicologica della Bhakti offre strumenti teorici e pratici per acquisire questa capacità ed attitudine alla vita, raggiungendo quell'alto livello di consapevolezza che consente di affrontare in maniera costruttiva-evolutiva qualsiasi evento, anche i più dolorosi, senza esserne emotivamente travolti. Gestire la propria emotività è ben più difficile che gestire i propri pensieri. Al contrario di questi ultimi, infatti, le emozioni sono impulsi psichici prodotti dall'interazione di stimoli esterni ed interni che non passano attraverso un processo di razionalizzazione, e dunque non vengono mediati né sufficientemente arginati dall'intelletto (buddhi); come un fiume in piena, tracimano dal piano inconscio verso l'esterno. Spesso la propria comprensione dell'importanza della sublimazione si blocca ad un piano meramente razionale-teorico, senza un esercizio significativo dedicato alla sua realizzazione, ed accade che dall'inconscio fluiscano emozioni che risultano inarrestabili e che operano in senso contrario alla direzione in cui la persona vorrebbe andare. Per superare tali discrasie interne e realizzare sostanziali miglioramenti nella personalità si dovrebbe operare a livello della psiche profonda attraverso gli strumenti della visualizzazione meditativa e dell'immaginazione attiva e superare il piano meramente -intellettuale la consapevolezza del sé ed ascendendo ad una consapevolezza e ad una visione spirituali.

giovedì 6 agosto 2009

L'ESSERE UMANO E LE SUE ENERGIE.
Di Marco Ferrini.



Lo schema sopra riportato rappresenta l’essere vivente nella sua globalità umana e cosmica, con le sue energie bio-psico-spirituali. La terra (bhumi), l’acqua (apah), il fuoco (anala), l’aria (vayu) e l’etere (kham) costituiscono la struttura bio-fisica dell’individuo, mentre l’ego (ahamkara), la mente (manas) e l’intelletto (buddhi) determinano le sue caratteristiche psicologiche. Secondo la psicologia indovedica, le varie energie psicofisiche dell’essere umano hanno come propulsore comune l’essenza spirituale (atman), simbolicamente raffigurata nel cuore, la quale costituisce il nucleo dell’identità del soggetto e l’essenza stessa della vita. L’atman costituisce il centro unificatore di tutte le funzioni vitali, coordina tutti gli elementi singoli e particolari che costituiscono la nostra psiche ed ha il potere di svilupparli, dominarli, dirigerli, comporli in una superiore unità organica. Uno studio analitico, funzionale e strutturale dei fenomeni psicofisici non può dunque prescindere dal riferimento al sé o nucleo vitale energetico e dalla comprensione della sua natura in sinergia con le altre componenti della personalità umana. Nei testi della psicologia indovedica viene evidenziata la sostanziale distinzione tra le energie psicofisiche (prakriti) e l’essenza spirituale dell’essere (atman). Mentre quest’ultima rappresenta l’identità ontologica, profonda ed immutabile dell’individuo, le componenti psicofisiche sono soggette a continue modificazioni nello spazio-tempo, inserite in un contesto storico di impermanenza. Generalmente la coscienza dell’ego, che nella definizione junghiana è costituita dalla somma dei contenuti psichici con cui il soggetto si identifica, è caratterizzata da un flusso incessante e sempre in trasformazione di emozioni, impressioni, pensieri, umori e stati d’animo. Le caratteristiche psico-fisiologiche e situazionali si modificano costantemente, in una perenne transitorietà, ma il nucleo centrale dell’identità della persona rimane inalterato, nella sua essenza identico a sé stesso. I rapporti tra il sé profondo e l’io ordinario empirico, nelle loro connessioni con i vari elementi della vita psichica, costituiscono una realtà complessa, sottile, dinamica che la psicologia indovedica descrive ed analizza con sorprendente scientificità e proprietà di linguaggio.Tali studi apportano un contributo fondamentale anche all’analisi del rapporto tra l’essere umano e la sua percezione ed esperienza della malattia e della morte. Laddove non si è compiuta un’integrazione consapevole con l’esperienza del sé o nucleo vitale di natura spirituale, la personalità attualizzata dell’individuo, il “piccolo io”, che la letteratura indovedica definisce con il termine ahamkara, soffre dell’incapacità di contestualizzarsi a livello socio-cosmico e si carica di conseguenti sofferenze, lacerazioni, angosce e fobie.

mercoledì 8 luglio 2009

IL CAMPO PSICHICO KARMICO FAMILIARE COLLETTIVO.
Intervento tratto dal settimo seminario del Corso di Counseling per l'Armonizzazione e lo Sviluppo della Personalità, tenutosi in data 18 e 19 Aprile 2009 da Marco Ferrini.

Le affinità karmiche risultano essere alla base delle relazioni familiari, ma producono anche altri tipi di rapporti: amicali, professionali e simili. Ciò che andremo ad esporre ha comunque valenza universale ed è alla base di tutte le nostre relazioni con qualsiasi persona ed anche con gli animali, poiché anche alla base dei rapporti con esseri di altre specie ci sono sempre i legami karmici. La tesi che voglio esporre, sulla base delle conoscenze antropologiche, umanistiche, filosofiche, psicologiche e scientifiche della tradizione indovedica, è la seguente: i membri familiari sono tutti in rete in quello che ho definito “campo psichico karmico familiare collettivo” (denominato CPKFC). Per membri familiari intendo sia i membri della famiglia di origine, sia i membri della famiglia attuale, quindi dai parenti più stretti, a quelli più lontani. Questa rete familiare si sviluppa da una comune tipologia di samskara o registrazioni psichiche inconsce, nella fattispecie i samskara degli antenati fino a quelli dei propri genitori. Tale rete karmica si espande sulla spinta della forte interazione emotiva ed affettiva che si sviluppa tra i membri della famiglia. Per estensione chiunque venga in contatto per ereditarietà, parentela, solidarietà o frequentazione con uno qualsiasi di questi membri familiari, entra nella stessa rete e la estende, poiché comincia ad interagire con i samskara attivati da quegli individui e da quel gruppo nel suo complesso. L'effetto è l'irretimento. In tal modo, attraverso l'interazione dei samskara, i quali tendono ad aggregarsi secondo contenuti inconsci emotivi e psichici analoghi, della stessa categoria, si estende sempre più un determinato tessuto di affinità karmiche, come quando un diapason suonando ne mette in risonanza altri. Sempre sulla base di tali interazioni karmiche, nell'atto della procreazione i genitori tendono ad attrarre esseri che hanno samskara affini ai propri. Entrando in una determinata matrice o yoni e poi in un determinato nucleo familiare, l'essere che è stato richiamato da samskara affini ai propri viene ulteriormente influenzato dai samskara dei genitori e dell’ambiente in cui essi vivono, cosicché si crea una sempre più forte interazione affettiva ed emotiva che stringe ulteriormente i legami tra i membri della famiglia. Il legame potente che si sviluppa tra genitori e figli si spiega dunque con il fatto che essi hanno e sviluppano sempre più samskara in comune; per questa ragione i figli sono inconsciamente portati a vedere nei genitori parti di se stessi, o comunque persone a loro molto simili e vicine, anche quando il comportamento dei genitori è riprovevole e riconosciuto come tale dalle componenti più razionali della psiche. Poiché nel nucleo familiare la madre e il padre trasmettono con il proprio comportamento e con l’ambiente che essi creano determinati samskara ai propri figli, con i quali già condividono una consistente affinità karmica, si sviluppa tra di essi un attaccamento inconscio quasi viscerale, che soprattutto si costituisce durante l'infanzia del bambino quando la facoltà del discernimento e la capacità di autonomia affettiva non sono ancora sufficientemente sviluppate. Simili esempi eclatanti si trovano nella storia della letteratura occidentale ed orientale di tutti i tempi, basti pensare a Dostoevskij e alla sua celebre opera “I Fratelli Karamàzov” o all'epica mahabharatiana in cui Dhrtarastra, pur riconoscendo l'egoismo, la natura perfida, violenta, malvagia e invidiosa del figlio, lo asseconda nel suo delirio di potere che porta alla rovina milioni di persone oltre a loro stessi. Si possono individuare samskara di due principali categorie: quelli personali e quelli collettivi. I samskara personali sono registrati nell’inconscio personale che, a livello ancora più profondo, comunica con l’inconscio collettivo dell'estesa rete dei samskara parentali e quest'ultimo, ad un livello ancora più profondo, con l’inconscio collettivo universale. Dunque se uno riuscisse a percepirsi e a sondarsi in profondità, individuando i propri samskara personali e collettivi, scoprirebbe di trovarsi in rete con chiunque: con Napoleone, Gengis Khan, Nerone, Platone, Pitagora, Lao Tze e tutti gli esseri che sono esistiti e di cui permangono le tracce psichiche inconsce registrate e depositate nello spazio-tempo. Gli stessi atomi, aggregandosi in forme diverse, costituiscono i corpi di tutti gli esseri, ed ognuno dei jiva o esseri presenti in questi corpi opera sulla base di registrazioni psichiche accumulate nel corso di svariati migliaia di anni. Dunque sia nel tempo che nello spazio, sia nel micro che nel macro, siamo tutti indissolubilmente collegati dai samskara che abbiamo attivato. Realizzare i nostri collegamenti sottili a livello universale richiede una capacità di visione e di consapevolezza molto sviluppate, mentre è piuttosto facile intuire quanto siamo fortemente connessi e interdipendenti a livello affettivo e familiare, quasi come se fossimo legati da invisibili catene, per i più indissolubili.

mercoledì 1 luglio 2009

SEMINARIO ESTIVO 2009.

La Scienza della Meditazione e la Trasformazione evolutiva della Personalità.

Lo studio dei poteri psichici e delle percezioni extrasensoriali (parapsicologia) attraverso l'analisi del Vibhuti Pada di Patanjali, in confronto con la Bhagavad-gita e altri testi della cultura indovedica.

Relatore: Marco Ferrini, Fondatore e Presidente del Centro Studi Bhaktivedanta.

Dove: Villa Vrindavana - Via degli Scopeti 106/108, San Casciano Val di Pesa (FI).

Quando: Dal 27 Luglio al 4 Agosto 2009.



Per approfondimenti: 'LA SCIENZA DELLA MEDITAZIONE'.

lunedì 22 giugno 2009

COME USCIRE DALLA CRISI ECONOMICA AMBIENTALE IN CUI CI TROVIAMO? (SECONDA PARTE).
(Estratto della Conferenza di Marco Ferrini tenuta a Padova
in data 17 Gennaio 2009, sul tema 'Psiche e Ambiente').

Buone relazioni alla base di una buona economia.
Il primo investimento di tempo e di energie è importante che sia fatto nelle relazioni, che sono il patrimonio più grande della vita se fondate su valori autentici, quando cioè il rapporto è caratterizzato da lealtà e sincerità: sin-cero vuol dire “senza cera”, quindi senza maschera. Non sempre è bene ed utile dire la verità nuda e cruda, basti pensare al caso estremo in cui un rapinatore armato dovesse entrare in casa nostra e, con l'intenzione di uccidere nostra madre ci chiedesse dove si trova; l'importante è comunque non dire mai quel che non è, ogni nostra parola deve sempre avere un fine costruttivo. Si deve credere in quello che dice e in ciò che si fa, parlando e agendo con tutto il cuore e l'anima, per uno scopo evolutivo: ciò risana le relazioni, il carattere, le abitudini e migliora anche l'economia, a dire il vero migliora l'intera esistenza, restituendole senso. Se invece si privilegiano le futilità, la superficialità e i prodotti senza valore, da molti spacciati come pregiati, si rovina progressivamente ogni aspetto della nostra vita. La qualità dell'economia non è separata dalla qualità delle relazioni: non può prosperare se imbrogliamo o inganniamo gli altri. Per un po' gli affari possono anche sembrarci redditizi, ma poi ci ricade tutto addosso. Se si possiede una fornace per fare mattoni, ci s'impegni a produrre migliori mattoni, in maggiore quantità, ma anche ci si assicuri che alle persone che vi lavorano non manchi qualcosa di essenziale, che siano nelle più idonee condizioni per affezionarsi al servizio che stanno facendo, che siano capaci di una buona organizzazione e gestione del tempo e di buone relazioni. Si presti attenzione anche alla qualità della propria e altrui alimentazione, poiché essa rappresenta un aspetto tutt'altro che secondario nel determinare la qualità della nostra coscienza e della nostra vita nel suo complesso, in ogni campo di attività. Curatevi di mangiare cibi naturali, che non sono impestati da pesticidi, che non sono passati per dieci piazze di mercati e decine di frigoriferi, che non hanno attraversato gli oceani per arrivare sulla nostra tavola. Aiutate voi stessi e gli altri a nutrirvi in maniera più genuina, specialmente evitando cibi che scaturiscono dalla violenza o quelli prodotti per guadagnare di più e dare sempre meno. Ci sono al riguardo interessanti ricerche scientifiche di cui c'è ampia documentazione: in un campus universitario americano, ad esempio, semplicemente per l'aver migliorato e incrementato la qualità dell'alimentazione, c'è stato un incremento della qualità della vita rilevantissimo in soli sei mesi: non c'è stato più bisogno di poliziotti in aula, non più necessità di mediatori per sedare le risse tra studenti e tra studenti e insegnanti, e così via. L'esperimento è continuato per tre anni e si sono registrati trasformazioni migliorative enormi, introducendo un cibo sano prodotto con metodo biologico e biodinamico, facendo attenzione a mangiare ad orari regolari. Anche l'economia di quell'Università ha avuto un ottimo incremento: prima era un luogo in cui si viveva con difficoltà, con pesanti problematiche relazionali, dal quale studenti e docenti tendevano a fuggire, e progressivamente si è trasformato in un ambiente piacevole, ricercato, ambito. Dunque, come abbiamo già sottolineato in precedenza, l'economia si crea in molti modi e prima di tutto con buone relazioni: rapporti di fiducia, stima, affetto, solidarietà, lealtà, sostenuti dal pensiero che se diamo qualcosa a qualcuno non è perduto, dare non è mai una perdita, bensì un investimento, che produce un valore reale che non conosce svalutazione. Quanto più ci si separa dai princìpi etico-morali e spirituali, tanto più si crea, anche quando non ce ne accorgiamo, un'economia tossica. Pensiamo ai grandi artisti della storia: le loro opere sono rimaste nei secoli nella misura in cui essi avevano messo il cuore e l'anima in quell'opera, nell'intento di offrire un contributo alla società; chi ha agito superficialmente è entrato nell'oblio del tempo. Tutto quel che facciamo ha valore nella misura in cui noi ci crediamo, non in maniera frammentata, discontinua, ma con intensità costante, con propensione costante verso il bene e la perfezione. Sappiamo che la perfezione non è umana, non dobbiamo pretendere di essere perfetti, ma possiamo camminare con umiltà sul sentiero della perfezione, apprendendo ogni cosa nuova con lo stupore e l'entusiasmo dei bambini, con gioia applicandola nella nostra vita, consapevoli di quanto ancora c'è da imparare. Più si approfondisce lo studio della matematica, ad esempio, più comprendiamo che le funzioni numeriche sono illimitate, più entriamo nel mondo della fisica più realizziamo la meraviglia dell'atomo, la struttura più piccola della materia, la cui energia può essere utilizzata e per fini evolutivi e per fini distruttivi, come nel caso della bomba atomica. Collegandoci a ciò, concludiamo sottolineando l'importanza della motivazione che sta a fondamento di ogni agire: se essa è costruttiva sarà costruttivo quello che fate e sempre ben fondata sarà la vostra finalità. Quest'ultima dovrebbe rimanere elastica, dovremmo essere sempre pronti a modificarla, perché la finalità di oggi può non essere la finalità di domani, perché domani potremo fare delle scoperte che ci inducono a ridefinirla e a riorientarla, ma attenzione a non perdere la motivazione costruttiva basata su sattva guna, sulla ricerca di equilibrio e di benessere interiore per noi e per gli altri, sul desiderio imprescindibile di realizzarci a livello spirituale e di aiutare gli altri ad evolvere, presupposti essenziali per garantire nel tempo la qualità della nostra finalità.