martedì 31 agosto 2010

VISIONE E PROMESSA DELL'AMORE NELLA BHAGAVAD-GITA di Caterina Carloni.

Ogni tentativo di sintetizzare i risultati emersi dalle innumerevoli ricerche nello studio dell'efficacia delle diverse tecniche psicoterapiche non può che peccare di parzialità e insufficiente obiettività a causa dell’angolo visuale dal quale inevitabilmente si osserva questa enorme massa di dati, ma emerge in modo ricorrente e indiscutibile il ruolo determinate della qualità della relazione, a dispetto delle tecniche utilizzate, nel determinare la riuscita del percorso terapeutico. Ciò ha indotto a ridefinire meglio l’oggetto d’indagine della ricerca psicoterapeutica e a rivedere la concezione stessa di salute e malattia, dei suoi significati e delle sue funzioni. Paradossalmente, il vero successo della ricerca in psicoterapia, dopo l’intensa proliferazione di strumenti di misurazione, sembra essere il ritorno ad una riflessione su sé stessa, sulla sua ragione d’essere e sui suoi obiettivi. Indagare e scoprire nuove potenzialità all’interno delle relazioni umane potrebbe aprire scenari luminosi per restituire alla psicologia tutto il suo patrimonio culturale e spirituale di scienza dell’anima (Psicologia è un termine che deriva dal greco ed è formato da logos, che significa “studio, scienza”, e da psyché, che significa appunto “spirito, anima”).  La tradizione indovedica, con la sua mole di letteratura sull’argomento - inspiegabilmente ignorata dalle università occidentali - offre contributi preziosi e necessari alla comprensione delle dinamiche affettive e relazionali, dei risvolti emotivi e dei sentimenti ad esse sottesi, fornendo teorie, strumenti e metodi di crescita psicologica e spirituale. Un monumento alla scienza psicologica come la Bhagavad-gita, ad esempio, utilizzando il linguaggio del mito e del racconto, ci svela le cinque verità fondamentali sulla condizione degli esseri viventi: Dio (Ishvara), l’individuo (jiva), la natura (prakriti), il tempo (kala) e l’azione (karma) e attraverso un avvincente dialogo tra coscienza superiore (Krishna) e coscienza condizionata (Arjuna), svela via via tutti i segreti di una conoscenza confidenziale, intima e spirituale, intrisa di passaggi gioiosi che parlano direttamente al cuore del lettore. Pronunciate da Dio in Persona, le parole che compongono gli shloka della Bhagavad-gita contengono una potenza rivelatrice che illumina concetti portanti della scienza psicologica. Ad esempio, sul ruolo della volontà e del senso di responsabilità rispetto alle azioni che l’essere umano compie, sul senso di colpa che le accompagna, sulla natura dell’identità individuale, il terzo capitolo offre svariati temi di riflessione, come il rapporto tra io (falso ego) e anima spirituale, l'influenza dei guna (gli attributi della materia) sul comportamento, la condizione esistenziale di chi agisce lasciandosi guidare da una coscienza materiale: 

“Sviata per l'influenza del falso ego, l'anima spirituale, crede di essere l'autrice delle proprie azioni,
che in realtà sono compiute dalle tre influenze della natura materiale.”
(Bhagavad-gita III.27)

In merito all’esercizio della libertà nel rispetto di un ordine etico superiore (il dharma) e alla necessità per l’individuo di mantenere e coltivare il collegamento con il mondo dello spirito e con la sua vera natura, troviamo varie e articolate spiegazioni. 

“È molto meglio compiere il proprio dovere, anche se in modo imperfetto, che compiere perfettamente quello altrui.
È meglio fallire nel compimento del proprio dovere che impegnarsi nei doveri di altri perché seguire la via altrui è pericoloso.”
(Bhagavad-gita III.35)

Riguardo al tema dei rapporti, tutta l’opera è un costante richiamo alla felicità che deriva da un’unione salda ed elevata con tutte le creature:

“Chi vede in ogni essere l'Anima Suprema, ovunque la stessa, non si lascia trascinare dalla mente alla degradazione.
Si avvicina così alla destinazione spirituale.”
(Bhagavad-gita XIII.29)

E anche: 

“Il vero yogi vede Me in tutti gli esseri viventi e vede tutti gli esseri viventi in Me.
In verità, la persona realizzata vede Me, il Signore Supremo, in ogni luogo.”
(Bhagavad-gita VI.29)

Il dialogo tra Arjuna e Krishna possiede l’eco di una psicoterapia perfetta, fatta di tempismo (rassicurazione e consolazione iniziale, seguita da ritmi incalzanti ed esortazioni, in un generale clima di accettazione e comprensione) che si conclude così: 

“Ti ho svelato così la conoscenza più confidenziale.
Rifletti profondamente, poi agisci secondo il tuo desiderio.”
(Bhagavad-gita XVIII.63)

Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada scrive, nell’Introduzione a La Bhagavad-gita così com’è: “La Bhagavad-gita (conosciuta anche come Gitopanishad) è considerata una delle maggiori Upanishad e costituisce l'essenza della conoscenza vedica. [….] Che cosa si propone la Bhagavad-gita? Il suo fine è quello di liberare gli uomini dall'ignoranza a cui li ha costretti l'esistenza materiale. Ogni giorno l'uomo si trova alle prese con mille difficoltà. Arjuna, per esempio, sta per affrontare una guerra fratricida; deve o non deve combattere? Chiuso nel suo profondo dilemma, egli cerca una soluzione rivolgendosi a Krishna, che gli espone allora la Bhagavad-gita. Come Arjuna, anche noi siamo immersi nell'angoscia a causa dell'esistenza materiale, che consideriamo come l'unica realtà. Ma noi non siamo fatti per soffrire, perché siamo eterni e la nostra vita in questo mondo illusorio (asat) è solo passeggera. Tutti gli esseri umani soffrono, ma ben pochi indagano sulla loro vera natura o sulla ragione della sofferenza. Nessuno sarà veramente perfetto se non si chiede il perché della sofferenza, se non la rifiuta e sceglie di porvi rimedio. Possiamo considerarci uomini solo quando questa domanda si affaccia alla nostra mente”. Una psicoterapia che non si interroghi sulle qualità dell’anima e sul vero scopo dell’esistenza umana rischia evidentemente di rimanere impantanata in questioni di statistica e di calcoli delle probabilità, allontanandosi dal suo vero senso e dalla sua funzione. Il sistema di pensiero bhaktivedantico, basato su una tradizione millenaria e sostenuto da teorie e da tecniche collaudate nel corso dei secoli, da grandi rishi, offre la certezza di una conoscenza pura ed eterna, fonte d'ispirazione e di gioia per la conquista di una salute fondata sull’Amore.

“Le vostre cure non serviranno a niente se non ci metterete amore”.
 (San Pio) 

“Nessuna medicina è in grado di curare ciò che la felicità non riesce a curare .
 (Gabriel Garcia Marquez)

“La medicina migliore per l’uomo è l’uomo stesso. Il massimo grado di medicina è l’amore”.
(Paracelso)

1 commento:

  1. Sarei grato a chi mi potesse approfondire il pensiero racchiuso nel Cap.3 sl.35 della Gita.

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