giovedì 26 marzo 2009

TECNICHE PER IL SUPERAMENTO
DI OSTACOLI ALLA VOLONTA' (PARTE TERZA).
di Marco Ferrini.

FOBIE.
Un altro ostacolo che sovente è causa di blocco per la Forza di Volontà è costituito dalla paura: spesso la paura non è reale ed è quindi più opportuno utilizzare il termine fobia, possono cioè sussistere una o più fobie che bloccano il soggetto, indeboliscono la sua Volontà e non gli permettono di affrontare la situazione in maniera adeguata. Ovviamente esistono, in natura e nella società umana, situazioni pericolose verso le quali è salutare e perfino necessario provare timore: in questo caso il senso di paura sperimentato rappresenta una sana e utilissima funzione che provvede alla nostra sopravvivenza e dunque l'esercizio di un atto volitivo non deve servire a contrastare questa importante funzione preventiva, bensì a gestire l’emozione di paura qualora si manifesti come un impulso travolgente e distruttivo. E' infatti possibile dominare la paura tramite l'esercizio della Forza di Volontà, iniziando dal graduale dominio di piccoli timori, dunque ponendosi di fronte a situazioni che normalmente incuterebbero paura, facendo attenzione all'atteggiamento che si mantiene nel farlo. Lo sporgersi da un precipizio o il guardare da una finestra collocata al ventesimo piano di un edificio, per esempio, rappresentano situazioni che naturalmente susciterebbero sensazioni di timore, di vertigine, di perdita di stabilità o di senso di sicurezza e la tecnica di esercizio della Volontà consisterebbe proprio nell'affrontare il pericolo non con un atteggiamento di sfida o di spavalderia, avvicinandosi al precipizio in maniera spericolata, né tanto meno con l'atteggiamento di chi lo rifugge perché succube del timore provato, ma avvicinandosi gradualmente, in maniera protetta, magari centimetro per centimetro; la gradualità nell'affrontare una situazione delicata offre la possibilità al soggetto che l'adotta, di familiarizzare con tale pericolo senza che ne sia passivamente travolto. L'atteggiamento e la tecnica appena illustrati sono applicabili ad un'innumerevole serie di differenti situazioni che il soggetto è più condizionato a temere: dunque guardare da una quota molto elevata in altezza o percorre a piedi di notte un tratto di strada non illuminata o camminare lungo un ponte molto stretto; in tutte queste circostanze è sì consigliabile affrontare il pericolo, ma in maniera graduale e soprattutto mantenendo un animo lieto, magari cantando. Così, anche nel caso in cui il vedere una ferita sanguinante provochi un senso di brivido repulsivo: se si vorrà superare tale avversione sarà necessario sforzarsi di guardarla senza auto-violentarsi, bensì gradualmente persuadendosi che stiamo assistendo a un fenomeno naturale. Allo stesso modo si dovrà agire per superare una delle maggiori paure che caratterizzano da sempre l'essere umano: la paura della morte. Per fare ciò si potrebbero visitare persone che stanno morendo, oppure osservare un cadavere con attenzione, ovviamente non con un morboso senso di curiosità, ma per il desiderio di rafforzare la Volontà di affrontare ciò che incute timore, considerando peraltro che la morte è un fenomeno inevitabile, ben inclusa la nostra. E’ probabile che le prime reazioni provate tendano ad allontanare l'individuo da tali scene, ma per garantire un percorso evolutivo, integrando perfettamente con sensibilità ed esperienza la personalità, è necessario superare queste paure affrontandole: non lanciandosi in maniera avventata contro il pericolo o l’obiettivo, ma esercitando la Forza di Volontà in maniera graduale, come se fosse un muscolo che debba costantemente allenarsi per adempiere correttamente alla sua funzione, in modo da potersi gradualmente e sempre più preparare a questi naturali imprevisti. Malattia, dolore, paura, invalidità e morte sono fenomeni della vita incarnata, in un certo senso naturali, ma richiedono un atteggiamento sobrio, maturo, per poter essere correttamente elaborati in quanto ci si potrebbe trovare a fronteggiarli in maniera imprevista e improvvisa, senza alcuna preparazione e allora si rischierebbe di incorrere in grande sofferenza e profondo abbattimento. Un'altra fobia molto diffusa è la paura della povertà, il timore di rimanere senza mezzi di sostentamento o, ancor più ansiogeno, è il senso di perdita dello status sociale; anche in questi casi la paura potrebbe essere affrontata e vinta esercitandosi ad evitare qualsiasi spreco, ad evitare l’acquisto di qualsivoglia oggetto superfluo, ricordandosi il più frequentemente possibile che la più grande ricchezza consiste nel possedere una forma umana e nell'essere dotati di una coscienza lucida, che deve pertanto essere grata, per tutto ciò che dalla vita ha già ricevuto e che, con la giusta attitudine, potrà ancora ricevere. Anche l’attitudine appena descritta è l’esito di uno sforzo graduale poiché l'esercizio della Volontà, così come qualsiasi altro esercizio volto allo sviluppo di una facoltà, richiede gradualità per risultare efficace. I primi passi verso il successo sono importanti come l’allenamento prima della prova finale; è possibile che nella vita non arrivi mai ‘la prova’: potrebbe non capitare mai che la casa vada in fiamme o che venga svaligiata dai ladri o che si perda la salute, però è bene educarsi ad affrontarla nell'eventualità che accada. Si dovrebbe dunque imparare a fare a meno delle cose che abbiamo e osservarle con distacco emotivo, prendendo atto della loro esistenza e presenza al momento, ma essendo pronti a una loro perdita conservando peraltro gioia e serenità. E' necessario esercitarsi a vivere la vita con distacco emotivo, vedendo tutte le cose come preziosi elementi del Creato: la salute, la famiglia, la posizione sociale, la terra, il sole, la luna, le stelle, tenendo presente che la morte potrebbe improvvisamente separarci dalle persone care, così come per qualche giorni potrebbero essere oscurati il sole, la luna o le stelle, perché coperti da nubi. Ugualmente in alcuni momenti si potrebbe non provare gioia, né soddisfazione, seppure queste caratteristiche appartengano ontologicamente alla natura dell'uomo, fatto “ad immagine e somiglianza di Dio”: immortale, sapiente e beato. E’ proprio nel ‘qui e ora’ che devono essere sperimentare la gioia e la soddisfazione; non solo si deve imparare a ricercare in se stessi tutte queste ricchezze ma ci si dovrebbe anche abituare alla felicità e all’amore. Le Upanishad insegnano che in se stessi si trova non solo tutto ciò che si cerca nel mondo, ma anche ciò che nel mondo non c’è.
TECNICHE PER IL SUPERAMENTO
DI OSTACOLI ALLA VOLONTA' (PARTE SECONDA).
di Marco Ferrini.


STRESS E AUTOMATISMI MENTALI.
Una tecnica efficace per imparare a non dare risposte sbagliate a causa di automatismi mentali o condizionamenti in atto, è il rilassamento. Attraverso le tecniche di rilassamento si permette all'intelletto, alla parte più profonda e più affidabile della psiche, di analizzare e d'interpretare al meglio qualsiasi avvenimento, grande o piccolo che sia. Alcune tecniche di rilassamento possono rappresentare vere e proprie pause ristoratrici da inserire opportunamente tra un'attività ed un'altra, tra una risposta ed un'altra ai vari problemi che si presentano nella vita anche ad una persona sobria. Affrontare e rispondere ripetutamente a problemi genera un certo stress; ad un livello tollerabile lo stress può essere anche stimolante, purché non sia eccessivamente prolungato, in quanto da stimolante diventerebbe logorante e con il passare del tempo produrrebbe pessimi risultati. La misura compatibile di stress varia da individuo a individuo, non è eliminabile e non sarebbe nemmeno auspicabile eliminarlo completamente, ma è necessario non farlo crescere oltre le possibilità di resistenza individuale; quando si sente che si sta avvicinando al limite, prima che si entri nella zona di pericolo, si deve fare una pausa. Se non è stato accumulato stress, il relax può essere anche di una decina di minuti. Per una persona sana a conoscenza di efficaci tecniche di visualizzazione meditativa, anche pochi minuti di relax possono rappresentare una pausa soddisfacente. L'aspetto fondamentale è rappresentato dalle attività che costituiscono questo tempo di relax. D’altronde, si potrebbe anche fare una pausa per ore e non ottenere il desiderato risultato. La pausa di cui parliamo non è una fuga dai doveri, ma una loro sublimazione. Esistono diverse forme di rilassamento: fisico, mentale, psicologico o emozionale e trasversalmente a queste diverse categorie esistono altrettante tecniche per ristorare fatica e stanchezza accumulate.Talvolta fonte di rilassamento è un'attività fisica come una camminata a passo svelto o una corsa; una nuotata o una passeggiata in un bosco oppure un'attività pratica che interrompa la routine in cui ci troviamo impegnati da lungo tempo, come per esempio tagliare una siepe o rastrellare le foglie secche o potare le rose; fare un bucato o riassettare la casa; oppure l'auspicato relax si potrebbe trovare nella lettura di un brano di un libro, talvolta anche di una sola pagina, o nel conversare su qualcosa di piacevole, altro rispetto all’impegno che genera stress, ma non con l’inconscio desiderio di eluderlo bensì con la volontà di ristorare le forze per meglio riaffrontarlo con successo; oppure ancora si potrebbero offrire preghiere al Signore, oppure se è ora di pranzo, cena o colazione ci si dovrebbe dedicare con animo lieto e meditativo a tale pausa. L'importante è considerare che così come a livello corporeo fa bene compiere sforzi fisici, ma è essenziale avere la cura di non oltrepassare il limite prestabilito, in modo da non produrre strappi muscolari, accelerazione cardiaca e respiratoria oltre una certa misura, anche dal punto di vista psicologico la Volontà deve essere addestrata a raggiungere risultati, ma senza giungere ad eccessi di stanchezza e di stress: si deve comprendere quando è il momento di entrare in pausa e rispettarla, in questo modo la Volontà si rigenera e ricrea le condizioni idonee per un ulteriore sviluppo costruttivo, evolutivo, olisticamente salutare per la nostra personalità. Un'altra tecnica fra le più efficaci per il rilassamento è rappresentata dalla visualizzazione di immagini, di icone che suscitino in noi ricordi costruttivi, evolutivi, gioiosi, o che rappresentino l'ideale più elevato di noi stessi e della situazione che vorremmo vivere, per poi immedesimarsi con quella immagine, acquisirla interiormente, viverla in maniera realistica, su tutti i piani antropologici: a livello corporeo, mentale, spirituale. La visualizzazione può orientarsi sul rilassamento del corpo, pensando di rilassare in generale tutte le membra del corpo, una ad una (cuoio capelluto, orecchie, punta delle dita...), in particolar modo le membra più affaticate o pesanti, cercando di sentirsi progressivamente più leggeri ed immersi in un profondo stato di benessere; parallelamente si possono visualizzare, aiutandosi in questo anche da album di fotografie o da documentari ispiranti, scenari propedeutici all'auspicato rilassamento come manti erbosi in cui sdraiarsi, boschi in cui ascoltare armoniose melodie come il canto di uccelli, scogliere da cui vedersi aprire il mare e respirare aria pura, baciati da un piacevole tepore solare o accarezzati da una lieve brezza sulla pelle, cercando di sentirsi progressivamente più rilassati con un corpo che risponde perfettamente alle esigenze e con la Volontà di agire che si rigenera. Anche seguire attentamente il percorso del respiro è d'aiuto in questo: attraverso la respirazione, così come attraverso la alimentazione, si acquisisce prana, dunque funzionale alla rigenerazione può essere visualizzare questo prana che entra dentro, che si muove, percorrendo prima le vie aeree superiori e incanalato successivamente lungo la spina dorsale secondo le due vie respiratorie indicate dalla disciplina ayurvedica: Ida che inala aria dalla narice sinistra espellendola poi dalla narice destra dopo aver raggiunto il mula dhara chakra più basso ed essere poi risalita e viceversa da Pingala che segue il percorso opposto. Il rilassamento del corpo non è in contraddizione con il recupero della Volontà perché in un processo sano, successivamente all'affaticamento dev'esserci riposo, grazie al riposo si riacquisiscono le energie, con le energie torna la Volontà di agire e per una persona sana l'azione conferisce gioia: agire, impegnarsi, ottenere risultati porta molta gioia in particolar modo se le azioni sono compiute sotto il segno di sattva guna, della virtù e senza spirito di competizione, magari con un leggero agonismo che dovrebbe semplicemente costituire uno stimolo all'azione. In altre parole, spendere le energie è un processo salutare, così come rigenerarsi successivamente per recuperarle, per poi rispenderle nuovamente con gioia: per fare ciò è necessario imparare a visualizzare con molta precisione l'immagine mentale di tali energie, che rientrano dentro al corpo stanco e vengono pian piano recuperate. Il perfetto equilibrio fra spesa e recupero di energie rende questo ciclico ricambio un processo sano e pertanto auspicabile, ma la estremizzazione verso uno di questi due poli conferisce un carattere patologico al medesimo processo. La degenerazione in questione avviene infatti quando una persona si stanca ma non riesce poi a rilassarsi, non riesce a riposare e così accumula stress e la persona, spinta da necessità pressanti, impossibilitata a non agire, sommersa da eventi della vita quotidiana, si rimette comunque in azione e così si trova ad essere agita se non agisce e travolta se non naviga col timone nelle sue mani; in tal modo la sventurata persona in questione, che non ha recuperato, che non ha riposato, accumula stanchezza e questa nuova stanchezza si somma alla precedente senza che ci sia stato un processo di rigenerazione e la Forza di Volontà ne risente assumendo le caratteristiche di cocciutaggine, caparbietà e scarsa ragionevolezza. Una tecnica fondamentale in grado di trascendere il semplice rilassamento, per raggiungere equilibrio emozionale, psichico, fisico e per garantire evoluzione spirituale è rappresentato dalla meditazione, in particolar modo dalla meditazione sui Nomi Divini ed anche questa pratica può e deve essere arricchita, per poter essere ulteriormente potenziata, dalla visualizzazione attiva.

venerdì 20 marzo 2009

TECNICHE PER IL SUPERAMENTO
DI OSTACOLI ALLA VOLONTA' (PARTE PRIMA).
di Marco Ferrini.

IL COMPLESO D'INFERIORITA'.
Tra gli ostacoli allo sviluppo di una Volontà ferma ed efficace è possibile evidenziare il Complesso d'Inferiorità. Il Complesso d'Inferiorità induce chi ne è soggetto, a misurarsi costantemente con eccellenze altrui generando inevitabilmente spirito di competizione e spesso, conseguentemente, frustrazione. Tale atteggiamento mentale, producendo ansia e lotte per motivazioni e scopi sostanzialmente sbagliati, indebolisce la Volontà. Due infatti principalmente i rischi nell'assunzione acritica di modelli esterni a se stessi: il primo è di assumere modelli erronei, che apparentemente, a causa di una qualche forma di idealizzazione riteniamo utili e gradevoli, ma che ad un livello di analisi più approfondito nascondono problematiche o risultano distruttivi. Il secondo pericolo da evitare, seppur in presenza di un modello valido da seguire, è una pericolosa forma di competizione che potrebbe derivarne: ogni persona è depositaria di una o più abilità ed essendo le persone eterogenee, il fatto di misurarsi competitivamente in qualche singola attività appare alquanto privo di significato, perché il possedere una specifica dote non conferisce maggior valore ad una certa persona rispetto ad un'altra dotata di altri, diversi, talenti. Inoltre, chi è succube del Complesso d'Inferiorità, a causa del bisogno di compensazione, s’imposta a livello inconscio come fosse dotato di una inconfutabile superiorità rispetto a tutto ciò che lo circonda, tendendo così a presentarsi in maniera autoritaria, pensando, esprimendosi e agendo in termini perentori. E’ infatti proprio questa affermazione di indiscutibile superiorità a costituire la trappola per tale categoria di individui. Per poter sviluppare una sana Volontà, sobria e forte, la ricetta è semplice: essere se stessi! Né inferiori, tanto meno superiori a qualcosa o qualcuno, ma soltanto se stessi. Se si raggiunge tale scopo sarà possibile non solo superare il Complesso d'Inferiorità, ma anche testimoniare con gioia l'incremento di una Volontà sana, gioiosa e lungimirante. Essere se stessi significa conoscersi realmente, nella dimensione più intima, profonda, spirituale. La mancanza di conoscenza di sé stessi genera notevoli scompensi psicologici, tra cui, il più frequente: lo smarrimento d’identità, con il conseguente impellente bisogno di una ennesima falsa identificazione: un’altra maschera. Questo meccanismo può protrarsi all’infinito e rappresenta pertanto una potente quanto inesauribile fonte di condizionamento. La persona deve imparare a liberarsi da qualsiasi maschera e riconoscere il proprio volto, la propria identità spirituale (nitya-svarupa): tale identità costituisce la propria individualità, peculiarità, irripetibilità. Cosciente di ciò riuscirà rapidamente a valorizzare la propria singolarità, scoprendo il proprio valore nella specificità che la caratterizza. Queste scoperte conferiscono enorme e sana fiducia in sé stessi e consentono lo sviluppo della personalità e della Volontà: una Volontà forte, ma compassionevole, lungimirante; una Volontà che si avvale della lungimiranza e della sicurezza derivante da un'oggettiva stima delle proprie intrinseche qualità, non più su mutevoli modelli di riferimento altrui, ma sulla consapevolezza della inesauribile disponibilità della propria natura spirituale. Dunque, l'obiettivo cui si deve tendere è, non imitare o emulare artificialmente ‘altro’ da sé, bensì, in virtù di un autentico modello superiore, sviluppare, elaborare la migliore versione di se stessi. Per contro, si deve anche comprendere che non è una reale consapevolezza, una certezza verificata oggettivamente il non essere dotati di qualità o il non possedere Volontà, ma è la sensazione soggettiva stessa del sentirsi senza Volontà a costituire il problema: il Complesso dell'Assenza di Volontà. Il sentirsi svogliati, privi di Volontà, sono semplicemente sensazioni nate da una falsa interpretazione dei fatti che il soggetto non ha verificato e a cui non ha risposto in maniera psicologicamente adeguata e pertanto si trova a subire nella forma di Complesso. Questa percezione errata di sé produce malessere, risentimento; talvolta persistono vecchi rancori che, come a serpenti addormentati nell'inconscio, il soggetto fornisce nutrimento nella forma di risposte automatiche agli eventi, peggiorando nel tono e nei contenuti tutte quelle situazioni che in qualche modo gli rievocano le cause originarie che costituirono il Complesso in oggetto.

mercoledì 18 marzo 2009

SENTIMENTI E RISENTIMENTI.
di Marco Ferrini.


Ri-sentimento letteralmente significa “sentire un’altra volta”. In tali casi il soggetto rimane intrappolato in bolle psichiche generatesi nel passato che hanno motivo di esistere solo in esso e non appartengono quindi al presente. Il risentimento è dunque un tornare col sentire ad eventi passati. Questo è un errore gravissimo da compiersi, privo di ogni prospettiva di successo, in quanto solo staccandosi emotivamente da qualunque cosa successa ed occupandosi degli esiti, che ne sono gli effetti nel presente, si può trarre vantaggio da tutte le esperienze. La soluzione ai problemi va ricercata sempre nel presente, poiché relativamente al passato, qualsiasi cosa occorsa non esiste se non nei suoi effetti al presente appunto e, relativamente al futuro, ancora non si è manifestato per cui ci si occuperà di esso quando diverrà presente. Le persone di solito vivono prigioniere del passato e contemporaneamente proiettate nel futuro. L’ego si preoccupa sempre di mantenere vivo il passato perché in esso trova la propria – erronea – identità e si proietta costantemente nel futuro per cercarvi qualche fonte di godimento, perché così pensa di poter garantire la propria sopravvivenza. Quando questo tipo di persone, che sono poi la quasi totalità, guardano al presente, lo osservano con gli occhi del passato o lo riducono ad un mezzo rivolto a conquistare un obiettivo futuro. Nonostante le apparenze pochissime persone vivono nel presente, consapevoli che l’unica realtà è il presente, il qui ed ora. Le persone illuminate invece dimorano nel presente e compiono brevi visite nel passato e nel futuro, solo se necessarie per affrontare aspetti pratici del presente. Nel sedicesimo secolo l’astronomia conobbe una svolta clamorosa che venne chiamata rivoluzione copernicana (la concezione del sistema solare divenne da teocentrica ad eliocentrica); la comprensione che il presente è l'unica realtà esistente, potrebbe costituire un’altra svolta clamorosa e decisiva. Rimanere prigionieri del passato o proiettarsi nel futuro sono due forme di evasione. L’unico tempo reale è il presente. Chi agisce bene nel presente non deve preoccuparsi del futuro: grazie ad una potentissima legge psicologica che è la coazione a ripetere, chi compie il bene oggi è sicuro di compierlo anche in futuro e chi compie il male oggi è sicuro di compierlo anche in futuro, a meno che non si convinca ad attivarsi per la propria evoluzione positiva.

“Quando si dice che qualcuno è in un certo modo, qualche altro è in un altro modo, si deve intendere che lo si diventa a seconda delle proprie azioni, del proprio comportamento. Chi agisce bene diventa buono, chi agisce male diventa cattivo; virtuoso diventa con l’azione virtuosa e cattivo con la cattiva”.(Brihadaranyaka Upanishad, IV, 4, 5).


Il risentimento, anche se riferito a torti o ingiustizie reali, non permette di vivere bene: a volte diviene una vera e propria dipendenza ricercare i torti, perché ormai si è assuefatti al risentimento e, se non si trova qualche torto, lo si inventa. Il risentimento, come una vera e propria droga, crea dipendenza e diviene un’abitudine emotiva: questa è la caratteristica di una mente malata. I
l saggio vede un torto e lo riduce a zero tollerando il comportamento dell'offensore in virtù della maturata comprensione che chi compie un torto, lo fa a causa dei propri condizionamenti ed è per questo da considerarsi una persona sfortunata, che non necessita quindi di una punizione supplementare. Colui che si sente per abitudine vittima di ingiustizie si immedesima nel ruolo della vittima, portando in sé quel risentimento che cerca di volta in volta un appiglio cui aggrapparsi, reale o immaginario che sia. Infatti diviene semplice, con questo tipo di predisposizione, cogliere la ‘prova’ dell’ingiustizia o convincersi di essere stati oggetti di un torto anche se obiettivamente si è ricevuta un'osservazione innocente o si è incappati in una circostanza sommariamente neutrale. Il risentimento abituale porta inevitabilmente all’autocommiserazione, che è uno dei sentimenti peggiori che si possano nutrire, in quanto coloro che si lasciano invadere da questo sentimento disperdono tutte le loro energie nel trovare giustificazioni a proprie carenze e difetti, incolpando le altre persone per questi. In tal modo non rimangono loro ulteriori energie da investire in positivo, per comprendere le possibile soluzioni al problema e per adoperarsi costruttivamente nell'applicarle. Quando queste abitudini si sono sedimentate, la persona comincia a cercare con ansia le “ingiustizie” e non si sente a suo agio quando esse sono assenti. Questi individui si sentono “bene” solo quando subiscono torti, è si potrebbe ipotizzare che questo perverso meccanismo sia una delle dinamiche alla base del cosiddetto masochismo. Il risentimento e l’autocommiserazione vanno poi di pari passo con una immagine inferiore e inefficiente di se stessi: una vittima creata proprio per essere infelice. Il risentimento non è provocato dagli altri, dagli eventi o dalle circostanze, ma dalla vostra risposta emotiva alle situazioni. Solo voi avete il potere di farlo sorgere e potete controllarlo solo se vi convincete fermamente che risentimento e autocommiserazione non conducono alla felicità e al successo ma alla sconfitta e all’infelicità, sempre. Chi si nutre di risentimenti non riesce a concepire se stesso come un individuo fiducioso di sé, autonomo, capace di prendere le sue decisioni, timoniere sicuro della propria vita, responsabile quindi del proprio destino. Un individuo malnutrito lascia le redini agli altri, che gli detteranno come deve sentire e come deve agire. Egli dipende interamente dagli altri, come un mendicante; e se qualcun altro vorrà dedicarsi a farlo felice, si sentirà pieno di rancore nel momento in cui questo non accadrà più. Se nutrite la convinzione che gli altri vi devono eterna gratitudine, stima o riconoscimento, vi risentite se questi debiti non vengono continuamente pagati e se ritenete che la vita vi debba una determinata qualità di esistenza, proverete lo stesso risentimento qualora l’aspettativa non si avverasse. Il risentimento è incompatibile con la lotta creativa verso una meta, perché in questa lotta voi siete attori, non spettatori passivi, siete voi a stabilire i vostri traguardi. Il risentimento non fa parte di questo schema e per questo costituisce un meccanismo per il fallimento: nessuno vi deve niente, siete voi che perseguite i vostri scopi, siete voi gli unici responsabili del vostro successo e della vostra felicità!
Tratto da 'Pensiero, Emozioni e Realizzazione'.

giovedì 12 marzo 2009

GENITORI E FIGLI.
di Marco Ferrini.

Nei periodi di sconvolgimento sociale come quello che stiamo vivendo è doveroso chiedersi se e come possano sopravvivere rapporti familiari delicati ed essenziali come quelli tra genitori e figli, senza che si smarriscano il senso e lo scopo ultimo di questa relazione basilare per ogni individuo, per la nostra crescita psicologica ed esistenziale. Genitori e figli, oggi, con una struttura familiare sempre meno imperniata su valori morali e spirituali, rischiano di naufragare in una specie di "terra di nessuno" dai confini incerti, dove sentimenti, ruoli e comportamenti devono essere spesso reinventati e sperimentati a prezzo di gravissimi danni umani ed economici. Nell'attuale momento socio-storico l'influenza della cultura atea, materialista, ha progressivamente distolto l'attenzione della grande maggioranza della gente da un percorso di sviluppo interiore, accreditando al suo posto pseudo-valori che hanno profondamente trasformato e deformato il concetto di famiglia. La tecnologia ha dato un poderoso impulso alla scienza nei campi della ricerca genetica, della bioingegneria, dell'inseminazione artificiale, ma si è altresì sviluppata una generalizzata degenerazione etico-comportamentale, con il boom ad esempio degli aborti e dei divorzi. Tutto ha ovviamente contribuito a stravolgere il tradizionale rapporto tra marito e moglie e tra genitori e figli, al punto da dover riscrivere il diritto di famiglia per tener conto di tutte le odierne alienità. Secondo recenti statistiche del CENSIS i giovani italiani restano in casa più a lungo, tendono a cercare lavoro sul posto e confidano nella famiglia per trovarlo, passano il tempo con gli amici, si dedicano allo sport, non hanno grandi ambizioni nè alti ideali. A prima vista sembrerebbe un quadro idilliaco ma non è così. Basti ad esempio pensare all'esercito di ragazze madri, molte delle quali poco più che bambine, o al sistematico massacro di figli non ancora nati, vittime inermi di un crimine legalizzato di procreatori irresponsabili che diventano abortisti senza scrupoli, oppure alle migliaia di vittime della droga, o a tutti quei giovani che fanno uso di alcool e vanno ad infoltire le fila degli oltre 40.000 morti l'anno. Altro segno del disagio é la disperazione dei figli di coppie divorziate o di quelli che pagano pesantemente il conto della violenza familiare sempre più diffusa. In un mondo che pare impazzito, le prime vittime sono proprio i bambini. Uno scioccante studio rivela che un bimbo su quattro è, più o meno seriamente, malato di mente. Ad un’attenta lettura di queste statistiche non sfugge certo la grande carenza di valori etici e spirituali, né il fatto che la famiglia abbia smarrito il fine trascendente dell'esistenza. Per lo più oggi la religione è ridotta a mera formalità e Dio viene chiamato in causa solo perché garantisca quel benessere materiale che pare essere diventato l’unico scopo dell’esistenza. Genitori e figli, e anche moglie e marito, hanno spesso interessi privati che contrastano con lo spirito unitario della famiglia, per cui non raramente convivono solo per convenienza in una relazione svuotata di ogni significato sacro. Quando uno dei due coniugi, infatti, non ha più il suo tornaconto egoistico, mostra rapidamente l'assenza di spirito di sacrificio rompendo senza indugi e senza rimorsi il legame familiare. Molti percepiscono la famiglia non come entità sacra, piuttosto come società a responsabilità limitata, dalla quale si esce quando si vuole purché ci si accordi economicamente. Il tradimento e il divorzio diventano pratica comune e, nel delirio dell'illusione, la sfortuna viene scambiata per fortuna. I genitori lavorano entrambi per provvedere ai sempre crescenti pseudo-bisogni imposti dalla cultura consumistica e i giovani risentono negativamente della quasi totale mancanza di educazione e di esempio da parte dei genitori. L'educazione dei figli viene di fatto delegata ad estranei o ai mass media. La famiglia, come descritta dalle sacre scritture vediche, costituisce una delle quattro tappe del progresso umano verso la liberazione dai condizionamenti, finalizzata a dare affetto, protezione ed educazione ai suoi componenti. La famiglia tradizionale era forte perché poggiava le fondamenta sui princìpi spirituali. Era costituita dai nonni, dai genitori, dai fratelli, dagli zii, dai cugini. Le responsabilità e i ruoli erano ben definiti e venivano appresi sin dall'infanzia. Con essi si imparavano il rispetto, la reverenza e l'amore per Dio, per i familiari e per tutti gli esseri viventi, umani e non. Nella famiglia il ruolo dei genitori è decisivo per il progresso dei figli. Il modello e l'efficacia del loro insegnamento deriva essenzialmente dall'esempio. Solo se essi sono eticamente e spiritualmente evoluti, al tempo stesso austeri e amorevoli, leali con tutti, giusti e generosi, potranno ispirare nei figli un comportamento analogo, e riceveranno in cambio rispetto e amore. Nella civiltà vedica i giovani frequentavano fino all'età di 25 anni la scuola del guru, dove venivano istruiti anche sulle responsabilità familiari. Essi non potevano sposarsi prima di aver ricevuto dal Maestro il riconoscimento di maturità spirituale, indispensabile per entrare con successo nella vita di famiglia.2 Era decisamente sconsigliato assumersi il ruolo di genitore o di marito se non si era capaci di facilitare il progresso spirituale dei propri figli, della moglie e degli anziani della famiglia.3 Nella famiglia vedica il padre é il maestro spirituale naturale della famiglia (shiksha guru), insegna con l'esempio, provvede a tutte le necessità e protegge i familiari dai pericoli della vita, educa i figli e li aiuta nella scelta del maestro spirituale che darà loro l'iniziazione (diksha guru) e che li guiderà gradualmente verso la riscoperta della loro natura profonda e della loro relazione con Dio. La donna viene educata con cura fino dalla più tenera età affinché sviluppi le virtù indispensabili al successo nella vita familiare: la castità, la collaborazione amorevole con il marito e la cura dei figli e della casa. La moglie è l'assistente più intima del marito e madre generosa e amorevole: come tale è amata e rispettata da tutti i membri della famiglia. Il marito, a sua volta, è educato a trattare la moglie con grande rispetto e a provvedere ai suoi bisogni secondo le proprie possibilità, ma soprattutto ad aiutarla, attraverso il proprio esempio, nell’avanzamento spirituale. Nei Veda la moglie è descritta come la metà del corpo del marito ed ella sa che non può raggiungere la liberazione (moksha) senza aver compiuto i propri doveri verso di lui e verso la famiglia. Il marito, a sua volta, è cosciente che non può liberarsi se non avrà salvato la propria famiglia, che da lui dipende. Il lavoro, la preghiera, il cibo, i matrimoni, le nascite e le morti, tutta la vita familiare viene vista come una serie di attività tese alla purificazione e all'avanzamento spirituale per mezzo del servizio di amore e devozione a Dio (bhakti-yoga) fino a raggiungere la perfezione. In questo contesto la casa diventa come un tempio, pervasa di spiritualità: è un monumento alla devozione in cui si gioisce del vivere servendo e adorando il Creatore; vi si conduce un'esistenza pura, semplice e santa. L'educazione dei figli, affinché da adulti siano capaci di impostare con successo la loro vita familiare, diventa il principale scopo dei genitori. Niente è lasciato al caso: la nascita e la crescita dei figli è regolata da pratiche vediche dette samskara. In lingua sanscrita figlio si dice putra, che significa ‘colui che salva il padre dalle conseguenze del peccato’ (letteralmente: dall'inferno detto pu). Il padre che investe le sue energie nell'educazione spirituale dei figli guadagna meriti pari alla somma di quelli ottenuti da chi avrà compiuto ogni specie di sacrificio (yajna), penitenza (tapas), pellegrinaggio (parikrama), donazione di ricchezze (dhana) e studio dei Veda (svadhyaya). Canakya Pandita, un grande saggio vissuto in India circa 2.300 anni fa, nel suo celebre Niti-shastra insegna che i figli vanno scusati con dolcezza fino all'età di cinque anni, educati con cura e fermezza fino a quindici, poi trattati come amici per il resto della vita. Rimproverare duramente i figli in età superiore ai quindici anni, qualora non abbiano ancora ricevuto un'adeguata educazione e sviluppato sufficiente stima e rispetto nei confronti dei genitori, significa correre il rischio di trasformarseli in nemici. Il saggio Canakya dice che avere figli che non siano nè devoti di Dio, nè studenti della scienza sacra, è come avere occhi che non vedono, inutili fardelli che procurano solo dolore. Oggi le condizioni sociali sono talmente peggiorate che tante persone hanno una vera e propria paura di fondare una famiglia; non si fidano e temono di crearsi un futuro tempestoso; prevedono tradimenti e malversazioni da parte dei familiari, ricatti e cause legali, insomma una vita d'inferno. Tuttavia, pur tenendo conto delle enormi ed oggettive difficoltà che oggi ostacolano chi si accinge ad entrare nella vita di famiglia, chi non fosse ancora pronto a rinunciare al desiderio di diventare marito o moglie, padre o madre, sappia che, dal punto di vista sociale, non è mai stata disponibile un'alternativa positiva alla famiglia e che tutte le invenzioni umane in tal senso si sono sempre rivelate dolorosi fallimenti. Se la famiglia così come si presenta oggi non sembra affidabile, se marito e moglie soffrono di mancanza di fiducia reciproca, se genitori e figli si guardano con sospetto, che fare? Come umani soffriamo di troppi limiti, meglio implorare l'aiuto del Signore e percorrere un cammino sperimentato di progresso spirituale per la destrutturazione dei condizionamenti inconsci, l’armonizzazione della personalità e l’elevazione della coscienza, che consenta una migliore relazione con se stessi e con gli altri e la percezione e visualizzazione di livelli superiori di realtà. Con la coscienza vivificata diventa possibile organizzare la vita familiare e sociale senza ansietà, strutturando gradualmente le proprie abitudini e relazioni umane sul modello e sui valori indicati dai saggi di tutti i tempi.

mercoledì 11 marzo 2009

OSTACOLI COME OPPORTUNITA' DI CRESCITA.

In tempi antichi, un re fece collocare un’enorme pietra in mezzo ad una strada. Poi, nascosto, rimase ad osservare per vedere se qualcuno si sarebbe preso la briga di sgombrarla da quell’ostacolo che ne impediva il corretto uso. Mercanti ed altri ricchi sudditi passarono da là, tutti si limitarono ad aggirare il masso. Alcuni persino protestarono contro il re dicendo che non manteneva le strade pulite, ma nessuno di loro provò a spostare la pietra da lì. Ad un certo punto passò un contadino con un grande fascio d’erba sulle spalle; avvicinandosi al pietrone poggiò il carico al lato della strada e tentò di spostare la roccia. Dopo molta fatica e sudore, aiutandosi con il bastone con cui aveva trasportato il fascio d’erba, riuscì finalmente a smuovere la pietra spostandola oltre il bordo della strada. Tornò indietro a prendere il suo carico e, quando stava per mettersi in cammino, notò che nel luogo in cui prima stava la pietra c'era una piccola borsa. La borsa conteneva molte monete d'oro e una pergamena scritta dal re che diceva che quell'oro era per la persona che avesse rimosso la pietra dalla strada. Il contadino imparò quello che molti di noi neanche comprendono:
Tutti gli ostacoli sono un'opportunità per migliorare la nostra condizione, in verità servono a darci un’opportunità per superare i nostri limiti.


Ignis aurum probat, miseria fortes viros.
Il fuoco testa l’oro, gli ostacoli testano la forza morale degli uomini.
(Seneca)
COME PROGETTARE E REALIZZARE I NOSTRI SOGNI.
UN PERCORSO ALLA SCOPERTA DELLE POTENZIALITA' DEL PENSIERO
E DEL DESIDERIO DELL'ESSERE UMANO
ATTRAVERSO GLI INSEGNAMENTI DELLA PSICOLOGIA YOGA.

di Marco Ferrini.

giovedì 5 marzo 2009

LOGOS ED EROS NELLA PERSONALITA' MASCHILE E FEMMINILE:
INTEGRAZIONE, ARMONIZZAZIONE
E SUPERAMENTO DEGLI OPPOSTI.
di Marco Ferrini


La Psicologia indovedica spiega che l’individualità dell’essere è eterna, immutabile e di natura spirituale, mentre la personalità è in transito ed è, come spiegava anche Jung, costituita dalla somma dei contenuti psichici con i quali l’io si identifica. Le esperienze, le impressioni, i fatti e le circostanze esteriori modificano la personalità ma non l’individualità. Una personalità che si sviluppa in maniera armonica, senza conflitti intrapsichici, è in grado di interagire bene ed integrarsi con gli altri. I conflitti nelle relazioni rappresentano infatti l’esito delle problematiche irrisolte dentro di noi. Integrazione ed armonizzazione della personalità sono possibili sviluppando in noi qualità e facoltà carenti, portando al contempo a maturazione quelle già acquisite e dalle quali trarre l’energia e la forza necessaria per colmare le lacune superando i nostri limiti. Alcune funzioni psicologiche in certi caratteri sono deboli costituzionalmente, ovvero dipendono dalla peculiare natura della persona e dal tipo psicologico che la caratterizza. Vi sono ad esempio individui molto dotati di razionalità operativa e senso pratico, con grandi capacità di concretizzare idee e progetti. Altri invece in cui è maggiormente sviluppata una naturale propensione immaginativa verso l’intuito, l’arte, la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Ci sono poi casi in cui alcune qualità di un individuo si sono arenate ad uno stadio infantile e primitivo di sviluppo, non tanto per debolezze costituzionali, quanto a seguito di circostanze e fattori esterni che hanno causato traumi nella personalità, con conseguenti rimozioni ed inibizioni inconsce. I traumi producono determinate inclinazioni e tendenze nella personalità, irrompendo talvolta a livello cosciente in modo tumultuoso e lasciando il soggetto in un grave stato di disorientamento, confusione e sofferenza. La personalità storica, quella di cui possiamo raccontare in senso autobiografico, è sovente caratterizzata da uno squilibrio tra ciò che potremmo definire il principio del Logos e quello dell’Eros. Logos, che in greco significa verbo, parola, ragione, è il principio di conoscenza, tradizionalmente associato agli uomini e alla mascolinità. Il Logos ricerca il sapere, l’analisi, la chiarezza e gli spazi ben delineati. E’ la legge dell’intelletto e della mente umana. Serve a ben orientarsi. L’Eros, termine che deriva dal nome del figlio della dea Afrodite, può essere definito come il principio di accoglienza, unione e collegamento, la sfera emozionale, generalmente associata alle donne e alla femminilità. L’Eros cerca il calore, l’affetto, la sensibilità e la spontaneità. A questi due princìpi archetipici corrispondono due diverse categorie di conoscenza e di approccio alla realtà: la conoscenza razionale e mediata, fondata sul ragionamento, sulla deduzione, sul senso critico e sullo spirito di analisi, e la conoscenza immediata che si nutre della capacità intuitiva. La polarità tra il lato femminile e quello maschile è una delle principali che troviamo nell’animo umano. Generalmente la persona tende infatti a dare maggiore risalto all’uno o all’altro di questi aspetti (maschile o femminile), solitamente a quello che la rispecchia anche fisicamente. Nel corso della storia la società umana ha favorito più spesso l’aspetto maschile rispetto al femminile. Piuttosto di riconoscere che la personalità evoluta di ogni uomo e di ogni donna dovrebbe essere il risultato di un’azione reciproca e integrata tra maschile e femminile, si è venuto spesso a creare un ordine statico, quasi dicotomico, nella convinzione che le donne abbiano caratteristiche unilateralmente femminili e gli uomini unilateralmente maschili. Scambiando poi la forza fisica per la forza morale, considerando la razionalità dell’intelletto come superiore in ogni caso all’intuitività del sentimento, agli uomini sono stati assegnati ruoli predominanti e privilegiati nella guida del governo e della società. In verità nessuno è esclusivamente uomo o donna, perché nella personalità di ognuno sono compresenti caratteristiche maschili e femminili, in misura maggiore o minore a seconda dei residui karmici di esperienze compiute in questa vita o nelle precedenti, laddove abbiamo indossato corpi di uomini e donne con forme mentis peculiari, i cui tratti ancora permangono nelle nostre attuali tendenze, propensioni caratteriali, talenti e difetti innati. Accade spesso che nell’uomo tendano a rimanere involute, sconnesse e mal integrate le facoltà che appartengono alla sfera dell’Eros, mentre nella donna si avvertono generalmente maggiori carenze sul piano del Logos. Lavorare all’integrazione della personalità è fondamentale per acquisire il meglio delle caratteristiche maschili e femminili sviluppandole a prescindere dal proprio genere. In verità, infatti, noi non siamo né uomini né donne, ma essenze uniche ed eterne (atman) caratterizzate in origine da un’individualità armonica di natura puramente spirituale. L’essere incarnato, pur essendo portatore di un corpo di genere femminile o maschile, non deve identificarsi né con il genere né con il corpo, rammentando che l’uno e l’altro sono un fatto temporaneo ed esterno alla propria natura profonda e originaria, una maschera che deriva dalle esperienze compiute e dalle tendenze acquisite, da samskara e vasana. Come accennato, il Logos designa la razionalità, il pensiero, l’audacia nelle argomentazioni logiche e nella capacità di analisi. Sovente accade che chi ha queste qualità molto ben sviluppate sia invece tremendamente carente sul piano affettivo, nei sentimenti, nelle intuizioni, nella sensibilità. Non è raro che una facoltà o tendenza della personalità prenda il sopravvento, venga estremizzata ed ipersviluppata a scapito di altre parimenti importanti. In alcune persone certe caratteristiche tipicamente maschili risultano ad uno stadio infantile, per cui la lucidità e il distacco emotivo appaiono inadeguati, emergendo invece con forza tendenze all’azione impulsiva, ad un’intuizione spesso erronea perché condizionata da un’istintività e passionalità che il soggetto non sa gestire. Quando il sentimento non è illuminato dalla razionalità si rivela fortemente dannoso, scadendo nella passione cieca e nel sentimentalismo. L’impulsività e il desiderio si sostituiscono alla corretta visione delle cose, portando a conclusioni affrettate, infondate e fallaci, prodromi inevitabili di delusione e sofferenza. L’Eros, che è il mondo dell’affettività e dei sentimenti, si trasforma in un turbinio di passioni gravi, tenebrose, incontenibili e torbide se non è rischiarato dal lume discernente dell’intelletto tramite la forza del ragionamento (vitarka), della riflessione (vicara) e dell’osservazione matura e distaccata (vairagya). Analogamente il Logos, se non è ben equilibrato ed integrato con la sfera dell’Eros, rischia di soffocare emozioni e sentimenti positivi con una razionalità sterile. Anche le neuroscienze indicano che i due emisferi cerebrali sono deputati a ruoli e funzioni diverse: l’emisfero sinistro è preposto a quelle funzioni prettamente maschili legate al processo cognitivo, logico-razionale, mentre l’emisfero cerebrale destro è la sede delle emozioni, della creatività, e dunque delle caratteristiche e propensioni tipicamente femminili. Occorre imparare ad armonizzare la funzione psicologica estrovertita con quella introvertita, valorizzando ed integrando Logos ed Eros.Potremmo dire che, a prescindere dal corpo fisico che indossiamo, la nostra natura è androgina, nutrita dalla compresenza a livello biologico e psichico di tratti maschili e femminili.Come spiega Krishna nel sesto capitolo della Bhagavad-gita (VI.6), una mente squilibrata, ribelle e selvaggia è il peggior nemico dell’essere umano. Per contro, chi conquista la mente, arrivando a percepirla come strumento nelle mani del sé, ritrova se stesso e ottiene tutto quel che desidera. Nella Bhagavad-gita (II. 54-55) Arjuna chiede a Krishna: “Quali sono i sintomi di una persona la cui coscienza è immersa nella trascendenza? Come parla e con quali parole? Come si siede e come cammina?” Krishna risponde “O Partha, la persona che si libera da ogni desiderio di gratificazione dei sensi generato dalla speculazione mentale, e con la mente così purificata trova soddisfazione soltanto nel sé, è situata nella pura coscienza spirituale”. In quest’ultima strofa compare un termine molto interessante, mano-gatan, che indica le fughe della mente, le corse letali per inseguire bramosie effimere e piaceri illusori. Certi squilibri mentali e aspetti involuti della personalità sono spesso poco conosciuti e compresi, non raramente vengono infatti svalutati e negletti a causa di condizionamenti culturali, mentre l’individuo rimane in uno stato crescente d’immaturità psicologica che, se non sanato, arriva a produrre anche gravi patologie e disturbi comportamentali. È dunque un onere imprescindibile quello di occuparsi seriamente dell’eliminazione di scompensi e disarmonie a carico della personalità, prima che esse si strutturino radicandosi in profondità. In un mondo dominato dall’elemento maschile, con tendenze discriminatorie nei confronti degli aspetti femminili, dove permane comunque la propensione ad un’identificazione totalizzante con il corpo e con il genere, questa ricerca di integrazione non sempre risulta tra le più facilmente accettabili. La cultura Bhaktivedantica insegna a guardare con lo stesso rispetto a donne e uomini, non immedesimandosi unilateralmente in un genere o nell’altro, perché l’immagine che ci rimanda lo specchio non corrisponde alla nostra natura originaria e profonda. Il sé è ben oltre le connotazioni storiche e temporanee di maschio e femmina, la sua identità pura mente spirituale è definita in sanscrito nitya svarupa ed in essa trovano perfetta sintesi ed espressione qualità maschili e femminili. Il sé è l’essenza spirituale (atman) e il centro unificatore della coscienza, è l’individualità unica ed eterna, la quale non risente ontologicamente delle patologie che affliggono il corpo e la mente. Come spiega anche Jung, grande studioso di opere indovediche, l’individuazione del sé è la chiave di volta di tutti i processi di evoluzione e di crescita umana. La scoperta dell’atman permette al soggetto di centrarsi in sé stesso, di ritrovare il proprio baricentro. Essa armonizza ed equilibra tendenze opposte, sana le contraddizioni e i conflitti dell’io storico, amplificando la coscienza in direzione della sua universalità. Per spiegare il principio universale del sé Jung elabora un interessante parallelismo con il processo alchemico. Gli antichi alchimisti si proponevano di trasformare la materia grezza in oro filosofale e nella Nigredo alchemica Jung vede il confronto con l’ombra della personalità, nell’Albedo il confronto con gli archetipi dell’Anima e dell’Animus e nell’Opus la scoperta della coscienza integrata del sé. L’esperienza di unione e integrazione degli opposti complementari si consegue con il raggiungimento di un livello superiore di coscienza, nel quale le categorie del mondo e del pensiero ordinario vengono trascese conciliandosi in una unità dinamica. Come asseriva Lewin, “le parti sono diverse dalla loro somma”. Nella Bhagavad-gita (II.45) colui che ha trasceso la forza magnetica degli opposti è definito nirdvandva. Per i latini eludere i campi di forza degli opposti era la “congiuntio oppositorum” ricercata da tutti coloro che capivano che esiste una dimensione superiore di completezza, libertà e amore, in cui ci si può esprimere all’infinito senza le catene dei condizionamenti e della convenzionalità.
Tratto dal libro 'Dall'Eros all'Amore'.


IL SOGNO.
di Marco Ferrini.

Generalmente le persone ritengono reale solo l’esperienza nello stato di veglia: si tratta di una gravissima riduzione della nostra capacità di vedere come le cose stanno nella realtà. L’esperienza onirica ha una notevole influenza, in parte profonda e inconscia sulla coscienza totale, che non è rappresentata solo dalla coscienza di veglia; i sogni sono una parte importante della nostra esperienza, sebbene siano stati praticamente rimossi dalla cultura moderna tranne in ambiti specifici, in cui rappresentano, per usare le parole di Freud, la via regia d’accesso all’inconscio. Nelle società tradizionali al sogno veniva attribuita grande importanza (pensiamo anche alla Bibbia, al ruolo di Giuseppe consulente dei sogni del faraone), ma come insegna anche la letteratura psicologica occidentale, il sogno non si presenta in una forma immediatamente identificabile, quindi non lo si deve interpretare secondo lo schema logico-razionale. Il sogno parla il linguaggio della favola, del mito, del simbolo. Il simbolo è un archetipo, come lo sono il maestro, il padre, la madre, la terra, il sole, tutti elementi che hanno importanza per la nostra formazione interiore. Possiamo scegliere se porci in relazione ad essi in una forma sbagliata, e quindi dar vita a distorsioni della personalità, oppure se farlo con atteggiamento aperto, positivo, di apprendimento, per imparare. Allora scopriremo che ciò che è sfuggito all’ego, che domina la funzione di veglia, è riproposto in forma onirica per reintegrare la personalità. Il sogno può trasformarsi in incubo oppure in esperienza gioiosa o addirittura mistica, nella sperimentazione di qualcosa di cui nella coscienza di veglia non abbiamo esperienza, intuizioni brevi come un lampo che aprono ad un sapere, ad una risoluzione cui non avevano provveduto magari lunghi anni di applicazione e di studio. Il sogno talvolta lascia segni duraturi nella coscienza, che permangono anche nello stato di veglia, originando effetti anche sul piano fisico. Il sogno, allora, è in relazione al livello di coscienza dell’individuo? Sì, ciascuno di noi può davvero progettare i propri sogni. Non nell’immediato o solo per mera curiosità, né per l’atteggiamento morboso di poter sperimentare di notte quel che non ci è dato sperimentare di giorno, bensì per acquisire elementi di integrazione per la coscienza e porci nella dimensione di veglia in armonia con le leggi e le energie che pervadono e sostengono il cosmo, entrando in risonanza con esse e con la loro funzione nella progettualità globale. L’esperienza onirica è progettabile non in maniera egoica e opportunistica, ma come parte di una realtà più ampia, che porta alla conoscenza di sé e infine alla realizzazione spirituale. Allora accadrà che i nostri sogni, siano essi ad occhi chiusi o ad occhi aperti, saranno sostenuti dall’ordine cosmico, da quell’armonia universale che gli antichi indiani hanno definito dharma. Nel Mahabharata, la monumentale epica indiana, è detto che chi sostiene il dharma è dal dharma sostenuto, chi lo calpesta è dal dharma calpestato: così avviene anche nello stato onirico. La nostra coscienza è un unicum: dallo stato di veglia a quello di sogno, a quello di sonno profondo e di supercoscienza. L’esperienza onirica interviene nel modificare la coscienza esattamente con lo stesso valore dell’esperienza di veglia. Non è che il sogno sia qualcosa di falso e la veglia qualcosa di vero e concreto, sono entrambi due stati di realtà relativa. Così come vi sono diversi stati della materia (solido, liquido e gassoso), esistono anche vari livelli di coscienza, e quel che facciamo nello stato di veglia, certamente influisce su ciò che accade nello stato di sogno. Un sogno che agita, preoccupa, inquieta e angoscia impedisce il buon funzionamento del corpo esattamente come se queste emozioni fossero provate da svegli; sul corpo producono lo stesso effetto. Così, se nella veglia si soffre per un disturbo della personalità, questo compare, seppur camuffato, anche nel sogno; e similmente se l’individuo è portatore di una coscienza elevata, essa si mantiene anche in fase onirica. Il saggio riesce a determinare la realtà e ad essere presente e cosciente anche nel sogno. Dunque, dobbiamo preoccuparci dei nostri sogni, quanto ci preoccupiamo del nostro stato di veglia. Se da svegli aderiamo deliberatamente al dharma, ciò avverrà anche durante il sonno, ciò producendo uno stato di gioia permanente.
Tratto da 'Come Progettare e Realizzare i Nostri Sogni'.