giovedì 5 marzo 2009

LOGOS ED EROS NELLA PERSONALITA' MASCHILE E FEMMINILE:
INTEGRAZIONE, ARMONIZZAZIONE
E SUPERAMENTO DEGLI OPPOSTI.
di Marco Ferrini


La Psicologia indovedica spiega che l’individualità dell’essere è eterna, immutabile e di natura spirituale, mentre la personalità è in transito ed è, come spiegava anche Jung, costituita dalla somma dei contenuti psichici con i quali l’io si identifica. Le esperienze, le impressioni, i fatti e le circostanze esteriori modificano la personalità ma non l’individualità. Una personalità che si sviluppa in maniera armonica, senza conflitti intrapsichici, è in grado di interagire bene ed integrarsi con gli altri. I conflitti nelle relazioni rappresentano infatti l’esito delle problematiche irrisolte dentro di noi. Integrazione ed armonizzazione della personalità sono possibili sviluppando in noi qualità e facoltà carenti, portando al contempo a maturazione quelle già acquisite e dalle quali trarre l’energia e la forza necessaria per colmare le lacune superando i nostri limiti. Alcune funzioni psicologiche in certi caratteri sono deboli costituzionalmente, ovvero dipendono dalla peculiare natura della persona e dal tipo psicologico che la caratterizza. Vi sono ad esempio individui molto dotati di razionalità operativa e senso pratico, con grandi capacità di concretizzare idee e progetti. Altri invece in cui è maggiormente sviluppata una naturale propensione immaginativa verso l’intuito, l’arte, la sfera dei sentimenti e delle emozioni. Ci sono poi casi in cui alcune qualità di un individuo si sono arenate ad uno stadio infantile e primitivo di sviluppo, non tanto per debolezze costituzionali, quanto a seguito di circostanze e fattori esterni che hanno causato traumi nella personalità, con conseguenti rimozioni ed inibizioni inconsce. I traumi producono determinate inclinazioni e tendenze nella personalità, irrompendo talvolta a livello cosciente in modo tumultuoso e lasciando il soggetto in un grave stato di disorientamento, confusione e sofferenza. La personalità storica, quella di cui possiamo raccontare in senso autobiografico, è sovente caratterizzata da uno squilibrio tra ciò che potremmo definire il principio del Logos e quello dell’Eros. Logos, che in greco significa verbo, parola, ragione, è il principio di conoscenza, tradizionalmente associato agli uomini e alla mascolinità. Il Logos ricerca il sapere, l’analisi, la chiarezza e gli spazi ben delineati. E’ la legge dell’intelletto e della mente umana. Serve a ben orientarsi. L’Eros, termine che deriva dal nome del figlio della dea Afrodite, può essere definito come il principio di accoglienza, unione e collegamento, la sfera emozionale, generalmente associata alle donne e alla femminilità. L’Eros cerca il calore, l’affetto, la sensibilità e la spontaneità. A questi due princìpi archetipici corrispondono due diverse categorie di conoscenza e di approccio alla realtà: la conoscenza razionale e mediata, fondata sul ragionamento, sulla deduzione, sul senso critico e sullo spirito di analisi, e la conoscenza immediata che si nutre della capacità intuitiva. La polarità tra il lato femminile e quello maschile è una delle principali che troviamo nell’animo umano. Generalmente la persona tende infatti a dare maggiore risalto all’uno o all’altro di questi aspetti (maschile o femminile), solitamente a quello che la rispecchia anche fisicamente. Nel corso della storia la società umana ha favorito più spesso l’aspetto maschile rispetto al femminile. Piuttosto di riconoscere che la personalità evoluta di ogni uomo e di ogni donna dovrebbe essere il risultato di un’azione reciproca e integrata tra maschile e femminile, si è venuto spesso a creare un ordine statico, quasi dicotomico, nella convinzione che le donne abbiano caratteristiche unilateralmente femminili e gli uomini unilateralmente maschili. Scambiando poi la forza fisica per la forza morale, considerando la razionalità dell’intelletto come superiore in ogni caso all’intuitività del sentimento, agli uomini sono stati assegnati ruoli predominanti e privilegiati nella guida del governo e della società. In verità nessuno è esclusivamente uomo o donna, perché nella personalità di ognuno sono compresenti caratteristiche maschili e femminili, in misura maggiore o minore a seconda dei residui karmici di esperienze compiute in questa vita o nelle precedenti, laddove abbiamo indossato corpi di uomini e donne con forme mentis peculiari, i cui tratti ancora permangono nelle nostre attuali tendenze, propensioni caratteriali, talenti e difetti innati. Accade spesso che nell’uomo tendano a rimanere involute, sconnesse e mal integrate le facoltà che appartengono alla sfera dell’Eros, mentre nella donna si avvertono generalmente maggiori carenze sul piano del Logos. Lavorare all’integrazione della personalità è fondamentale per acquisire il meglio delle caratteristiche maschili e femminili sviluppandole a prescindere dal proprio genere. In verità, infatti, noi non siamo né uomini né donne, ma essenze uniche ed eterne (atman) caratterizzate in origine da un’individualità armonica di natura puramente spirituale. L’essere incarnato, pur essendo portatore di un corpo di genere femminile o maschile, non deve identificarsi né con il genere né con il corpo, rammentando che l’uno e l’altro sono un fatto temporaneo ed esterno alla propria natura profonda e originaria, una maschera che deriva dalle esperienze compiute e dalle tendenze acquisite, da samskara e vasana. Come accennato, il Logos designa la razionalità, il pensiero, l’audacia nelle argomentazioni logiche e nella capacità di analisi. Sovente accade che chi ha queste qualità molto ben sviluppate sia invece tremendamente carente sul piano affettivo, nei sentimenti, nelle intuizioni, nella sensibilità. Non è raro che una facoltà o tendenza della personalità prenda il sopravvento, venga estremizzata ed ipersviluppata a scapito di altre parimenti importanti. In alcune persone certe caratteristiche tipicamente maschili risultano ad uno stadio infantile, per cui la lucidità e il distacco emotivo appaiono inadeguati, emergendo invece con forza tendenze all’azione impulsiva, ad un’intuizione spesso erronea perché condizionata da un’istintività e passionalità che il soggetto non sa gestire. Quando il sentimento non è illuminato dalla razionalità si rivela fortemente dannoso, scadendo nella passione cieca e nel sentimentalismo. L’impulsività e il desiderio si sostituiscono alla corretta visione delle cose, portando a conclusioni affrettate, infondate e fallaci, prodromi inevitabili di delusione e sofferenza. L’Eros, che è il mondo dell’affettività e dei sentimenti, si trasforma in un turbinio di passioni gravi, tenebrose, incontenibili e torbide se non è rischiarato dal lume discernente dell’intelletto tramite la forza del ragionamento (vitarka), della riflessione (vicara) e dell’osservazione matura e distaccata (vairagya). Analogamente il Logos, se non è ben equilibrato ed integrato con la sfera dell’Eros, rischia di soffocare emozioni e sentimenti positivi con una razionalità sterile. Anche le neuroscienze indicano che i due emisferi cerebrali sono deputati a ruoli e funzioni diverse: l’emisfero sinistro è preposto a quelle funzioni prettamente maschili legate al processo cognitivo, logico-razionale, mentre l’emisfero cerebrale destro è la sede delle emozioni, della creatività, e dunque delle caratteristiche e propensioni tipicamente femminili. Occorre imparare ad armonizzare la funzione psicologica estrovertita con quella introvertita, valorizzando ed integrando Logos ed Eros.Potremmo dire che, a prescindere dal corpo fisico che indossiamo, la nostra natura è androgina, nutrita dalla compresenza a livello biologico e psichico di tratti maschili e femminili.Come spiega Krishna nel sesto capitolo della Bhagavad-gita (VI.6), una mente squilibrata, ribelle e selvaggia è il peggior nemico dell’essere umano. Per contro, chi conquista la mente, arrivando a percepirla come strumento nelle mani del sé, ritrova se stesso e ottiene tutto quel che desidera. Nella Bhagavad-gita (II. 54-55) Arjuna chiede a Krishna: “Quali sono i sintomi di una persona la cui coscienza è immersa nella trascendenza? Come parla e con quali parole? Come si siede e come cammina?” Krishna risponde “O Partha, la persona che si libera da ogni desiderio di gratificazione dei sensi generato dalla speculazione mentale, e con la mente così purificata trova soddisfazione soltanto nel sé, è situata nella pura coscienza spirituale”. In quest’ultima strofa compare un termine molto interessante, mano-gatan, che indica le fughe della mente, le corse letali per inseguire bramosie effimere e piaceri illusori. Certi squilibri mentali e aspetti involuti della personalità sono spesso poco conosciuti e compresi, non raramente vengono infatti svalutati e negletti a causa di condizionamenti culturali, mentre l’individuo rimane in uno stato crescente d’immaturità psicologica che, se non sanato, arriva a produrre anche gravi patologie e disturbi comportamentali. È dunque un onere imprescindibile quello di occuparsi seriamente dell’eliminazione di scompensi e disarmonie a carico della personalità, prima che esse si strutturino radicandosi in profondità. In un mondo dominato dall’elemento maschile, con tendenze discriminatorie nei confronti degli aspetti femminili, dove permane comunque la propensione ad un’identificazione totalizzante con il corpo e con il genere, questa ricerca di integrazione non sempre risulta tra le più facilmente accettabili. La cultura Bhaktivedantica insegna a guardare con lo stesso rispetto a donne e uomini, non immedesimandosi unilateralmente in un genere o nell’altro, perché l’immagine che ci rimanda lo specchio non corrisponde alla nostra natura originaria e profonda. Il sé è ben oltre le connotazioni storiche e temporanee di maschio e femmina, la sua identità pura mente spirituale è definita in sanscrito nitya svarupa ed in essa trovano perfetta sintesi ed espressione qualità maschili e femminili. Il sé è l’essenza spirituale (atman) e il centro unificatore della coscienza, è l’individualità unica ed eterna, la quale non risente ontologicamente delle patologie che affliggono il corpo e la mente. Come spiega anche Jung, grande studioso di opere indovediche, l’individuazione del sé è la chiave di volta di tutti i processi di evoluzione e di crescita umana. La scoperta dell’atman permette al soggetto di centrarsi in sé stesso, di ritrovare il proprio baricentro. Essa armonizza ed equilibra tendenze opposte, sana le contraddizioni e i conflitti dell’io storico, amplificando la coscienza in direzione della sua universalità. Per spiegare il principio universale del sé Jung elabora un interessante parallelismo con il processo alchemico. Gli antichi alchimisti si proponevano di trasformare la materia grezza in oro filosofale e nella Nigredo alchemica Jung vede il confronto con l’ombra della personalità, nell’Albedo il confronto con gli archetipi dell’Anima e dell’Animus e nell’Opus la scoperta della coscienza integrata del sé. L’esperienza di unione e integrazione degli opposti complementari si consegue con il raggiungimento di un livello superiore di coscienza, nel quale le categorie del mondo e del pensiero ordinario vengono trascese conciliandosi in una unità dinamica. Come asseriva Lewin, “le parti sono diverse dalla loro somma”. Nella Bhagavad-gita (II.45) colui che ha trasceso la forza magnetica degli opposti è definito nirdvandva. Per i latini eludere i campi di forza degli opposti era la “congiuntio oppositorum” ricercata da tutti coloro che capivano che esiste una dimensione superiore di completezza, libertà e amore, in cui ci si può esprimere all’infinito senza le catene dei condizionamenti e della convenzionalità.
Tratto dal libro 'Dall'Eros all'Amore'.

5 commenti:

  1. ho appena letto il primo brano di questo blog, e vedendo gli altri brani noto che non ci sono commenti. Effettivamente è difficile poter commentare ciò che è già cosi chiaro. Come si può commentare uno specchiò, puoi descrivere solo l'immaggine che c'è riflessa. Nel commentare ciò che ho letto è interessante sentire dentro di me delle riflessioni ed è come cogliere i miei attaccamneti e la mancanza di equilibrio tra logos ed eros. E' disorientante. Ma dove cadono le certezze c'è spazio per ritrovare nuove margini di verità. Salvatore

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  2. Caro Salvatore, grazie per aver espresso le tue riflessioni in merito, effettivamente io credo che laddove il materiale presentato smuova emozioni o istanze interiori di varia natura e vi sia il desiderio di condividere tali sentimento, il commento nasca spontaneo e ti ringrazio di cuore per averlo fatto. Alle volte siamo talmente identificati nella immagine presente nel nostro specchio mentale, da non riuscire ad osservare ed osservarci da un altro punto di vista, esterno a quello che ci siamo creati. E' a questo punto che emerge la necessità di cercare di esplicitare questi meccanismi, questi attaccamenti, così banali e allo stesso tempo così sottili! Ed il fatto che sentiamo risuonare in noi ciò che troviamo scritto è una riprova del fatto che siamo già calati in un percorso di introspezione e stiamo ricercando la parte vera di noi stessi al di là delle innumerevoli barriere che ci siamo costruiti nel corso di diversi cicli esistenziali. Dalla onesta constatazione dei nostri limiti incomincia il percorso di crescita personale, utilizzando il masso che prima ostruiva il nostro cammino come piolo per l'elevazione della nostra coscienza e conseguentemente della qualità della nostra vita. Concordo quindi con la visione positiva e costruttiva con cui termini il tuo commento, poiché indubbiamente ogni crisi genera nuove opportunità per la ricostruzione di edifici di saggezza dalle fondamenta ancora più solide! Diana Vannini

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  3. grazie a te Diana. avrei voglia di tirar fuori molte riflessioni...mi sento come una cantina dove si è buttato dentro per molti anni un po' di tutto, e quando ci metti mano devi prima fare spazio e tirare fuori le cose una alla volta con attenzione per evitare che ti crolli tutto addosso...comunque, ogni cosa non accade per caso..

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  4. Sicuramente nulla accade per caso, ma anzi deriva inevitabilmente da ciò che consciamente o inconsciamente abbiamo desiderato e dalle azioni conseguenti. Se ora ti senti di analizzare ciò che hai indiscriminatamente assimilato per anni, significa che sei giunto ad un momento di cambiamento, in cui hai necessità di essere maggiormente cosciente di te e di elaborare le informazioni che trai dalla realtà circostante e dalla tua dimensione più intima. Personalmente credo che questa consapevolezza sia davvero buona, perché come dici tu, nel momento in cui ci accorgiamo che ci manca qualcosa tendiamo ad ingerire qualsiasi cosa ci passi innanzi, illudendoci che plachi il vuoto dentro di noi. In realtà, così facendo, rischiamo di provocarci una gran indigestione senza nemmeno uscirne soddisfatti, mentre sarebbe sufficiente una briciola di ciò che veramente stiamo cercando per essere sazi in eterno... Concordo sul fatto che prima di intraprendere nuovi percorsi si debba attentamente e delicatamente esaminare ciò che già si era accolto con o senza cognizione di causa; in questo modo sarà possibile preparare il terreno, sbaragliando le costruzioni abusive per riscoprire la nostra vera dimora. Se questa sede di scambio e riflessione potrà in qualche modo esserti d'aiuto in questo, sarò ben felice di partecipare, se vorrai...
    P.S. Se non ci identifichiamo con immagini o maschere che erroneamente nel passato ci siamo costruiti, non dobbiamo temere che ci crolli addosso qualcosa, poiché noi siamo altro, il nostro baricentro è altrove, non in modelli di identità fasulle, né di effimeri possedimenti. In realtà non possiamo perdere nulla perché non siamo padroni di nulla che sia esterno a noi e non possiamo perdere noi stessi, possiamo solo dimenticarcene temporaneamente. Nel momento in cui vogliamo riscoprirci, anche se temiamo per gli attaccamenti sviluppati in passato, dobbiamo avere fede, perché risveglieremo un gusto nuovo, superiore a qualsiasi passione passeggera, in grado di infiammarci ardentemente, senza peraltro scottarci.

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  5. Gentile Diana...
    grazie per i tuoi puntuali commenti...sento di essere all'interno di un percorso di cui non vedo (o non ricordo) l'inizio..e forse neanche la fine. So in cuor mio di voler Dio.. di voler arrivare a lui o meglio di svegliarmi in lui. Parto da una consapevolezza che nulla mi appartiene, ne il mio corpo, ne le cose che mi circondano, nemmeno la vita che mi è stata donata. Gioisco di tutto questo e dei legami dei miei familiari...quando riesco a rilassarmi ed inizio ad osservarmi..vivo una sensazione che mi porta ad osservarmi dall'esterno, fino ad arrivare ad immagginare la stessa visione che possono avere gli austronauti quando osservano la terra dallo spazio, vedere questa piccola palla celeste che fluttua nella spazio immenso. Osservo la terra come se fosse la mia mente-corpo, quando ci sono dentro, sono preso dalle sue dinamiche, leggi e forze di gravità e mi sembra che esista solo quella realtà..ma osservando dall'esterno e solo una parte della relata più complessa..e vedo molte altri pianeti che fluttuano nello stesso spazio. Vedo le persone affianco a me e li sento come pianeti... quando guardo dall'easterno mi assale lo stupore e il timore. Stupore per l'immensità, la sacralita di cio che osservo, il desiderio di voler vedere di più, di potermi abbandonare a Dio. Ma sento anche il timore di perdermi, di non essere adeguato, di non avere gli occhi giusti per guardare. Da piccolo, per un certo periodo mi soffermavo a guardare il cielo, mi piaceva, ma dopo mi veniva il timore di essere attratto dal nulla di perdere contatto con la terra, di fluttuare senza potermi fermare. La ricerca del vuoto, la paura del vuoto. intendo il vuoto come lo spazio che tutto accoglie. L'alfa e l'omega. L'inizio e la fine di ogni cosa.

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