giovedì 26 febbraio 2009

LA PERCEZIONE: REALTA' O ILLUSIONE? di Diana Vannini

“I miei rispettosi omaggi a Shri Krishna, figlio di Vasudeva, che è Dio, l'onnipotente Persona Suprema. Medito su Shri Krishna, la Verità Assoluta, la causa prima di tutte le cause della creazione, mantenimento e distruzione di tutti gli universi manifestati. Egli è direttamente e indirettamente cosciente di tutte le cose manifestate ed è indipendente perché non c'è altra causa al di là di Lui. In origine Lui e nessun altro insegnò la conoscenza vedica ad ogni essere creato, Brahmaji, nel suo cuore. Per Suo volere, questo mondo, semplice miraggio, assume un aspetto tangibile anche per i grandi saggi ed esseri celesti. Per Suo volere, gli universi materiali, prodotti illusori delle tre influenze della natura, appaiono come l'immagine stessa della realtà. Medito dunque su di Lui, Shri Krishna, che è la Verità Assoluta, eternamente vivente nel Suo regno spirituale, per sempre libero dalle illusorie manifestazioni del mondo materiale.” Bhagavata Purana I.1.1.

Questo shloka, che apre una delle più grandi opere letterarie che l'umanità abbia conosciuto, il Bhagavata Purana o Shrimad Bhagavatam(1), afferma che “questo mondo, semplice miraggio, appare come l'immagine stessa della realtà anche a saggi illuminati”.
Qualsiasi sia la nostra formazione sociale e culturale, quotidianamente ci troviamo di fronte a fenomeni cui spesso non prestiamo la sufficiente attenzione, ma che rivelano la limitatezza del nostro sistema percettivo, in particolare della vista. Al contrario di quanto si pensi comunemente, proprio per l'immediatezza del dato percettivo che maschera la complessità del processo sottostante, la nostra percezione del mondo non è uno specchio fedele della realtà che ci circonda. Basti pensare che i dati sensibili che pervengono al nostro sistema cognitivo sono filtrati dallo specifico sistema sensoriale di cui siamo dotati come specie animale e quindi, per esempio, in qualità di esseri umani non siamo in grado di percepire ultrasuoni o raggi ultravioletti, seppur ben presenti nel mondo. Questo tipo di fenomeni in cui è presente un effetto di modificazione fisiologica - per esempio l'abbronzatura - senza esperienze percettive legate al fenomeno che l'ha prodotta (raggi ultravioletti), viene detto di assenza fenomenica.
Il tranello in cui i nostri sensi possono cadere non concerne solo situazioni come la precedente dove non vi è percezione sebbene sia presente un oggetto fisico, ma anche situazioni opposte, ovvero dove un oggetto viene percepito seppure non presente. Osservando la figura seguente è possibile notare come il triangolo bianco che sembra emergere dallo sfondo non sia di fatto delimitato da segmento alcuno o tracciato in alcun modo, eppure riusciamo a coglierlo.
Triangolo di Kanizsa (1955)

Un altro caso in cui ci troviamo di fronte a contraddizioni percettive eclatanti è quello in cui non vi è corrispondenza fra l'oggetto fisico e la nostra effettiva percezione dello stesso. Questo riguarda numerosi fenomeni percettivi di cui un esempio, quotidiano, è quello della cosiddetta “illusione della luna”: la percezione della luna (o del sole) all'orizzonte, nonostante l'oggetto osservato sia il medesimo e la distanza dal punto di osservazione anche, appare due o tre volte più grande rispetto a quando la stessa si trova allo zenit. Questo accade perché il processo percettivo tende a confrontare l'oggetto percepito con altri elementi sullo sfondo o vicini (luna all'orizzonte), il che inficia la percezione dell'oggetto stesso facendolo apparire più grande rispetto a quando è privo di termini di paragone circostanti (luna alta nel cielo).
Una delle spiegazioni, sebbene non l'unica, per questo fenomeno è stata ricondotta ad una simile illusione scoperta da Mario Ponzo il quale nel 1912 disegnò due linee parallele della medesima lunghezza al termine di binari convergenti, dimostrando come quella posta più in alto apparisse più lunga di quella più in primo piano, perché occupante apparentemente una distanza maggiore fra i binari. Questa legge può riassumersi come l'illusione per cui un oggetto posto al termine di una prospettiva appare più grande. Esistono numerosi esempi di queste illusioni percettive, di seguito ne illustreremo alcuni:

Il cerchio interno, sebbene sia il medesimo, sembra più grande nella figura di sinistra, per l'influenza degli stimoli circostanti. Illusione di Titchener.


Le due linee orizzontali parallele sono della stessa lunghezza, ma quella superiore sembra più lunga di quella inferiore. Illusione di Muller-Lyer.

Le linee oblique, sebbene siano tutte parallele, sembrano convergere o divergere verso una direzione. Illusione di Zollner.

Interessanti sono anche i fenomeni per cui immagini statiche appaiono in movimento, le cosiddette illusioni di movimento, di cui due esempi sono di seguito riportati:
Il mondo delle illusioni ottiche non si limita a deformazioni che riguardano figure geometriche, ma concerne anche figure ambigue che possono essere interpretate in modo differente, come nel caso della figura di Boring da egli stesso chiamata “la giovane e la suocera”, poiché è possibile vederci sia una giovane donna girata che il profilo di una vecchia signora.

Inoltre non è possibile non citare come peculiari fenomeni percettivi, quelli relativi agli oggetti o prospettive impossibili, di cui M.C. Escher (1898-1972) fece il leit motiv di tutte le sue opere più famose, marchio indiscusso del proprio genio.
Triangolo di Penrose

Scala di Penrose

M.C. Escher 1961, La cascata

Le interpretazioni di questi peculiari fenomeni percettivi che la storia della psicologia, secondo le diverse Scuole di pensiero, ha fornito nel corso degli anni, sono ricche e molteplici. Tuttavia, ciò di cui mi preme sottolineare l'importanza e la rilevanza, non è tanto svelare gli arcani meccanismi psichici sottostanti a tali fenomeni, quanto evidenziare che la realtà che spesso viene vissuta come oggettiva ed immutabile, non è che frutto di un complesso filtro soggettivo, prodotto della fisiologia e dell'esperienza vissuta da ognuno di noi. La differente disposizione sensoriale delle varie specie animali è confermata non solo dalla medicina o dalla biologia occidentale tradizionale, ma se ne può trovare riferimento anche nella Bhagavad-gita, shloka XV.9: “Ogni volta che si riveste di un nuovo corpo grossolano, l'essere vivente ottiene un particolare senso dell'udito, della vista, del tatto, del gusto e dell'odorato, che gravitano attorno alla mente. Egli gode così di una determinata gamma di oggetti dei sensi”.
La soggettività della percezione inoltre non è data soltanto da differenze inter-specie, ma anche da differenze inter-individuali legate alle esperienze vissute da ognuno, in particolare dall'esposizione, conscia o subliminale, a determinati tipi di stimoli. E' possibile identificare anche fattori individuali che influenzerebbero la percezione, per esempio stati emotivi o affettivi particolarmente intensi, come la depressione1; Allport (1955) differenzia questi fattori soggettivi in cinque categorie:
  • Bisogni organici: la fame e la sete per esempio possono determinare alterazioni nella percezione di stimoli legati al loro soddisfacimento(2);
  • Ricompense e punizioni: somme di denaro elargite o scosse elettriche inferte, sensazioni di successo e frustrazione, inficiano la percezione dello stimolo target nei diversi compiti cognitivi richiesti(3);
  • Valore individuale dell'oggetto: il modo in cui un oggetto si colloca secondo il giudizio dell'osservatore ne determina la velocità di riconoscimento percettivo, più rapida nella condizione di giudizio positivo (risonanza percettiva) e più lenta nel caso di giudizio negativo (difesa percettiva)(4);
  • Valore dell'oggetto: ad esempio il valore economico di un determinato stimolo produce una sovrastima dello stesso quando viene chiesto di rievocarne a memoria le dimensioni(5);
  • Differenze individuali e personalità: tratti come l'accuratezza e precisione, la dipendenza dagli indici ambientali (dipendenza dal campo) o dalla posizione cenestesica del proprio corpo (indipendenza dal campo) influiscono tutte sulla percezione(6).
Quanto detto è solo un breve accenno a dimostrazione del fatto che la percezione sensoriale costituisce solo un livello superficiale di conoscenza dell'oggetto, sebbene la moderna cultura occidentale attribuisca ad essa il massimo valore. La cultura indovedica per contro, era ben consapevole di questa limitatezza legata al sensorio ed infatti descrive tre metodi (pramana) per l'acquisizione di conoscenza e per la comprensione della realtà, della verità delle cose e dei fenomeni che la circondano. Il primo livello, il meno attendibile, è appunto la percezione sensoriale (pratyaksha); pratyaksha significa ‘[ciò che è presente] davanti agli occhi’ (da prati ‘davanti’ e aksha ‘occhio’). Il secondo livello è rappresentato dal ragionamento o deduzione, anumana, che letteralmente significa ‘secondo l’opinione, secondo la mente’ (da anu ‘secondo’ e manas ‘mente, opinione’). Infine l'ultimo e più profondo metodo è costituito dall'ascolto (shabda), testimonianza orale proveniente da una fonte autorevole connessa ad una tradizione spirituale autentica. Nel contesto indovedico tale fonte è rappresentata dai Veda, emanazione letteraria della Verità assoluta in origine trasmessa oralmente.
La realtà percepibile con gli occhi ed i sensi fisici non è dunque l'unica disponibile, ne esiste anzi una molto più profonda, accessibile agli occhi dell'anima e ai sensi spirituali: la realtà dell'esperienza mistica.


(1) Costituito da 18000 versi (shloka), suddivisi in 12 canti (skanda) narra i principali giochi divini (lila) di Vishnu-Krishna e dei Suoi devoti, è il più importante fra i sattvika Purana e, insieme alla Bhagavad-gita, il testo più significativo per la tradizione Vaishnava.
(2) Metelli, 1970.
(3) Mc Clelland e Atkinson, 1948; Gilchrist e Nesberg.
(4) Schaefer e Murphy, 1943.
(5) Postman, Bruner e McGinnies, 1948; McGinnies, 1949.
(6) Carter e Schooler, 1949.
(7) Klein, 1951; Witkin, 1950.

Bibliografia:
Canestrari R., Psicologia generale e dello sviluppo, CLUEB, Bologna, 2002 (Prima Ed. 1984).
D'Urso V. e Giusberti F., Esperimenti di psicologia, Zanichelli, Bologna, 2000 (Prima Ed. 1991).
Shrimad Bhagavatam, A.C. Bhaktivedanta Shrila Prabhupada, Bhaktivedanta Book Trust.
La Bhagavad-Gita così com'è, A.C. Bhaktivedanta Shrila Prabhupada, Bhaktivedanta Book Trust.

COME ELIMINARE I PENSIERI DISTURBANTI. TRASFORMAZIONE DEI CONTENUTI PSICHICI TOSSICI IN SANA ENERGIA PSICO-ECOLOGICA di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

Il fenomeno della Percezione può così descriversi: un oggetto esterno, costituito dai cinque fondamentali elementi o bhuta (terra, acqua, fuoco, aria, etere) stimola il sensorio (indriya) che reagisce attivandosi. In questo modo, segmenti d'informazione prima esterni al soggetto penetrano nella coscienza sotto forma di vritti: in particolare di nomi (nama) e forme (rupa). Tali dati sensoriali entrati dalla coscienza, scivolano in breve tempo nell'inconscio andando a costituire un nuovo samskara o a rafforzarne uno precedente. La nuova esperienza sensoriale infatti andrà ad aggregarsi con tutte le altre esperienze simili precedenti, costituendo in tal modo costellazioni di samskara carichi di una potenza direttamente proporzionale al numero di esperienze agglomeranti. Subordinatamente, sul piano fisiologico, possiamo vedere questo processo come il rafforzamento di sinapsi relative a date esperienze sensoriali: le sinapsi sono le sedi di trasmissione dei segnali nervosi, di messaggi attraverso i quali le diverse parti del corpo rappresentate dalle singole cellule nervose comunicano tra loro. Una sinapsi è una congiunzione che, negli esseri umani, avviene, più frequentemente, tra un dendrite (fascio di fibre riceventi informazioni) di un neurone e l'assone (fascio di fibre che emette informazioni) di un altro neurone. Esistono tuttavia sinapsi fra dendrite e soma di neuroni diversi o fra dendrite e assone del medesimo neurone, ma sono casi più rari, in particolare l'ultimo. La stimolazione sensoriale avviene tramite trasmissione di impulsi elettrici, ovvero come trasduzione in energia elettrochimica di uno stimolo sensoriale, a livello delle sinapsi appunto; la natura dell'impulso veicolato tramite sinapsi può essere elettrica o chimica (prevalentemente per gli animali vertebrati superiori), eccitatoria o inibitoria. Il numero di neuroni presenti al momento della nascita tenderà a rimanere più o meno costante per il resto della vita, mentre il numero di connessioni si moltiplicherà vertiginosamente durante i primi anni di vita: basti pensare che a tre anni il numero di sinapsi per ogni neurone è pari a circa 10.000. Alcune di queste, attraverso l'esperienza vengono rafforzate, altre vengono rese inattive e quelle in eccesso eliminate, altre ancora rimarranno silenti perché meno utilizzate, pronte a riemergere nel caso di mancato funzionamento delle prime a causa di una patologia o disturbo cerebrale. Nell'uomo sono presenti circa 10^14 o 10^15 sinapsi, con possibilità di riorganizzazione fino a tarda età, come dimostrato da recenti ricerche sulla plasticità cerebrale. Le esperienze precedenti, che rappresentano schemi e visioni del mondo, griglie di preconcetti e pregiudizi, muovono coattivamente desideri, pensieri, azioni del soggetto dall'inconscio, sempre più denso e popolato di samskara, man mano che se ne formano di nuovi durante il ciclo esistenziale della personalità condizionata. I samskara, strutturandosi internamente e interagendo tra loro danno origine a risposte automatiche (vasana), che il soggetto si trova passivamente a subire, credendo illusoriamente di essere l'autore cosciente delle proprie scelte. La persona non è infatti libera, ma è schiava di un processo di pensiero automatico causato da nuovi samskara che, interagendo con quelli passati, dall'inconscio producono vritti di ritorno le quali, emergendo alla soglia della coscienza, determinano pensieri, scelte e decisioni per il “burattino” inconsapevole che è l’io condizionato. In tal modo è anche possibile spiegare le differenze interindividuali nella personalità come dotazione alla nascita, per guna e karma, di un differente apparato sinaptico, che poi viene man mano strutturandosi per effetto delle esperienze individuali come spiegato sopra. Il processo sopra descritto produce circuiti neurali patologici chiusi, in cui il soggetto si trova intrappolato come un topolino in gabbia, in cui scenari e protagonisti si alternano, ma le reazioni e i meccanismi di pensiero automatico permangono gli stessi: coatti, coercitivi e reiterati, in quanto i samskara producono sempre i medesimi risultati.

Se si volesse fare un paragone in senso lato è come se avvenisse sul piano mentale, sottile, ciò che è stato ampiamente descritto sul piano del comportamento osservabile, grossolano, dalla Scuola Comportamentista, in particolar modo dalla Teoria del Condizionamento Operante di impronta Skinneriana. Infatti è possibile sostenere che un dato comportamento tende a ripetersi anche in maniera generalizzata rispetto al contesto e agli stimoli iniziali che l'hanno innescato se adeguatamente rinforzato; allo stesso modo vritti sensoriali che si accorpano a vecchi samskara o ne formano di nuovi, tendono ad auto alimentarsi tramite i comportamenti coercitivi stessi che producono, proprio come una trappola circolare. E' tuttavia possibile liberarsi da tale circuito neurale patologico secondo una modalità suggerita da Patanjali, ovvero tramite la meditazione sul pensiero opposto. Meditare sul pensiero opposto non significa limitarsi a pensare razionalmente e superficialmente ai soli livelli di nama e rupa, ma significa risiedere, situarsi, dimorare nel pensiero (bhavana) opposto, andando in profondità nella coscienza e giungendo almeno fino al livello di bioenergia (vibhuti). Solo sviluppando un sentimento, un'emozione forte connessa al pensiero opposto, si potrà contrastare il samskara latente, l'idea fissa patologica e schiavizzante, depotenziando le sinapsi che la costituivano e alimentandone altre più positive. Questo processo di rappresentazioni interiori, in apparenza difficile, è in realtà frutto esclusivamente di educazione e di pratica, poiché è possibile imparare a visualizzare evocando emozioni costruttive, evolutive, che permettono di ascendere a piani superiori di coscienza e che magari sono state sporadicamente sperimentate nel corso dell'esistenza del soggetto ma, proprio per tale carattere di rarità, non hanno avuto modo di rinforzarsi adeguatamente, come più frequenti esperienze negative o in generale sensoriali. Infatti i samskara non necessariamente hanno veste negativa, il carattere morale di bene-male (shuba-ashuba) o di piacevole-doloroso (sukha-duhkha) di tali esperienze non ne alterano l'effetto condizionante, poiché in ogni caso esse tendono a produrre una risposta automatica ed è in questo automatismo che risiede la privazione di libertà e spontaneità della personalità condizionata, la quale potrà liberarsi da tale schiavitù solo tramite un atto volitivo deliberato di ricerca di esperienze contrastanti il pensiero disturbante. Il coltivare intenzioni, sentimenti e pensieri nocivi, come: invidia, odio, rancore, vendetta o simili, oltre che generare pensiero disturbante nella propria psiche, attraverso l’inconscio collettivo nel quale siamo tutti in rete, lo ingenera anche in coloro cui tali sentimenti malvagi sono indirizzati, i quali, a loro volta, consciamente o inconsciamente, reagiranno producendo sentimenti simili e dunque il mittente riceverà un danneggiamento di ritorno, virtualmente all’infinito. Ecco perché in presenza di un pensiero disturbante, per eliminarne le cause tossiche, è opportuno meditare su pensieri opposti. La persona, coltivando la visualizzazione di attitudini costruttive verso se stessa e gli altri, svilupperà gradualmente il principio di non nuocere a chicchessia (ahimsa) e uscirà così dalla prigione della matrix inconscia, liberandosi anche del doloroso senso di colpa per aver diversamente coltivato una volontà distruttiva e lesiva – direttamente o indirettamente - verso altri(1). Solo colui che è libero interiormente, attraverso l'applicazione di astensioni (yama) e prescrizioni (niyama) è in grado di pensare autonomamente e decidere in libertà ed agirà con distacco emotivo e senza interesse verso il frutto delle proprie azioni, ma solo costruttivamente a favore di tutte le creature.

(1) Patanjali, Sadhana Pada, sutra 34.

mercoledì 25 febbraio 2009

IL RUOLO DELLA VOLONTA' NELL'ARMONIZZAZIONE E SVILUPPO DELLA PERSONALITA': SVILUPPO DELLA DETERMINAZIONE E DELLA PERSEVERANZA di Marco Ferrini

IL RUOLO DELLA VOLONTA' NELL'ARMONIZZAZIONE
E SVILUPPO DELLA PERSONALITA':
SVILUPPO DELLA DETERMINAZIONE E DELLA PERSEVERANZA.
di Marco Ferrini.

Analizzando il rapporto tra il sé e la volontà da una parte e le varie altre funzioni psichiche dall'altra, possiamo renderci conto di quanto sia stretto, convergente, quasi identificante, il legame tra la volontà e il sé e quanto attraverso la volontà il sé agisca sulle altre funzioni psichiche, le governi e le orienti. Il processo inconscio non possiede una propria volontà, è piuttosto automatico; non possiamo vederlo in movimento con gli occhi né esaminarlo con la mente razionale, ma possiamo sperimentare che esiste una dinamica per la quale esso agisce spontaneamente rispondendo agli input che gli abbiamo fornito col pensiero cosciente, con o senza un deliberato atto volitivo. Il pensiero cosciente sceglie gli scopi, seleziona i dati, calcola, valuta e giunge a conclusioni e, generalmente senza saperlo, mette in moto il processo inconscio. Attraverso la volontà - che rappresenta la funzione più immediata e più diretta dell’io - si può produrre un’immagine mentale dello scopo che si vuole raggiungere, e questa mette in moto nell’inconscio un’attività diretta a realizzare tale scopo, sebbene noi rimaniamo all’oscuro del modo in cui opera. Il pensiero cosciente non è, perciò, l'esecutore materiale del risultato, ma colui che ne attiva i meccanismi(1). Dunque agire qui ed ora nel modo più eticamente corretto possibile (dharmya) permette poi al processo inconscio di raggiungere spontaneamente, senza eccessiva fatica, i migliori risultati. Ecco perché chi si occupa diligentemente e con fiducia del qui ed ora, non ha necessità di preoccuparsi per il futuro, perché gli obiettivi verranno conseguiti dal processo inconscio che avremo messo in moto. La volontà è ottimamente usata quando si limita a fornire l’impulso iniziale e lascia che l’elaborazione inconscia segua naturalmente e spontaneamente. Per avere pieno, soddisfacente e duraturo successo nell'utilizzo della volontà, dobbiamo dunque operare attraverso di essa, non direttamente applicata allo scopo finale, bensì alla gestione delle funzioni psichiche. Infatti, il miglior utilizzo della volontà lo si ottiene quando attraverso di essa si attivano e si dirigono tutte le forze del mondo psichico. Come nel mondo fisico prima di agire si deve tener conto del complesso sistema di leggi che lo governa, similmente, prima di dare corso ad un atto volitivo si debbono considerarare le forze psichiche che tale atto implica e le leggi che lo governano.
Fede, disciplina, coraggio, interesse, ottimismo, tendere ad uno scopo evolutivo e costruttivo, tutto ciò rafforza la volontà e la vitalità. Futilità, pessimismo, frustrazione, rancore, risentimento, invidia, gelosia, paure, nostalgie, attivano dinamiche distruttive che riducono la forza di volontà e la vitalità e di conseguenza anche la prospettiva della vita. Con questo tipo di attitudine si accelera anche il processo dell'invecchiamento.

Esercizio della determinazione e della perseveranza.
La determinazione è uno stato mentale che può essere coltivato e sviluppato con la giusta predisposizione. Come tutti gli stati mentali, la determinazione scaturisce da fattori psicoemotivi e attitudinali ben precisi, tra questi:
1. Desiderio. In presenza di un desiderio intenso e ben definito è più facile sviluppare e mantenere la determinazione nel perseguire l'obiettivo che ci si è prefissi.
2. Definizione di scopo. Sapere ciò che si vuole è la prima cosa e, forse, la più importante, per sviluppare la determinazione. Una forte motivazione aiuta a superare difficoltà iniziali e imprevisti.
3. Fiducia in se stessi. II credere nella propria capacità di poter conseguire un risultato, incoraggia a seguire il piano con determinazione.
4. Definizione di programmi. Programmi organizzati, sebbene inizialmente non accurati e non ben centrati, incoraggiano la determinazione e rafforzano la perseveranza.
5. Conoscenza accurata. Sapere che i propri progetti sono saldamente fondati su di una conoscenza approfondita della realtà e su esperienze di natura evolutiva, favorisce la determinazione. La «presunzione», al contrario del «sapere», indebolisce la determinazione.
6. Cooperazione. L'empatia, la tolleranza, la comprensione e la cooperazione armonica tra i membri del gruppo rafforzano la determinazione di ciascun membro o componente di quest'ultimo.
7. Forza di volontà e progettualità. L'esercizio costante di coltivare la volontà e di concentrare i propri pensieri – in maniera proattiva - sulla definizione di un progetto, al fine di programmare l'ottenimento degli obiettivi che ci siamo prefissi, sviluppa la determinazione.
8. Abitudine. La determinazione è il diretto risultato della nostra impostazione mentale, di un’abitudine, ovvero di una deliberata impostazione all'azione adottata come criterio costante di comportamento consapevole. La nostra conformazione mentale si modifica a seconda delle azioni che compiamo e che, seppur inconsciamente, influenzano la struttura psichica con modelli comportamentali che vengono assorbiti e automaticamente riproposti secondo gli schemi adottati ed acquisiti. La paura, una delle più pericolose e peggiori emozioni distruttive, può essere ad esempio effettivamente curata dalla ripetizione volontaria e sistematica di atti di coraggio. Ciò è ben noto a tutti coloro che hanno fatto quest’esperienza.

(1) Cfr. BG. III.27: “Sviato dall'influenza dell'ego, il sé spirituale crede di essere l'autore delle proprie azioni, che in realtà sono compiute dai guna, [le tre energie archetipe costituenti la Natura]”.

mercoledì 18 febbraio 2009

LA DIPENDENZA DEL XXI SECOLO: INTERNET ADDICTION DISORDER di Tania Zakharova


LA DIPENDENZA DEL XXI SECOLO:
INTERNET ADDICTION DISORDER.

di Tania Zakharova.


La tecnologia modifica le nostre abitudini e la nostra vita, ma di fronte agli innumerevoli vantaggi apportati dall’applicazione di queste nuove tecniche, iniziano a manifestarsi “situazioni particolari” definite da alcuni autori come psicotecnologie. La mancanza di punti di riferimento nei confronti dei problemi esistenziali, il facile accesso all’informazione di qualsiasi tipo senza nessun criterio etico-morale e l’ininterrotto bombardamento dei mass media con i messaggi mirati alla creazione di condizionamenti sempre crescenti, hanno contribuito alla creazione del fenomeno che secondo la terminologia in lingua inglese oggi in uso, viene definito come cyber-dipendenza o virtual life addiction. L’utilizzo del personal computer richiede un reale adattamento mentale alle sue funzioni e di conseguenza spinge il soggetto ad adeguare le proprie capacità cognitive al funzionamento della macchina; in questo modo si crea un’interazione fra le nuove apparecchiature e il nostro apparato psichico. Come evidenziano diversi studi psicologici, nel videogioco e nel gioco on-line (nel quale possono collegarsi in rete diversi utenti per interagire mediante personaggi virtuali) il dispositivo tecnologico è in grado, con raffinate simulazioni, di gestire un essere umano come una tastiera sulla quale premere i tasti giusti perché in risposta il suo organismo produca i neurotrasmettitori e le secrezioni ormonali relative alle emozioni e alle reazioni volute dal gioco: paura, allarme, umiliazione, depressione, rabbia, aggressività, ossessione, eccitazione, esultanza. Second Life, World of Warcraft e prima Dark Age Of Camelot sono esempi di mondi virtuali online dove migliaia di giocatori si riuniscono per giocare. La dipendenza da Internet ha stimolato numerose ricerche e studi in ambito internazionale negli ultimi dieci anni. Un'analisi accurata di queste dipendenze ha mostrato quanto le tecno-illusioni siano funzionali a scaricare la frustrazione di un mancato contatto con la realtà pratica e a mettere questa frustrazione «a profitto», rendendola vantaggiosa per la grande industria dell'intrattenimento. Alcune ricerche hanno evidenziato nelle persone con dipendenze da internet problemi come alterazioni dell'umore e dello stato di coscienza, ansia, difficoltà di gestione degli impulsi e disistima. Nei soggetti, che arrivano a stare on-line 40 e più ore a settimana, la dipendenza da Internet comporta problemi fisici come mal di testa, disturbi del sonno, stanchezza degli occhi, irregolarità nell’alimentazione, ma le conseguenze maggiori e più gravi sono quelle psicologiche, familiari, lavorative ed economiche. L’abuso di Internet compromette la vita relazionale e affettiva del soggetto e spesso on-line nascono relazioni facilitate dall’anonimato, dalla semplicità del contatto virtuale. L’impossibilità di poter accedere a tutta una serie di messaggi non verbali ai quali siamo abituati nelle relazioni interpersonali diminuisce la possibilità di accesso ad informazioni fondamentali nell’interazione tra individui. L’anonimato e l’assenza di vincoli spazio-temporali possono porsi come fattori di rischio creando sensazioni d’onnipotenza legate all’uso di Internet e ai disturbi di personalità spesso descritti nelle situazioni di grave intossicazione. Alcuni studiosi statunitensi hanno evidenziato un cambiamento nelle modalità di comunicazione del linguaggio parlato degli adolescenti in relazione all’uso dell’informatica. Sempre più spesso questi adolescenti terminano le frasi in tono crescente e lievemente dubitativo, come per suggerire che tutto ciò che dicono sia una domanda più che un’affermazione (fenomeno di upspeak). La natura condizionale e aperta di questo nuovo modo di parlare sembra suggerire che i pensieri di ciascuno, per avere un senso ed essere convalidati, devono essere sempre collegati alle reazioni altrui. Un intervento condotto dal Prof. M. Marcucci e dal Dott. G. Lavenia della Cattedra di Psicologia delle Dipendenze Patologiche, Università degli Studi di Urbino, parte da una valutazione clinica del livello di coinvolgimento raggiunto con la rete, da una attenta analisi della qualità della vita affettiva del soggetto e dalla sua integrazione sociale precedente allo sviluppo del quadro psicopatologico. Alcuni casi hanno evidenziato come l’aumento del tempo trascorso in rete sia aumentato in maniera eccessiva, tanto da produrre un danno nella qualità della vita del soggetto in rapporto ad un precedente evento traumatico che l’individuo ha vissuto e che non è stato in grado di “rielaborare” per la sua importanza. Adottando tale metodologia sono stati valutati 500 soggetti italiani, 350 uomini e 150 donne, d’età compresa tra i 15 e i 44 anni sparsi in tutto il territorio nazionale e reperiti grazie alla collaborazione di Internet Point e Biblioteche Multimediali. L’analisi qualitativa dei risultati evidenzia differenze significative nei processi psicologici messi in atto da tre gruppi problematici:
  • Il gruppo degli utenti a rischio (22%) presenta un vissuto di curiosità nei confronti delle opportunità offerte dalla rete. Questo stadio porta a vedere solo gli aspetti positivi del mezzo tecnologico incoraggiandone l’utilizzo. Tendono ad apprendere come muoversi in questo nuovo mondo e si costruiscono una specie di nuova identità. I soggetti appartenenti a questo gruppo evidenziano gravi sentimenti di frustrazione e inutilità in ambito lavorativo e/o familiare tendendo ad utilizzare internet per “scaricare” la propria insoddisfazione e costruire il proprio mondo mentale, mondo dove finalmente si sentono accettati e compresi.
  • Il gruppo degli utenti “abusatori” (29%) manifesta caratteristiche simili ai soggetti che frequentemente utilizzano gli oppiacei: gravi problemi nelle relazioni affettive, importanti problematiche lavorative legate all’utilizzo della rete, problematiche psicofisiche. Questa peculiarità “amplifica” il senso d’isolamento nella vita reale ma permette ai soggetti, nascosti dietro lo schermo del computer, di controllare nel “loro nuovo mondo virtuale” le relazioni sociali che tanto li preoccupavano in passato. Una sorta di meccanismo di difesa che, come spesso accade, porta ad un peggioramento e ad una cronicizzazione dei sintomi trascinando in breve tempo questi soggetti nella categoria “addicted”.
  • Il gruppo degli utenti dipendenti (11%) presenta aspetti psicopatologici più gravi; in alcuni casi disturbi dissociativi, allucinazioni semplici visive, tremori. I soggetti valutati come dipendenti tendono a prolungare i tempi di collegamento prefissati, spendono grandi quantità di tempo nella ricerca del materiale da utilizzare in rete, interrompono o riducono importanti attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’utilizzo d’internet; utilizzano in maniera continua il “net” nonostante la consapevolezza di avere un problema sociale, psichico o fisico collegato ad esso.
Non è un segreto che le persone che vivono in società avanzate stanno attraversando un momento di crisi – una crisi basata sull’avere a disposizione tutti i mezzi economici ed informatici ma contemporaneamente un vuoto interiore, la crisi di vivere con simboli che non rappresentano più valori reali. Internet rappresenta uno strumento utile e potente, multidimensionale, ormai indispensabile per il lavoro, per lo studio, per il gioco, per le indagini. Le opportunità che offre sono molteplici ma, come tutti gli strumenti, può apportare benefici solo se è utilizzato da chi possiede retta conoscenza, discernimento e una buona motivazione. La realtà virtuale può anche contribuire al bene dell'uomo, ad esempio, se utilizzata a scopo terapeutico, può essere un valido aiuto per limitare la percezione del dolore psicofisico. Non sentire il dolore delle ustioni grazie ad un ghiacciaio virtuale, camminare con la leggerezza di una persona magrissima anche se il corpo è obeso, avere l'impressione di muovere un braccio paralizzato: la ricostruzione della realtà tramite computer può aiutare chi soffre a guarire. Negli ultimi anni Hunter Hoffman, psicologo del Medical Center di Seattle, ha messo a punto degli strumenti appositamente studiati per raggiungere lo scopo. Lo studioso, ha infatti creato, tramite la tecnologia virtuale, alcuni mondi fantastici con funzione "analgesica". Una delle realtà virtuali più efficaci è lo "SnowWorld", mondo costruito tra i ghiacci utilizzato per ridurre la sofferenza degli ustionati durante il cambio delle fasciature. Il principio di funzionamento dei "mondi virtuali" si basa sul fatto che per provare dolore è necessaria una certa concentrazione sulle sensazioni dolorose. Dal momento che le facoltà collegate all'attenzione umana sono limitate, se la propria attenzione viene dedicata a qualcosa di molto coinvolgente, viene contemporaneamente sottratta alla percezione del dolore. L’applicazione della realtà virtuale facilita la visualizzazione ma, come è già stato appurato scientificamente, l’essere umano, tramite la meditazione, è in grado di produrre nel corpo e nella mente lo stesso effetto dei tranquillanti ed altre sostanze, come l'endorfina. Uno dei ricercatori più attivi degli ultimi anni, Richard Davidson dell'Università di Wisconsin, Stati Uniti, nei suoi lavori svela dati interessanti e sorprendenti su questa pratica millenaria. “I nostri risultati indicano che la meditazione produce effetti biologici, ovvero modificazioni nel cervello associate ad emozioni più positive, migliorando anche la funzione immunitaria”. La visualizzazione meditativa costituisce una pratica fondamentale che si collega a molti metodi già consolidati e accettati in ambito psicologico e psicoterapeutico, con studi scientifici che ne attestano efficacia. Come spiega nei suoi lavori il fondatore dell’Accademia delle Scienze Tradizionali dell’India, Marco Ferrini, Ph.D.Psychology, grazie alla visualizzazione meditativa noi possiamo creare gli effetti che desideriamo in quanto il sistema nervoso non ha nessuna capacità di distinguere tra l’immaginario e il reale. Nella tradizione Bhakti-Vedantica, la visualizzazione (darshana) è uno dei più antichi ed efficaci metodi per la gestione dei contenuti psichici. Possiamo infatti imparare a trasformare le convinzioni che sono la causa di gravi squilibri emotivi e di sofferenze, rafforzando la nostra capacità di affrontare crisi e traumi ed apportando così miglioramenti concreti nella nostra vita psichica. Attraverso la concentrazione e la visualizzazione, si ottiene una presa di consapevolezza dei meccanismi inconsci, di memorie emotive perdute, di rapporti che sfuggono, e di tutti quegli oggetti psichici che possono essere rievocati, illuminati, corretti, recuperati per ristabilire un maggior equilibrio e rafforzare nel soggetto la capacità di gestione dell'emotività. Nella pratica di visualizzazione, alla mente affiorano suoni, immagini, impressioni, e su questi prodotti psichici individuali si può portare avanti un lavoro di elaborazione e sublimazione. L'esperienza della visualizzazione meditativa nell'ambito della disciplina Bhakti-Vedantica, ha portato in molti soggetti miglioramenti consistenti, perfino la remissione completa di sintomi quali angoscia, depressione o alienazione, attraverso lo sviluppo di una percezione più profonda della propria identità, un crescente senso di progettualità ed una applicazione pianificata e consapevole delle scelte di vita.

Bibliografia:
"Modulation of thermal pain-related brain activity with virtual reality: evidence from fMRI".
Hunter G. Hoffman; Todd L. Richards; Barbara Coda; Aric R. Bills; David Blough; Anne L. Richards; Sam R. Sharar. Neuroreport, June 7, 2004, Volume 15, Issue 8.

NELLA TRAPPOLA VIRTUALE di Tania Zakharova

NELLA TRAPPOLA VIRTUALE.
di Tania Zakharova.


Megan, una ragazzina tredicenne di una tranquilla provincia americana vicino a St. Louis, amava scambiare notizie in internet con la sua amica, che abitava nella stessa via. Dopo il trasferimento in un'altra scuola l’amicizia si interrompe. Perennemente a dieta, insicura, in lotta con tendenze depressive, Megan si sente sola. Decide di creare il proprio account in Myspace, perché tutti i suoi compagni di scuola ne avevano uno. Sua madre, all’inizio riluttante, le permette di farlo. In Myspace Megan incontra un ragazzo simpatico e intelligente di nome Josh. Josh e Megan parlano e ridono insieme. Per sei settimane Josh rimane un amico perfetto. Megan non vede l’ora di tornare a casa da scuola per conversare con lui online. Josh era il suo sogno divenuto realtà. Un giorno, entrando in rete, Megan scopre che Josh la vuole lasciare e che lui scambia le sue confidenze con altri in Myspace. Per diversi giorni continuano ad arrivare inspiegabili messaggi da parte di Josh che coprono Megan di insulti sul suo peso e i suoi presunti difetti. Lei non capisce il motivo di questo cambiamento improvviso e non si dà pace. "Tutti sanno chi sei. Sei una persona cattiva e tutti ti odiano. Il mondo sarebbe un posto migliore senza di te": questo è il testo dell'ultimo messaggio che Megan legge sconvolta, prima di suicidarsi per la disperazione, impiccandosi…Sei settimane dopo i genitori di Megan, disperati e distrutti per l’accaduto, scoprono che Josh non era mai esistito…era un personaggio virtuale, una persona fasulla creata in internet dall’ex amica di Megan su istigazione dei suoi genitori: la ragazza aveva sofferto per essere stata “abbandonata” da Megan e i suoi, volendola vendicare, l'avevano indotta ad agire in quel modo. La triste storia riportata in un dibattito televisivo americano intitolato “Myspace suicide”, purtroppo non è così rara, anzi, secondo le statistiche denota una tendenza sempre più comune, soprattutto nel mondo adolescenziale: rifugiarsi nell’illusione virtuale per l’incapacità di stabilire una relazione con se stessi e con gli altri. Alcuni studiosi statunitensi hanno evidenziato un cambiamento nelle modalità di comunicazione del linguaggio parlato dagli adolescenti in relazione all’uso dell’informatica. Sempre più spesso questi adolescenti terminano le frasi in tono crescente e lievemente dubitativo, come se tutto quel che dicono fosse una domanda più che un’affermazione (fenomeno di upspeak). La natura condizionale e aperta di questo nuovo modo di parlare sembra suggerire che i pensieri di ciascuno, per avere un senso ed essere convalidati, devono essere sempre collegati alle reazioni con gli altri.(1) Non è un segreto che le persone che vivono in società avanzate stanno passando attraverso un momento di crisi – una crisi basata nell’avere a disposizione nello stesso tempo tutti i mezzi economici e informatici e il vuoto interiore, la crisi di vivere con dei simboli che non rappresentano più valori reali. Nel 1992 Neal Stephenson ha scritto un libro profetico intitolato Snow Crash, dove parlava di un mondo virtuale in rete e di che cosa internet sarebbe diventato, di come il mondo esterno alla rete sarebbe diventato sempre più assurdo e invivibile, al punto da rendere quella virtuale una realtà preferibile. Perlomeno finché anche il mondo virtuale non diventa pericoloso. Viviamo di proiezioni: quello che chiamiamo realtà, quello che chiamiamo identità, altro non sono che un'interpretazione soggettiva di mille input che riceviamo tramite i nostri sensi.(2) Viviamo in un mondo inquinato: la psiche individuale e collettiva sono popolate da innumerevoli mostri dell’inconscio come bramosia, aggressività, avidità, orgoglio, invidia, definiti dalla psicologia vedica come anartha; quando la psiche ha accesso alla realtà virtuale, queste entità psichiche invisibili prendono la forma di una parola o di una carica emotiva che possono uccidere, come nel caso drammatico di Megan. Viviamo in un’epoca dove i valori etici sono capovolti, dove la mente è confusa e non ci si prende più la responsabilità dei propri pensieri, desideri, parole, motivazioni e azioni. E gli adolescenti proprio per la loro fragilità strutturale dovuta all’età, con la loro impazienza e la sete di esplorare, amare e conoscere, in assenza quasi totale di punti di riferimento sulla natura della realtà diventano una facile preda della trappola virtuale. Le opportunità che offre internet sono molteplici, la rete virtuale rappresenta uno strumento utile e potente, multidimensionale, ormai indispensabile per lavorare, studiare, fare ricerche. Ma, come tutti gli strumenti, può apportare benefici solo se è utilizzato da chi ha un buon grado di discernimento, retta conoscenza e un elevato livello di coscienza. Il nostro mondo interiore è pieno di reazioni complesse, poiché racchiude il passato, ma non solo quello che è successo davvero, anche tutti i modi nei quali lo abbiamo interpretato. Nella società contemporanea illusione e realtà si compenetrano e si intrecciano passando attraverso il prisma dell’interpretazione soggettiva peculiare di ogni individuo.(3) Studiando i testi della scienza vedica si può vedere come attraverso tecniche molto precise e sperimentate nel corso dei millenni, si è costruito un percorso interiore che permette di sublimare i contenuti inconsci e incanalare la nostra affettività verso una pienezza di sentimenti e un appagamento totale nei rapporti con gli altri attraverso il risveglio di una consapevolezza interiore. Verificare la nostra interpretazione della realtà sotto la guida di un Maestro autentico nel percorso evolutivo della realizzazione della nostra natura ontologica permette di osservare le cose da una nuova prospettiva. Possiamo scoprire che quanto è accaduto è un’opportunità per assumersi la responsabilità dei propri desideri, motivazioni ed emozioni che sostanziano il nostro agire. Davanti al monitor del computer non siamo soli, siamo allo specchio delle nostre aspirazioni e contraddizioni più nascoste. I cristalli liquidi del monitor riflettono la nostra percezione della realtà e ci offrono soltanto un'altra chance di osservare le nostre interpretazioni, all’opera in ciò che facciamo nella vita di tutti i giorni.

(1) American Psychiatric Association, “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali”, Milano, 2003.
(2) Marco Ferrini: Il Ruolo della Volontà e la Scienza del Pensiero; Ciclo in 5 lezioni presso il Centro Studi Bhaktivedanta, Ponsacco (PI).
(3) Marco Ferrini: Realtà e Utopie nella Società Contemporanea; Seminario dal 30 ottobre al 2 novembre 2008; Albettone (VI).

lunedì 16 febbraio 2009

L'ESPERIENZA ESTATICA D'AMORE QUALE CHIAVE PER LO SCRIGNO DELL'AUTENTICA FELICITA' di Marco Ferrini

L'ESPERIENZA ESTATICA D'AMORE QUALE CHIAVE
PER LO SCRIGNO DELL'AUTENTICA FELICITA'
.
di Marco Ferrini.

La vita è scambio di amore, si basa sul dare e ricevere amore. Chi ha carenze d’amore vive una vita triste, dominata dalla sua personalità ombra. Finché non chiariamo l’equivoco di base sull’identità non ci sarà possibilità di sviluppare amore; questo sentimento che è sapienza divina si degrada in sentimentalismo e la vita viene conosciuta soltanto attraverso meccanicismi sensoriali. Da tempo immemorabile sembra che dentro di noi convivano due persone. Una è l’io storico, detto anche “falso ego”: sospettoso, arrogante, orgoglioso, irritabile, egocentrico e sostanzialmente pauroso e vile. L'altra è il sé, l’essere spirituale spesso celato, l’atman, la cui chiara voce di saggezza solo raramente viene udita e ancora più raramente ascoltata. Il sé (terminologia yunghiana), l’anima (terminologia cristiana), l’atman, (terminologia vedantica), è il solo esistente reale. L’io è solo l’ombra del sé, che prende realtà a causa di una distorsione mentale che nella lingua italiana, viene definita immedesimazione. Quando un soggetto si immedesima in qualcos’altro rispetto a se stesso si verifica un coinvolgimento condizionante che è poi alla base di tutti gli attaccamenti ad una serie di oggetti effimeri, per natura soggetti a trasformazione, degrado e dissoluzione. Il più forte tra tutti questi attaccamenti, il più diffuso, il più vissuto come assolutamente normale è l’identificazione con il corpo. Pur arrivando talvolta a comprendere che in essenza noi non siamo il corpo, sono veramente rari coloro che non si identificano con esso. E' vero che il corpo umano è un dono divino, uno strumento di straordinaria preziosità, ma non è noi. Il sistema nervoso è una poderosa macchina ideata per portarci al successo, nella dimensione dalla quale siamo venuti, quanto di più affascinante si possa immaginare in termini di struttura biologica, ma non è in sé la vita. Quando la vita scivola via dal corpo, ad esempio per un infarto, benché tutto il sistema nervoso sia fisiologicamente intatto, potete constatare che la persona è morta. Quindi ciò che fa funzionare meravigliosamente questa macchina portentosa è l’atman, l’oggetto della nostra ricerca. La civiltà moderna, che ha grandi meriti in innumerevoli campi, produce tuttavia una cultura ombra perché comunica ossessivamente l’identificazione con il corpo, la necessità di acquisire ricchezze, per ambizione di potere e per esorcizzare la paura pur sapendo bene che, per definizione, la ricchezza è come l’acqua del mare, più se ne beve e più si diventa assetati. Il mito falso di una vita agiata fondata sul piacere dei sensi è la più grave calamità in corso, la più dolorosa, e più mortifera. La ricchezza, la vecchiaia, la gioventù, la bellezza non garantiscono la felicità, altrimenti i problemi della droga, della violenza, dell’alcolismo, del tabagismo non sarebbero così diffusi. Nella condizione non illuminata di identificazione con la mente il piacere è spesso l’aspetto gradevole e fugace del ciclo continuo e alternato di dolore e piacere. Il piacere deriva da qualcosa che è esterno a noi, mentre la gioia nasce dall’interno. Ciò che oggi ci dà piacere domani ci procurerà dolore perché, per quanto possa durare, prima o poi dovremo inevitabilmente separarcene, e la sua assenza sarà per noi fonte di dolore. Se ci pensiamo bene ogni piacere contiene in sé il seme del dolore, l’altra faccia della medaglia, che si rivelerà col tempo. Quando le passioni agitano il cuore e la mente si provano molti dolori a causa degli attaccamenti materiali. Queste forze, se non ben organizzate, armonizzate e canalizzare, non lavorano per il nostro bene. Molte tendenze distruttive vengono vissute inizialmente come innocue per mancanza di conoscenza, di discernimento fra l'Io ed il sé, di discriminazione fra l'effimero ed il reale (avidya). Occorre quindi la Conoscenza per canalizzarle, per trasformarle, come si fa con le acque impetuose di un torrente quando si converte il loro impeto da energia distruttiva in energia elettrica oppure in energia motrice per far girare le pale di un mulino. Noi siamo dotati di un meraviglioso sistema progettato per il successo della nostra struttura psichica rendendola capace di realizzare il processo di autoconsapevolezza al fine della nostra elevazione. La capacità di riflettere sul proprio processo di pensiero e di distaccarsi emotivamente dalle emozioni è una prerogativa esclusivamente umana, che ci differenzia dagli animali, la cui struttura psichica non è altrettanto evoluta. Gli uomini hanno la prerogativa di poter governare le tendenze, che invece negli animali regnano sovrane e si chiamano istinto. Questa è la grande differenza nell’ambito del regno animale tra gli uomini e gli animali propriamente detti. Noi possiamo analizzare i nostri paradigmi per determinare se sono reali oppure se dipendono da condizionamenti o situazioni impermanenti di vario genere. Gli animali non possono cambiare le proprie tendenze, mentre gli umani possono farlo. Magari può richiedere sacrificio ma ne vale veramente la pena. L’impresa, perché di vera e propria impresa si tratta, di elevare la coscienza e di espandere la propria visione della realtà è la più grande decisione che un essere umano possa pretendere. Mai avrete speso meglio il vostro tempo, mai avrete speso meglio la vostra salute, il vostro vigore. Chi invece consuma il vigore, la salute, il tempo e il denaro in imprese effimere vede crescere solo la propria miseria e la propria insoddisfazione. Infatti anche quello che prima di conseguirlo vi attirava come miele, una volta ottenuto si rivelerà nella sua inconsistenza intrinseca legata alla sua temporaneità. Ogni sogno crolla di fronte alla sua realtà, tranne il sé e Dio. Per questo i grandi saggi di tutte le tradizioni religiose dicono che questo mondo è sofferenza, che l’esperienza umana è un'esperienza di dolore. Ma se questo è vero in senso generale ciò non toglie che ciascun individuo dotato di buona volontà può di fatto trasformare il proprio destino e conoscere il successo nutrendosi di quel sentimento per cui noi tutti viviamo: l’amore. L’emozione estatica di amore, soddisfazione e intensa felicità può essere sperimentata anche nella dimensione nella quale viviamo attualmente, purché ci si liberi dalle morse attanaglianti dei condizionamenti. Nella letteratura vedica troviamo descritta la figura del jivanmukta, termine che risulta dalla combinazione di due termini sanscriti: jivan, che significa vita, e mukta che è participio passato di moksha, liberazione, e si può tradurre quindi con liberato. Dunque jivanmukta è il “liberato in vita”. Nei Veda questo termine è ricorrente ed indica che esiste la possibilità di essere liberati anche qui, sebbene temporaneamente il jiva sia ancora incapsulato nel corpo fisico. L’emozione estatica costituisce la natura stessa dell'anima, la sua attitudine più propria o atman svabhava. Quando questa dimensione si sfiora semplicemente è chiamata bhava, quando si penetra in essa viene definita prema. Anche un semplice contatto con essa produce emozioni che restano indimenticabili per tutto il resto della vita.


Tratto da 'Pensiero, Emozioni e Realizzazione'.

venerdì 13 febbraio 2009

A WONDERFUL MIND. COME TRASFORMARE UNA MENTE RIBELLE IN UNA MENTE MERAVIGLIOSA di Marco Ferrini

A WONDERFUL MIND.
COME TRASFORMARE UNA MENTE RIBELLE IN UNA MENTE MERAVIGLIOSA.
di Marco Ferrini.

Da tempo immemorabile, tra l’anima e la psiche si combatte una perenne battaglia per il predominio della coscienza. Per l’essere umano condizionato, i dilemmi più penosi sono creati dalla estenuante tensione tra i due poli, che presentano soluzioni tanto diverse quanto sono diverse le loro motivazioni. Tali tensioni perdurano fintanto che l’io storico - prodotto di scelte arbitrarie della psiche - non viene armoniosamente reintegrato nel campo energetico dell’anima.I dubbi che la mente talvolta insinua sono legati al cangiante e mutevole mondo dell’impermanenza, ed è normale che il fenomeno si intensifichi in prossimità di scelte di vitale importanza, o subito dopo. In ciascuna di queste fasi è l’ego falso che protesta, ma non fatevi intimorire. Finora l’ego l’ha fatta da padrone, ha oscurato il vostro vero sé, vi ha tiranneggiati impunemente vita dopo vita, vi ha resi schiavi di illusori progetti di felicità, di farneticanti ambizioni. Adesso che lo state spodestando, che state per riguadagnare la libertà, ovviamente si ribella. Ogni condizionamento produce qualche forma di nevrosi, e i condizionamenti spesso sono più di uno. Da tempo immemorabile dentro di noi sembra che convivano due “esseri”. Il primo e più insistente è l’io inferiore, detto anche “falso ego”: sospettoso, arrogante, orgoglioso, egocentrico, insoddisfatto e irritabile. E’ come una bestia scaltra e famelica, sempre in cerca di preda nella forma di prestigio e piaceri illusori. La seconda è l’io superiore, il sé, l’essere spirituale nascosto, l’atman, la cui chiara voce di saggezza solo raramente abbiamo udita ed ascoltata. Nello scontro tra questi due “esseri” vincerà certamente quello che nutriamo di più. Più prestiamo attenzione agli insegnamenti spirituali, più li contempliamo e li integriamo nella nostra vita di tutti i giorni, più si risveglia e si rafforza in noi la voce interiore, la saggezza innata del discernimento. Se incominciamo a distinguere tra le insistenti, suadenti quanto ingannevoli voci dell’io – che peraltro non ha alcuna esistenza propria - e la veritiera voce del sé – realtà immortale - e scegliamo deliberatamente e irrevocabilmente la guida della seconda, questa ci apre la luminosa via della libertà, della salvezza, della gioia e dell’Amore. Allora e solo allora inizia a manifestarsi in noi il chiaro ricordo della nostra autentica natura - una e indivisa - quella spirituale, in tutto il suo splendore e divina verità. A quel punto i vaneggiamenti dell’ego falso non distolgono più dalla retta comprensione-visione e anche gli ultimi dubbi cessano, e con essi i capricci della fu mente ribelle. Poiché il vero ostacolo alla realizzazione spirituale è la mente ribelle, una volta conquistata e resa docile strumento sotto l’egida dell’anima è possibile sperimentare prontamente la felicità ineffabile dell’estasi. L’esperienza psicologica dell’inferno precede l’ascesa al Cielo, passando quasi invariabilmente per la fase intermedia del Purgatorio. Il primo passo concreto su questo sentiero è l’abbandono a Dio, in tutte le tradizioni spirituali. Una vita dedicata alla realizzazione spirituale permette di trasformare in un puro diamante la mente e richiede chiarezza, onestà, coraggio e fermezza. Infatti, quando si sono sufficientemente praticate e sviluppate nel carattere queste fondamentali qualità, tutto s’illumina, la ex plumbea mente si colora di aurei bagliori, l’anima è strappata alla schiavitù della materia e si libra in Cielo…Solo allora l’evoluzione spirituale diventa rapida e prende concretamente realtà, anche nel mondo tridimensionale.

OLTRE MALATTIA E MALESSERE - Lettera aperta a tutti coloro che cercano un orientamento spirituale - A cura di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

Chiedete guida e cura perché vi hanno detto, o vi siete persuasi, o solamente perché avete l’intuizione di soffrire di un disturbo della psiche, dell’umore, della personalità, della vita relazionale, dell’adattamento. O semplicemente perché vi risulta inaccettabile l’idea che avete della sofferenza e della morte. Ma salute e malattia, adattamento e disadattamento al mondo fenomenico, sono idee illusorie, pseudo-realtà nel contesto di maya. Voi per primi sapete, avete deciso, che non volete “adattarvi” al mondo dell’illusione. Vi ricordo che nascita e morte, sviluppo e declino, salute e malattia, sono fasi cangianti e transitorie della vita incarnata nella condizione umana, epicicli dell’esistenza reale, che attraversa i mondi e i corpi della manifestazione oggettiva e impermanente. Salute e malattia non esistono, se non nella visione illusoria dell’uomo; nella realtà esiste l’infinito percorso dell’evoluzione spirituale, ed esistono vicende e accidenti su questo percorso: tappe, progressi, ristagni e deviazioni, cadute, imprigionamenti e progressive liberazioni. Alcuni di questi accidenti vengono isolati e classificati, dalla Medicina e da alcune Scuole di Psicologia, come “malattia”.  E Medicina e Psicologia li studiano e li curano in una prospettiva che troppo spesso non è consapevole e non tiene conto del contesto evolutivo in cui essi si inseriscono. Esse possono così ottenere risultati rispettabili, apprezzabili e utili, nel breve termine e limitatamente ai sintomi; possono anche avere una certa capacità preventiva, ma la portata e i mezzi della loro cura e della loro prevenzione non possono andare oltre, non possono raggiungere la sostanza, proprio perché non li contestualizzano nella realtà e nel processo di evoluzione spirituale, che per esse rimangono invisibili, seppur talora lontanamente intuibili. La Tradizione della Psicologia spirituale bhaktivedantica opera in modo e con mezzi sensibilmente diversi. Un sintomo, un conflitto interiore, un’angoscia di morte, possono avere un significato, una valenza ulteriore nella proiezione evolutiva rispetto ad una visione medico-psichiatrica. L’uomo non è semplicemente un organismo che deve cercare di restare o ritornare in salute (già questa concezione produce malattia), ma è un essere cosciente che ha davanti a sé un percorso verso una meta e che, per raggiungerla, deve evolversi realizzando una ad una le istanze più nobili della propria personalità: desiderio di sapere e capacità di conoscere, gioia, senso morale, bellezza, forza di volontà, compassione, saggezza e Amore. Per me il vero successo di una psicoterapia non consiste nel produrre “normoinseriti”, bensì nell’aiutare le persone a liberarsi da identificazioni e condizionamenti, anche da quelli cosiddetti “normali”, che in realtà costituiscono le peggiori tra le illusioni e le schiavitù. Spesso si è potuto constatare che la cosiddetta “normalità” non è affatto emblema di salute, ma è essa stessa un precario equilibrio psicopatologico, sovente sostenuto da farmaci e droghe (leggere e pesanti). Insomma, ossessioni e fobie, depressioni e manie blande e croniche, incapacità apprese, cecità selettive, ricerca di rapporti frustranti e traumatici, non si notano semplicemente perché la maggior parte della gente è affetta dalle stesse sindromi.

Non è a simili adattamenti che io miro.

La cura spirituale più efficace è quella che avviene da dentro la persona, è un lavoro che la persona fa su sé stessa, non qualcosa che io, dall’esterno, faccio alla persona. Le cure farmaceutiche sono utili, certo, e in alcuni casi addirittura indispensabili; ciò nonostante una persona afflitta da patologie fisiche o psichiche ha una necessità primaria: quella di ritrovare la propria centratura, di ristabilire quell’ordine interiore che consente non solo di guarire, ma di mantenere una buona salute il più a lungo possibile. Secondo la scienza ayurvedica malattia è sinonimo di disordine, disordine che la chimica può curare solo parzialmente, ovvero se la cura farmaceutica si incentra su di uno stato psicologico in trend di recupero. Il soggetto può veramente recuperare salute se il principio attivo della guarigione, che parte da dentro, è stato riattivato; il noto detto di Giovenale mens sana in corpore sano dovrebbe essere così interpretato: il corpo può mantenersi sano se la psiche è sana. Il contributo migliore è dunque insegnare alle persone a cercare la verità dentro sé stesse, ad aprirsi all’amore e alla conoscenza interiore, a riconnettersi alla fonte, alla nostra natura più profonda, che abbiamo dimenticato. I cambiamenti esterni accadono come effetto secondario della nostra maturazione interiore. Nella propria vita ogni individuo ha da confrontarsi con crisi, tensioni e conflitti emotivi, ma questi non sono di per sé negativi; lo diventano solo nel momento in cui non si riescono a gestire e, rimanendo irrisolti, producono nevrosi. Se vengono invece affrontati con la giusta attitudine, con consapevolezza e motivazione elevata, essi possono rappresentare persino l'indispensabile stimolo evolutivo per rafforzare le proprie qualità e per giungere ad equilibri superiori attraverso il riconoscimento e il superamento di alcuni propri limiti. Riesce infatti a sviluppare una personalità sempre più matura e integrata colui che impara a risolvere le naturali tensioni che emergono nel proprio intimo e quelle prodotte dall'esterno, facendo sì che non si cronicizzino ma anzi risultino occasioni importanti per acquisire ulteriori esperienze formative. A questo proposito Adler  spiegava: “Difficoltà piccola, uguale normalità; difficoltà grande, uguale nevrosi”. Chi sa riconoscere le particolari crisi emotive e tendenze nevrotiche cui è soggetto, sarà maggiormente in grado di evitare che esse degenerino in veri e propri disturbi della personalità. Tutti siamo continuamente alle prese con il processo di riadattamento delle nostre tensioni interne. Nessuno dovrebbe sentirsi al di sopra di tali tensioni; dovremmo piuttosto imparare a gestirle in maniera costruttiva evolutiva, mettendo in pratica un processo di trasformazione e rieducazione interiore che ci permetta di armonizzarle e trascenderle, e ciò è possibile soprattutto attraverso gli insegnamenti e lo stimolante esempio di  vita di persone equilibrate, con elevato livello di coscienza, che possono essere modelli di riferimento nel lavoro che dobbiamo fare su noi stessi. Conformemente ad una multimillenaria tradizione Yoga(1) offro soluzioni e strumenti molto diversi dalla Medicina e dalla Psicoterapia intese in senso occidentale. Mi baso su un'altra concezione dell'uomo e del cosmo, della salute e della malattia. Io risveglio, sviluppo e parlo alla coscienza, insegno, indico, educo spiritualmente. Non tratto sintomi e malattie come farebbero uno psichiatra o uno psicoterapeuta materialista, perché a me non sono il ‘sintomo’ o la ‘malattia’ che appaiono, ma un’altra realtà. Soprattutto, insegno a riconoscere come la psiche funziona, come si blocca, come si riattiva, secondo la scienza dello Yoga bhaktivedantico, dell’Unione con l’Infinito, con Dio. La cura di tipo biomedico è una cura essenzialmente dei sintomi, di manifestazioni più o meno isolate, e tende a ripristinare uno stato di “normalità”, piuttosto che quello della salute olistica così com’è intesa nei testi dello Yoga(2).  La cura fisiologica, psicologica, etico-morale bhaktivedantica (via dell’Amore e della Conoscenza) invece, è fondata sulla prevenzione e sulla sadhana-bhakti(3) attraverso la quale l’individuo induce e abilita sé stesso a reinterpretare la propria immagine profonda (la coscienza e la consapevolezza della propria essenza spirituale e della propria eterna relazione d’amore che lo unisce al Creatore, al creato e alle creature) e a trasformare e guarire sé stesso, influendo, seppure in modo indiretto, molto positivamente anche sull’ambiente. Tradizionalmente, lo Yoga bhaktivedantico è un sistema di Psicologia del profondo, ma anche una via per ascendere con successo alle vette luminose della consapevolezza, con cui ciascuno - ammesso che abbia come Maestro un guru autentico (competente e coerente) e che voglia veramente migliorarsi - con l’ausilio di abhyasa (norme etiche e pratiche psico-spirituali da esercitare con costanza)(4) e vairagya (distacco emotivo)(5) può risvegliare e attivare in sé stesso strumenti di evoluzione e cura, fino alla gioia, l’illuminazione e l’Amore. Del resto, finché un individuo si pone passivamente come paziente è praticamente impossibile che si senta fiducioso in sé, autonomo, capace di prendere le proprie decisioni. Ci sono soggetti che - per non assumersi le proprie responsabilità – vorrebbero lasciare le redini nelle mani di altri per farsi dettare come devono sentire e come devono agire. Questo costituirebbe un'interferenza, un grave condizionamento, una psico-dipendenza che dobbiamo accuratamente evitare, perché il mio scopo è, appunto, quello di liberare dai condizionamenti. La cura bhaktivedantica non è praticata da un guaritore sul malato. Le psicoterapie che hanno concepito la malattia come “una cosa da togliere” sono tutte fallite. La verifica scientifica ha oramai accertato che sono incapaci di dare risultati dimostrati e stabili. Ormai anche la ricerca scientifica dimostra piuttosto che la coscienza gioca un ruolo significativo nel creare il “qui e ora”, che il futuro non è predeterminato ma plasmabile e che può essere modificato essendo composto di possibilità che si vanno cristallizzando. E’ dunque il presente che costantemente determina il futuro. Dobbiamo capire ed accettare che siamo noi i responsabili del nostro livello di coscienza. Questa è una condizione imprescindibile per poter essere effettivamente in grado di operare cambiamenti migliorativi in noi e fuori di noi e per utilizzare appieno e al meglio le enormi potenzialità di autorinnovamento e autoguarigione attribuibili al pensiero umano, determinante anche sul piano della realtà fisica. Più le nostre convinzioni sono profonde e cariche di emozione, maggiori sono i cambiamenti che possiamo attivare, sia nei nostri corpi che nell’ambiente circostante; ma anche i pregiudizi hanno i loro effetti: negativi. Il campo mentale è in qualche modo primario rispetto al corpo fisico, e funziona come una specie di mappa dalla quale il corpo riceve i propri riferimenti strutturali. Detto in altro modo, il campo energetico è la versione corporea di un ordine implicito: il dharma, eternamente operante. Il dharma (divino ordine etico-universale che regola e sostiene la vita dell’uomo e del cosmo) non è un ordine artificiale che determina una repressione delle istanze profonde dell’essere, ma rappresenta quella norma inscritta, quasi come un codice genetico, nell’intimo di ogni creatura, la cui infrazione provoca una condizione innaturale, limitante e patologica, inevitabilmente segnata da conflitti e sofferenze. I cosiddetti fantasmi della memoria - complessi, fobie, ossessioni - sono causa di quei pensieri angoscianti che favoriscono la strutturazione della realtà fisica secondo modelli disecologici e patologici. In modo analogo, questa stessa connessione dinamica fra le immagini mentali, il campo energetico e il corpo fisico è una delle ragioni per le quali la devozione (bhakti), la conoscenza  (vedanta), la retta condotta, l’esercizio della compassione, la preghiera, la visualizzazione, la meditazione, sono in grado di curare anche il corpo. Nella scienza bhaktivedantica, rupa è il piano6 delle forme – comprendente le forme mentali ma anche quelle psichiche(7) – dalle quali il corpo fisico dipende. Il piano rupa dipende a sua volta dal piano di realtà ad esso superiore, detto vibhuti(8). Controllando e dominando il livello della vibhuti grazie alle pratiche sopra descritte, si comprendono e si risolvono i problemi e le malattie del piano delle forme, non solo quelle della psiche e del corpo, ma anche quelle relazionali, che tanto ruolo hanno nel generare dolorosi conflitti. Essi, tuttavia, rappresentano solo un effetto collaterale del processo di autorealizzazione che la sadhana bhaktivedantica induce; il fine ultimo infatti, non è eliminare il male (fobie, dolore, attaccamenti, criticismo e aggressività), ma conseguire il bene: illuminazione, consapevolezza, libertà, felicità, Amore. Il Maestro della tradizione bhaktivedantica (Guru) risveglia le persone ai pericoli di una filosofia di vita materialistica, consumistica ed egoistica, è un formatore e un ispiratore della coscienza che, educando la mente, impartisce un insegnamento spirituale personalizzato allo studente, il quale lo applica su di sé in modo autonomo al fine di sviluppare ciò che ha già dentro di sé, e superare, liquidare, le vere cause della propria sofferenza: condizionamenti (panca klesha), cicatrici e blocchi emotivi (samskara) e tendenze inconsce (vasana) - al fine di riattivare le proprie facoltà superiori latenti e di riprendere autonomamente e con gioia il cammino della realizzazione del sé e dell’Amore. Dunque, come ho tante volte spiegato, in aula e nei miei testi, io  insegno Spiritualità, Psicologia e Filosofia Yoga (Bhakti-vedanta yoga) attraverso Corsi mirati e personalizzati per lo sviluppo di conoscenze e di capacità di applicazione pratica; le mie cure sono spirituali e non sono sostitutive di diagnosi e terapie mediche. Esse sono piuttosto mirate ad aiutare ognuno a scoprire e percorrere con gioia il proprio cammino di guarigione e d’illuminazione interiore. Il mio impegno è quello di creare le basi per una comunicazione profonda e soddisfacente, per una crescita significativa sul piano personale e sociale, nell’ambito di Corsi di studio personalizzati, di ricerca e sperimentazione che il CSB mette a disposizione per quanti abbiano  desiderio  di  approfondire. I Corsi, flessibili e personalizzati, sono strutturati in modo da essere accessibili a molte persone, permettono un comodo studio da casa propria e aprono ad una esplorazione profonda delle proprie dinamiche interiori. Oggi i corsisti sono alcune centinaia, con età e formazioni molto diverse. Per insegnare utilizziamo anche le conoscenze delle scienze moderne ma lo scopo di questo lavoro non è quello di limitarci a ciò, bensì quello di scoprire – attraverso il ricostituirsi di una visione spirituale di noi stessi e della vita - chi siamo veramente al di là delle convinzioni accumulate, delle identità acquisite e dei modelli comportamentali che ci danno un falso senso della nostra natura profonda. I Corsi, oltre allo studio teorico, includono seminari con letture, meditazioni, esercizi in piccoli gruppi e incontri singoli con gli insegnanti per aiutare a riconnetterci con la nostra reale identità, sovente obliata a causa dei molteplici condizionamenti subiti.

(1)  Bhakti-yoga:  gli insegnamenti  di questa scienza  spirituale sono antichissimi,  essi derivano da un lignaggio che, risalendo oltre i suoi maestri  umani,  giunge a Dio. Io li ho personalmente ricevuti nel lignaggio dei Guru da A.C. Bhaktivedanta Svami Prabhupada (guru-parampara della Shri Caitanya Sampradaya. Tradizione che io stesso oggi rappresento,  pratico e insegno).
(2) Principalmente: Bhagavad-gita, Vedanta,  Yoga-sutra,  Katha e Shveta-ashvatara Upanishad.
(3) Letteralmente ‘via dell’Amore’. E’ il sentiero per la realizzazione del sé considerato dai grandi Maestri punto di arrivo e sintesi perfetta di tutti gli altri (in particolare karma marga e jnana marga). Nella sadhana bhakti confluiscono e si armonizzano infatti la scienza dell’azione, il sentiero della conoscenza e della saggezza e la via suprema dell’Amore divino, grazie al quale il soggetto ritrova sé stesso e riscopre la propria eterna relazione con il Supremo. Nella bhakti confluiscono amore e spirito di servizio; bhakti significa infatti devozione e dedizione a Dio nella Sua forma personale, nella tradizione vedico-vaishnava Vishnu-Krishna. Nella bhakti devoto e Divinità sono vincolati da legami di amore reciproco e godono del medesimo stato di grazia.
(4) Pratica spirituale ininterrotta. Abhyasa è lo sforzo persistente per dominare e controllare le attività mentali e fisiche. Dopo un periodo iniziale di maggior fatica, se il ricercatore spirituale riuscirà ad applicare abhyasa con scrupolo e devozione, questa pratica diventerà un’abitudine, un modus vivendi che consentirà di invertire la rotta psichica e di trasformare le tendenze inconsce (vasana).
(5) Distacco emotivo. Stato coscienziale in cui, essendosi l’individuo ricontestualizzato nell’universo ed avendo perciò sviluppato una visione chiara ed elevata della natura del sé e del mondo, riesce a superare il desiderio morboso delle cose, anche senza doverne rimanere fisicamente a distanza.
(6) In sanscrito bhumi.
(7) Con mentale ci si riferisce al piano superficiale della mente, con psichico alla struttura mentale nel suo insieme.
(8) Il terzo dei sette piani o livelli, detti bhumi, descritti nella scienza dello Yoga. Nel caso delle vibhuti l’ambito è di natura energetica.

COME GESTIRE E SUPERARE LA CRISI di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

La vita umana, inutile nasconderlo, è una vita di crisi, che cominciano dalla nascita, con la prima boccata di ossigeno e gli strilli del neonato, e finiscono con l’ultimo respiro, nella stragrande maggioranza dei casi reso con dolore, sofferenza e spavento. Nel frattempo l'esistenza umana è costellata da una serie di prove più meno dure, raramente intervallate da un po’ di piacere qua e là. E' pur vero che chi vive una vita profondamente virtuosa, sperimenta anche molta gioia, ma non è tuttavia esente dalla sofferenza, che da sempre colpisce perfino grandi eroi, grandi santi e grandi re. Nella propria vita, dunque, ciascun individuo ha da confrontarsi con crisi, tensioni e conflitti emotivi, ma questi non sono di per sé negativi; lo diventano solo nel momento in cui non si riescono a gestire e, rimanendo irrisolti, producono nevrosi. Se vengono invece affrontati con la giusta attitudine, con consapevolezza e motivazione elevata, possono rappresentare persino l'indispensabile stimolo evolutivo per rafforzare le proprie qualità e per giungere ad equilibri superiori attraverso il riconoscimento e il superamento di alcuni propri limiti. Riesce infatti a sviluppare una personalità sempre più matura e integrata colui che impara a risolvere le naturali tensioni che emergono nel proprio intimo e quelle prodotte dall'esterno, facendo sì che non si cronicizzino ma anzi risultino occasioni importanti per acquisire ulteriori esperienze formative. A questo proposito Adler spiegava: “Difficoltà piccola, uguale normalità; difficoltà grande, uguale nevrosi”. Chi sa riconoscere le particolari crisi emotive e tendenze nevrotiche cui è soggetto, sarà maggiormente in grado di evitare che esse degenerino in veri e propri disturbi della personalità. Tutti siamo continuamente alle prese con il processo di riadattamento delle nostre tensioni interne. Nessuno dovrebbe sentirsi al di sopra di tali tensioni; dovremmo piuttosto imparare a gestirle in maniera costruttiva, evolutiva, mettendo in pratica un processo di trasformazione e rieducazione interiore che ci permetta di armonizzarle e trascenderle. Ciò è possibile soprattutto attraverso gli insegnamenti e lo stimolante esempio di vita di persone equilibrate, con elevato livello di coscienza, che possono essere modelli di riferimento nel lavoro che dobbiamo fare su noi stessi. Il termine ‘crisi’ è di origine greca, significa ‘cambiamento’. I cinesi per rappresentare il concetto di ‘crisi’ utilizzano due ideogrammi: il primo esprime il concetto di ‘pericolo’, il secondo quello di ‘opportunità’. In entrambe le civiltà, quella greca e quella cinese, vediamo che il fenomeno implica la necessità di scegliere, discernere, separare, decidere. La crisi è dunque un punto decisivo di cambiamento che si presenta, improvvisamente o gradualmente, e che può risolversi in senso favorevole o sfavorevole. Si tratta di un fenomeno comunque caratterizzato dalla rottura dell'equilibro precedentemente acquisito e dalla necessità di trasformare gli schemi consueti di comportamento, che non si rivelano più adeguati per far fronte alla situazione presente. Nella crisi, quando soprattutto è profonda e acuta, è come se tutto subisse un repentino cambiamento dal quale l'individuo può uscire trasformato in meglio, se dà origine a nuove soluzioni, oppure diretto verso l'incapacità di adattamento e la degenerazione. Nelle crisi di tipo fisiologico, dette anche evolutive o di sviluppo, il soggetto sperimenta il cambiamento passando dall'infanzia all'adolescenza, dall'adolescenza all'età adulta, dall'età adulta alla senescenza e dalla senescenza alla morte, ovvero al trapasso da una dimensione di esistenza ad un'altra. Queste crisi generalmente avvengono in maniera graduale e l'individuo può più facilmente predisporsi per fare un percorso di crescita interiore e di auto-consapevolezza. La crisi evolutiva è evidentemente di natura inarrestabile. Altra categoria di crisi è quella accidentale, provocata ad esempio da un'ingente perdita economica, un grave infortunio sul lavoro, un incidente automobilistico che può creare una disabilità permanente, un lutto, la perdita di una persona cara, un abbandono o un tradimento. Nella crisi evolutiva la persona ha la possibilità di procurarsi, con il progressivo mutare delle proprie condizioni di vita, tutti gli strumenti che le occorrono per gestire e superare il cambiamento. La crisi accidentale irrompe invece in maniera subitanea e minacciosa, compromettendo la salute fisica, l'equilibrio psicologico, lo status sociale ed economico, ecc. Essa implica da parte del soggetto maggiori risorse interiori e una più pronta e matura capacità d'intervento. In genere la crisi accidentale si manifesta attraverso le seguenti dinamiche:
  1. Il verificarsi di un evento imprevisto.
  2. La connessione tra questo evento e precedenti tensioni che avevano già determinato una situazione conflittuale nel soggetto.
  3. L'incapacità della persona di affrontare la crisi in modo adeguato servendosi dei suoi consueti meccanismi di comprensione ed elaborazione degli eventi.
A seconda del livello socio-culturale e soprattutto di quello evolutivo dell'individuo, si possono presentare differenti scenari di risposta alla crisi. I due principali possono essere così sintetizzati:
  1. Stato di massima apertura al cambiamento verso situazioni sia positive che negative.
  2. Incapacità di accettare il cambiamento a causa di chiusure e blocchi emozionali e cognitivi dell'individuo.
Elementi determinanti nel fenomeno crisi sono il fattore tempo (durata) e l'intensità (carica energetica), ovvero la rilevanza dei cambiamenti affettivi, cognitivi e relazionali che sono messi in gioco. Nella valutazione generale del fenomeno è inoltre importante prendere in considerazione se si tratta di una crisi una tantum o se invece è legata ad un'esperienza che, se non risolta in maniera adeguata, tende a riproporsi nel tempo, come può essere quella associata al fenomeno morte, ovvero al trapasso da una dimensione di esistenza ad un'altra. La crisi può essere affrontata principalmente in due modi:
  1. Con un pronto intervento che mira semplicemente a ridurne gli effetti dannosi sul momento, quasi una sorta di “trattamento” temporaneo volto a salvare il soggetto da pericoli immediati.
  2. Attraverso l'intenzione e l'impegno a sanarne le cause profonde, affinché si risolva completamente e definitivamente.
Nello stato di crisi è altamente richiesta la capacità di adattarsi alla nuova situazione, elaborando giudizi pertinenti al mutato contesto e assumendo una posizione confacente e matura. E' proprio questa capacità che costituisce il fondamento di un atteggiamento responsabile nei confronti delle esperienze e anche relativamente autonomo rispetto ai condizionamenti ambientali. Imparare a gestire la crisi significa imparare a gestire gli eventi, anche quelli più negativi, senza rimanerne travolti, ma cogliendo la preziosa opportunità di elevare la propria consapevolezza, facendo riferimento a quei valori universali che permettono di andare con la coscienza e con il cuore oltre l'ostacolo. Occorre essere capaci, se è il caso, di prendere anche le distanze da certe proprie opinioni e convinzioni, sapendo che in buona parte esse riflettono il mondo culturale ed affettivo in cui si è vissuti e che sono dunque sempre suscettibili di miglioramento. L'autocritica, la capacità di assumere un altro punto di vista, di distanziarsi dai propri vissuti per riuscire ad analizzarli e ad elaborarli in modo appropriato, è più che mai indispensabile nella gestione della crisi, il cui superamento necessita il pieno sviluppo delle facoltà metacognitive. Ricordiamo che non sono mai gli eventi di per sé la causa delle nostre disgrazie o delle nostre fortune; quel che veramente è determinante è il nostro atteggiamento, ovvero l'attitudine con la quale ci poniamo di fronte a persone, situazioni e accadimenti. Se lo desideriamo intensamente e ci predisponiamo nella maniera corretta, anche un evento di per sé negativo può trasformarsi in una preziosa e salvifica opportunità di crescita e di elevazione. Nell'elaborazione della problematica della crisi è importante tener di conto di alcuni importanti fattori:
  • Nessuno di noi può sfuggire alla crisi. La crisi è una normalità nella vita umana. Realizzare ciò è molto positivo, poiché evita di incorrere in sentimenti di rabbia, sfiducia o ingiustizia di fronte a nostre debolezze o a difficoltà apparentemente esterne (è infatti una visione distorta quella che ci fa credere che i problemi siano fuori di noi. In realtà possiamo ben capire che le loro cause, dirette o indirette, sono comunque da ricercarsi dentro noi stessi).
  • Occorre portare allo scoperto le nostre problematiche; rimuoverle significherebbe potenziarle, diventare nei loro confronti ancora più fragili, deboli e indifesi, poiché il nemico è quanto più pericoloso quanto più agisce non visto. Il nostro sforzo dovrebbe essere quello di affrontare ogni crisi non appena essa si manifesti, non appena la si riconosca come tale. Negare la crisi creandosi false giustificazioni o alibi, vuol dire far crescere e strutturare il problema in profondità, fino a che la ricerca di una soluzione diventa sempre più difficile ed impegnativa, sia in termini di tempo che di sforzi ed energie.
  • Il nostro futuro è sempre modificabile, dunque la cosa più importante e davvero determinante sarà la nostra reazione alla crisi. Il passato è un percorso concluso, ma tutto ciò che sta nel futuro è aperto alla trasformazione. Non c’è dunque niente di fisso o di prestabilito irrevocabilmente.
  • Dovremmo prendere le distanze emotive dalla crisi, capirne l’entità, comprendere la sua funzionalità evolutiva, considerarla come l’occasione per risolvere i problemi, superare i propri limiti e ascendere a piani superiori di consapevolezza, gioia e amore.
In sintesi la crisi è uno squilibrio, una disarmonia che ci chiama ad un cambiamento, che spesso richiede raccoglimento, trasformazione, sublimazione e trascendimento degli opposti. La crisi può essere definitivamente superata verso l’alto soltanto grazie alle facoltà più elevate dell’individuo, alla sua adesione all’ordine etico universale (dharma) e alla riscoperta della bhakti, il rapporto di Amore con Dio nella Sua triplice espressione: Creatore-creato-creature. Per risolvere la crisi occorre situarsi su di un piano di consapevolezza che trascende l'ego e penetrare lo spazio della coscienza profonda di sé, della propria essenza spirituale, laddove disarmonie ed opposti si ricongiungono in una superiore e sublime armonia. A tal fine non servono tanto la cultura o la mera acquisizione di dati quanto la saggezza, quel bene inestimabile che scaturisce dalla gloriosa unione di alta conoscenza, esperienza e coerenza di vita, attraverso la quale si raggiunge la felicità intrinseca, che non dipende da ciò che accade all'esterno. La felicità non è un'utopia se impariamo a camminare nel mondo in armonia con l'Ordine divino che regola la vita del cosmo e di ogni essere. Allora, ogni passo che compiamo su questo illuminato sentiero rompe un equilibrio, ma soltanto per costruirne uno superiore.

giovedì 12 febbraio 2009

LA PSICOLOGIA BHAKTI-VEDANTICA COME SOLUZIONE AI PROBLEMI ESISTENZIALI: EMOZIONI E PENSIERI NELL'EVOLUZIONE DEL PROPRIO CARATTERE E DEL PROPRIO DESTINO di Marco Ferrini (Matsyavatara Dasa).

Non esistono problemi senza soluzione. L'approfondita conoscenza psicologica derivante dalla tradizione vedica, in armonia con le moderne indagini nel campo psicologico, individua il punto di svolta verso la soluzione dei problemi esistenziali, nella volontà attiva e cosciente della persona che ne è afflitta, di voler trovare soluzioni e perseguirle con metodo e determinazione piuttosto che sprofondare nel proprio male immaginandolo inguaribile. L'atteggiamento rinunciatario è proprio quello che predispone una persona al fallimento. I primi passi di risalita sono indubbiamente faticosi, quanto può esserlo uscire da una palude o da sabbie mobili, poi, proseguendo nella direzione della luce, dall´interno riemerge la gioia di vivere con tutta la forza vitale di cui è per natura portatrice. Fondamentale è l´atteggiamento: come vi ponete verso la vita, la vita vi risponde, così come accade nelle relazioni con altri umani. Ognuno di noi è regista del proprio scenario mentale: può toglierne uno identificato come sbagliato, definirlo sgradito e poi sostituirlo con uno giusto e immediatamente l´umore cambia. Se evitiamo di lamentarci e facciamo economia delle risorse che abbiamo, nel momento in cui avremo la convinzione profonda di come dover agire ci troveremo a disposizione delle risorse che saranno un ottimo investimento e le energie si moltiplicheranno. Le risorse si possono moltiplicare, investendole nell'evoluzione o distruggere, dilapidandole nel lamento, questo dipende da noi. Il pensiero è strumento e le emozioni mezzi per l´evoluzione della coscienza; si può descrivere come utilizzare le emozioni per fare un salto di qualità nella percezione, mentre di solito esse rappresentano i nodi che incatenano le persone all´esistenza condizionata. È già una terapia contrapporre all´emozione, che è di natura calda, un pensiero, per sua natura freddo e che ha il potere di rendere più trasparente un contenuto torbido. Certamente è difficile che un pensiero, da solo, riesca a contrastare un´emozione, poiché quest'ultima possiede una carica psichica ben più potente. Bisogna tener pronte, come una valigetta di pronto soccorso, una serie di emozioni positive ben collocate nella memoria e che, nel momento in cui si desidera evocarle, siano immediatamente a disposizione. Le emozioni positive hanno anch´esse una carica emotiva forte e generalmente sono luminose, espansive, penetranti e possono rifinire l´operazione di risanamento che il pensiero può fare solo in parte. Possono essere insegnamenti che abbiamo ricevuto, momenti belli della vita, momenti in cui abbiamo sperimentato una felicità spirituale, ricordi che saranno straordinariamente preziosi se riusciremo ad evocarli al momento giusto, nel momento di un trauma o di una crisi grave, perfino all´approssimarsi della morte. Se provate a cambiare lo scenario ed evocate dall´archivio della memoria qualche momento in cui eravate felici, un momento di intensa crescita interiore, in compagnia di persone anch'esse impegnate in un pensare ed agire positivo, vedrete il vostro umore cambiare di colpo ed il corso dei pensieri prendere un´altra direzione, più palpitante e luminosa. Diventa perciò ancor più importante archiviare con molta cura i momenti positivi. Ad esempio quelli che contengono gioia o momenti di elevata comprensione da parte nostra verso gli altri, dagli altri verso di noi, ma sopratutto di quelle verità che ampliano la nostra capacità di visione. Se noi siamo responsabili dei nostri pensieri, siamo davvero obbligati a custodire emozioni anche angoscianti o pensieri tristi? No, non c´è nessun obbligo, c´è solo da imparare a come sostituirli con altre emozioni e pensieri positivi. Proprio come suggerisce Patanjali (Sadhana Pada, sutra 34) quando afferma di meditare su pensieri opposti, laddove quelli negativi attanaglino la mente.

Tratto da 'Pensiero, Emozioni e Realizzazione'.