domenica 31 maggio 2009

LA PSICOSOMATICA NELLA LETTERATURA INDOVEDICA (PARTE SECONDA).
di Marco Ferrini.

IL POTERE DELLA MENTE.
Per alcuni potrebbe sembrare incomprensibile come un’immagine formatasi nella mente possa avere effetto sulle funzioni fisiologiche, arrivando persino ad arrestare malattie tanto gravi come ad esempio forme tumorali incurabili. Secondo la moderna fisica subatomica, nel cervello umano l’immagine memorizzata di una cosa può avere altrettanto impatto sui sensi quanto la cosa stessa. In realtà l'immaginazione è già creazione di una forma, poiché essa implicitamente possiede già in sé tutti i parametri necessari per metterla in atto(1). Queste recenti acquisizioni scientifiche confermano il punto di vista della tradizione indovedica, la quale spiega come la genesi dell’azione vada ricercata in ultima analisi nel desiderio che genera il pensiero, il quale possiede di per sé un’enorme forza creativa che, se lasciata fluire correttamente, esplicita lungo il suo percorso tutte le proprie potenzialità, passando dal livello sottile a quello grossolano e arrivando persino a modificare la realtà delle cose. Dunque immaginazione e realtà, pensiero e azione sono fondamentalmente inscindibili; non dovremmo perciò sorprenderci che immagini presenti nella mente possano alla fine manifestarsi come realtà fisica. In altre parole, i nostri corpi rispondono non alla realtà, bensì a ciò che noi immaginiamo reale. L'efficacia del placebo è dimostrazione evidente di come psiche e corpo interagiscano in continuazione e siano troppo interconnessi per essere trattati come entità separate. Secondo Bohm, il sistema mente-corpo non è fondamentalmente in grado di distinguere la differenza tra gli ologrammi neuronali che il cervello usa per sperimentare la realtà e quelli che evoca quando immagina la realtà. In tutti i casi comunque gli elementi che vanno a formare questi ologrammi neuronali sono molti e molto sottili. Giocano ad esempio un ruolo fondamentale le speranze e le paure, i pregiudizi e le credenze individuali. L'immaginazione, a seconda della qualità dei suoi contenuti, può dunque causare malattie oppure curarle. Per mettere in atto quest’ultima benefica potenzialità è indispensabile attenersi ad una disciplina mentale che permetta al soggetto di controllare la propria attività psichica (in assenza di ciò i medici debbono ricorrere al placebo cercando di indurre inconsciamente il paziente ad attingere alle forze guaritrici presenti dentro di sé). In questo ambito l’importanza dello Yoga è più che mai fondamentale poiché insegna la disciplina per il dominio della mente e per il pieno e corretto utilizzo di tutte le sue infinite potenzialità, le quali possono apportare benefici enormi su tutti i piani esistenziali, incluso quello fisico. Quando infatti si riescono a penetrare livelli di coscienza elevati, la forza della mente può arrivare persino a prevalere sui caratteri genetici (cfr. Bruce Lipton “La mente è più forte dei geni”). Ovviamente quanto più la consapevolezza è profonda, tanto maggiori saranno i cambiamenti che riusciremo ad attuare sia nei nostri corpi che nella realtà attorno a noi. L’essere umano vive dunque in un universo nel quale anche un solo cambiamento di attitudine o di modo di pensare può stabilire la differenza tra la vita e la morte, tra la salute e la malattia, e nel quale le cose sono così sottilmente interconnesse che anche un sogno o un’immagine possono diventare realtà. I miracoli accadono non in opposizione alla natura ma in opposizione a ciò che noi conosciamo della natura, affermava Sant’Agostino. In definitiva corpo e mente rappresentano due entità solo apparentemente distinte, così come materia ed energia. Tutto ciò che è fisico, i Veda insegnano ed alcuni esponenti di spicco della fisica moderna confermano, non è altro che energia mentale cristallizzata. Nella scienza medica dell’Ayurveda, l’aspetto psicologico e l’aspetto fisiologico, vista la loro stretta connessione, non vengono trattati separatamente ma studiati e curati di pari passo. Questo perché lo stato di salute può essere effettivamente ristabilito, con risultati totalmente soddisfacenti e duraturi nel tempo, solo se la cura è di tipo olistico, se cioè tiene di conto di tutte le diverse componenti che, nel loro insieme, costituiscono quel micro universo che è l’essere umano: la componente fisica, psichica e spirituale. Il corpo fisico e quello psichico, cioè il complesso corpo-mente, debbono venir armonizzati perché, una mente disarmonica rispetto al corpo o un corpo disarmonico rispetto alla mente, generano sofferenza e di conseguenza malattie e infermità. Niente ha più potere sul corpo quanto le convinzioni della mente. L’armonia è un assaggio di liberazione; è la chiave per ripristinare uno stato di salute totale riappropriandosi della propria inesauribile riserva di energie, indispensabile per scalare le vette della consapevolezza più elevata.

(1) Cfr. Michael Talbot, Tutto è uno, ed. URRA, 1997, p. 103.

lunedì 25 maggio 2009

LA PSICOSOMATICA NELLA LETTERATURA INDOVEDICA (PARTE PRIMA).
di Marco Ferrini.


LA RISONANZA FRA PIANO FISICO E PIANO PSICHICO.
Secondo la psicologia indovedica l'essere umano risulta come un paradosso costituito da profonde aspirazioni interiori che contrastano con bisogni fisici oltremodo impellenti. La differenza tra il sé e il corpo, nel quale il sé temporaneamente abita, dovrebbe diventare una profonda, costante consapevolezza perché, quando l’individuo si identifica con gli strati più superficiali della propria personalità, l’universo interiore sembra frantumarsi e il soggetto è costretto a sperimentare con dolore il suo fallimento intimo. A questo fine fondamentale da sviluppare è la consapevolezza dell’essenziale differenza tra spirito e materia, tra il sé e il corpo, tra il sé e la mente. Questo naturalmente non significa che il corpo e la Natura, con tutti i loro elementi, debbano venir trascurati o disprezzati; vanno anzi apprezzati e curati nel migliore dei modi, in quanto strumenti preziosi che possono permettere di fare in questa esistenza un viaggio agevole e in ascesa, rivolto alla conoscenza e all'elevazione etico-spirituale. Per apprendere la capacità di auto-disciplina e sviluppare al meglio le proprie potenzialità occorre diventare consapevoli anche di quanto corpo e psiche siano interconnessi ed interdipendenti: ciò che avviene sul piano fisico influenza lo psichico, ma è ancor più vero che quanto accade sul piano psichico influenza notevolmente il fisico. Gran parte delle malattie del corpo deriva infatti da disagi o da malesseri mentali. Sembra sia stato ormai scientificamente dimostrato che, ad esempio, perfino in gravi patologie quali i tumori, le malattie cardiocircolatorie o l’invecchiamento precoce, la componente stress abbia una rilevanza notevole. La letteratura psicologica indiana afferma che ogni organo, tessuto, cellula, molecola e atomo del corpo è irrorato di psiche e che il sistema nervoso cerebrospinale rappresenta il canale fisiologico principale attraverso cui la mente opera nel corpo, senza però che l’influenza del “pensare” e del “sentire” sia limitata ad esso. Se il soggetto intrattiene pensieri positivi ed elevati, fondati su valori quali la veridicità, la lealtà o la compassione, l’intero organismo, attraverso impulsi elettrochimici associati a ciascun pensiero (le cosiddette cellule-messaggere), riceve questi stessi stimoli positivi, che provocano un’immediata fortificazione del sistema immunitario, che invece si indebolisce gravemente in presenza di pensieri o emozioni negativi quali paura, rancore, collera, concupiscenza, odio, malumore, invidia, delusione, ecc. Secondo l’Ayurveda, lo stato fisico di un individuo cambia col modificarsi dei suoi contenuti psichici e del suo stato di coscienza. In questo modo trovano spiegazione anche le cosiddette guarigioni miracolose o, con un linguaggio clinico, le remissioni spontanee. Similmente, tutto ciò che avviene nel corpo influenza inevitabilmente anche la struttura psichica, tanto che risulta evidente non solo l’esistenza di una connessione tra mente e corpo quanto una vera e propria risonanza tra i due. Anche il respiro, che possiamo considerare come una cerniera tra il fisico e lo psichico, ci conferma quanto questi due piani siano inscindibilmente collegati, interagenti e interdipendenti. Attraverso il respiro si può infatti intervenire sui processi psichici e, influendo sullo psichico, si arriva a gestire il fisico. Nevralgie, dolori reumatici, crampi, sudorazione, affaticamento ed altri disagi organici, possono venir superati tramite la pratica del controllo del respiro (pranayama), branca che possiamo approfondire studiando gli Yoga-sutra(1). Sul versante psichico, ansietà, paura, emozione, stordimento, possono venir controllati attraverso una corretta gestione del respiro e le pratiche meditative, finché la mente si calma e la coscienza può accedere ad un livello di consapevolezza superiore.

(1) Cfr. Marco Ferrini Psicologia dello Yoga.

sabato 16 maggio 2009

LA MASCHERA TRASFORMA.
Antica Narrazione Cinese.


In un favoloso impero, viveva una principessa molto bella, unica figlia dell’imperatore. Venne per lei il tempo di sposarsi, e decise con suo padre, di non limitare le ricerche del suo futuro sposo alle sole persone di corte, ma di estenderle in tutto il regno. Così l’imperatore mandò i suoi messaggeri per cercare l’uomo più bello perché sapeva che l’interiorità di un uomo si manifesta nei tratti del suo volto. Un ladro ed assassino che viveva in una lontana provincia saputo del bando, si fece costruire dal miglior artigiano una maschera, perché la durezza del suo volto rivelava la sua crudeltà. Quando la indossò, vide davanti a sé un uomo gentile e fine, un uomo che aveva qualità di dignità, di forza e onestà, di gentilezza e amore. Fu prescelto senza esitazioni per diventare il futuro sposo della regina. Al ladro si presentò subito una terribile alternativa: sia accettando, che rifiutando il suo segreto sarebbe durato poco, con conseguenze facilmente prevedibili. Trovò un espediente, chiese alla principessa per ponderare la questione, la principessa fu molto comprensiva, l’idea le sembrò saggia ed accettò. Il ladro era considerato l’uomo più bello e più nobile del regno e, per non tradirsi doveva agire conformemente al suo aspetto, a come appariva. Per un anno intero, aveva sofferto e combattuto per vivere secondo i sentimenti che la maschera mostrava. Quando arrivò il giorno dell’incontro con la principessa, decise di dire la verità. Al che la principessa disse: “Sono stata ingannata, sarai libero solo se ti toglierai la maschera per farmi vedere qual è il tuo vero volto.” Il ladro si tolse la maschera con mani tremolanti, allora adirata la principessa disse ancora: “Ora mi stai ingannando, la tua maschera è perfettamente uguale al tuo volto.” Noi diventiamo l’immagine di ciò che il nostro cuore desidera.

giovedì 14 maggio 2009

L'IO, L'INCONSCIO E LE MASCHERE DEL SE'.
di Marco Ferrini.
L'uomo moderno è prima di tutto decontestualizzato, non sa quale posto occupa nell'universo e, se poco sa a livello fisico, ancora meno sa a livello psichico e quasi niente circa la propria natura più intima. Il Sé è quindi l'oggetto della nostra ricerca, come tanti scienziati nei campi della fisica, delle neuro-scienze, della microbiologia, sono alla ricerca di un'equazione, della definizione di un principio che sia capace di uniformare tutte le forze che agiscono nell'universo. Come già Socrate affermava, lo scopo è conoscere sé stessi, il precetto "Conosci te stesso" era scritto a caratteri cubitali, in pietra, sul frontespizio del tempio di Apollo a Delphi. Questa istruzione può apparire come banale ma non è così, in quanto le persone credono di conoscersi, ma di fatto, conoscono le maschere che si sono sovrapposte al Sé, all'atman. Tale confusione, produce uno smarrimento pari alla perdita di visione che caratterizza uno stato ipnotico, di sonnambulismo o lo stato di un soggetto narcotizzato; si ha un'idea di sé, ma distante dalla realtà, estranea alla realtà dei fatti. Finché il soggetto non conosce sé stesso, non può riconoscere le maschere. Acquisendo consapevolezza del più intimo Sé, il soggetto non solo riconosce le maschere, ma le indossa con una certa difficoltà e solo quando risultano indispensabili per operare in questa dimensione umana, come chi veste un abito essendo ben cosciente che è qualcosa che si può togliere e mettere. Dunque la personalità è una maschera che il soggetto indossa per stare in rapporto alla società e la maschera rappresenta una sorta di compromesso tra le istanze dell'individuo e quelle della società circostante.La società è un ballo in maschera e benché porti un grande rispetto per la maschera, per chi indossa e soprattutto per coloro che ne conoscono l'utilità, il mio rammarico va nei confronti di tutti coloro, purtroppo la stragrande maggioranza, che sono mascherati e non lo sanno. Tali persone si sono talmente identificate con la maschera, ad esempio il corpo, il ruolo sociale, il compito, che a causa di questa totalizzante identificazione, perdono di vista sé stessi. A volte una funzione come quella di sindaco, di senatore, di deputato, di cavaliere del lavoro, persino di scienziato, di grande chirurgo, di grande professore in un'università prestigiosa, produce quel tipo di identificazione che non permette più di conoscere sé stessi ed il pericolo ulteriore è che anche a casa, in famiglia si indossi quella maschera, riducendo la propria vita relazionale, familiare e affettiva ad un disastro. Fortunatamente noi possiamo anche essere noi stessi. E' difficilissimo compiere un lavoro di destrutturazione di condizionamenti in questo intricato ginepraio delle maschere che si sovrappongono, inseguendosi e stratificandosi una sull'altra, poiché troviamo sempre una maschera che resiste, che non riusciamo a togliere al soggetto. E' maschera tutto ciò che ha relazione con il tempo e con lo spazio, perché noi siamo fuori dallo spazio e dal tempo. Quando io dovessi dire “sono nato 63 anni fa nel tal posto” ecco, quella è una maschera, è una delle condizioni che mi impone l'ego, perché non è vero niente che io sono nato 63 anni fa nel tal posto; se affermo “ho preso questo corpo 63 anni fa nel tal posto”, siamo un po' più vicini alla realtà, ma non è ancora veramente esatto, perché io questo corpo non l'ho preso 63 anni fa quando sono stato registrato nel registro delle natività dall'anagrafe. Dieci mesi lunari prima, sono stato introdotto in un ambiente di una matrice femminile, un ovulo femminile, dove si sono uniti assieme due pacchetti cromosomici, che si sono cominciati a mischiare e da quella interazione io, che non c'entro niente con questi pacchetti cromosomici, ho colto gli strumenti, gli ingredienti per costituire questo corpo. Quindi se c'è una certezza è che io non sono questo corpo. Poi chi sono, come vi ho già anticipato, è l'esito di un lavoro che c'è da fare. Non abbiamo bisogno di nessuna sostanza per compiere un viaggio esplorativo alle sorgenti della nostra psiche, alle sorgenti della nostra personalità e incontriamo, accostandoci con gioia, con calma e con dolcezza, a quel centro che è un punto che corrisponde perfettamente alla definizione euclidea secondo cui "non ha altezza, larghezza, lunghezza", ed un'altra scoperta formidabile è che "non ha neanche tempo". Noi siamo unità immateriali, a-spaziali, atemporali, immortali: è la mente che si è impigliata nello spazio-tempo e ha causato lo spazio-tempo, dunque, se si va oltre le maschere, si scopre un mondo meraviglioso, un mondo di straordinaria vitalità e varietà, imperniato sull'Amore, il cui termine sanscrito è prema-bhakti, e la devozione è l'espressione più immediata, più genuina di questo bisogno che ciascuno di noi ha, di dare e ricevere amore.

Tratto dall' omonima conferenza - Brescia, 14/06/2008.

venerdì 8 maggio 2009

AMARE CON AMORE di Marco Ferrini (Matsyavatara Das).

Ogni persona è per propria natura desiderosa di amare ed di essere amata. In realtà la vita non ha altro scopo e in nient'altro trova il suo valore se non nell'amore, ma la cognizione certa di tale sentimento è un traguardo elevato e, come tale, richiede impegno, consapevolezza elevata, cura, sacrificio, coerenza, lealtà e verità. L’amore è un sentimento radiante, potenzialmente capace di espandersi all’infinito, in grado di dare completa soddisfazione all'essere rendendolo interiormente forte e autonomo, libero da condizionamenti, consapevole e maturo. Esso rappresenta il sentimento naturale e spontaneo della nostra matrice più profonda, della nostra spiritualità. Nella cultura diffusa dell’Occidente il vero amore è un po’ come l’Araba Fenice: mitologico, raro e spesso apparentemente irraggiungibile. Generalmente le persone sperimentano più di frequente l’eccitazione dei sensi, ma scoprono poi, con delusione e sofferenza, che non si tratta di qualcosa che nutre veramente, anzi, spesso depaupera corpo e mente di energie preziose. L’amore autentico è sperimentato da chi vive nella consapevolezza della sostanza autentica dell’essere e della realtà e dona una gioia duratura, profonda e indipendente da condizioni esterne. La cultura della società in cui viviamo è purtroppo impregnata di concetti falsi, superficiali, pericolosi, che inducono i cittadini-consumatori, che sono sempre in cerca di stimoli, di eccitazioni e di nuove promiscuità in equilibrio precario, a diventare assillati ricercatori non di amore ma di eros, se non addirittura di infima promiscuità. Quindi per riscoprire l'amore in tutte le sue speciali e sublimi sfumature (i rasa descritti nei testi della tradizione Bhaktivedantica) occorre prendere coscienza di noi stessi e della nostra natura più profonda, poiché tutte le problematiche della sfera affettiva sono collegate ad una percezione distorta del senso di sé. Il Vedanta, lo Yoga ed altre opere della letteratura indovedica descrivono l’essere incarnato come composito, poiché costituito biologicamente di un corpo oggetto dell’esperienza empirica, caratterialmente di una struttura psichica e spiritualmente di una essenza eterna e immutabile. Questa, l’atman, rappresenta il fulcro e baricentro della personalità, il centro unificatore di tutte le attività psicofisiche e sostegno stesso della vita. Il paradosso consiste in questo, che proprio di essa, della sua essenza vera l'individuo smarrisce la consapevolezza a causa dell’imporsi di condizionamenti strutturati. Questi ultimi rendono la persona schiava di una percezione e di una comprensione superficiale di sé, che la vincolano alla dipendenza da stimoli sensoriali e da passioni egoiche, da bisogni indotti. Tutti legami che però spesso appaiono insopprimibili, fino ad occupare l'intero campo della coscienza. Se l'amore è la più alta espressione dell'essere, l'eros lo si può paragonare ad un fuoco che divampa e tutto divora, fino a distruggere anche se stesso. In mancanza infatti di un processo di elevazione della coscienza, i desideri e le bramosie, frutto dell'identificazione con il corpo psicofisico, non diminuiscono con l’indebolimento del corpo, bensì sempre più incatenano al continuo sorgere e dissolversi di attrazioni e repulsioni (raga e dvesha) fondate su di un'affettività patologica che produce relazioni frustranti, con profonde delusioni e sofferenze. I grandi Maestri della tradizione Bhaktivedantica hanno insegnato come superare gli opposti e riscoprire il sentimento vero dell'amore attraverso la destrutturazione dei condizionamenti e la trasformazione e sublimazione delle proprie energie. Il processo chiamato sadhana-bhakti, che viene compiutamente descritto nella letteratura Bhaktivedantica, permette di avviare tale fondamentale opera di trasformazione, sublimazione e trascendenza delle pulsioni egoiche, consentendo di accrescere e valorizzare le qualità migliori di ogni individuo e renderlo capace di compiere quell’affascinante viaggio interiore che fa giungere dall’io al sé, dall’eros all’amore, dalla morte alla vita. Il segreto del successo per avvicinarsi sempre più a tale stato interiore dell'essere, fondato sulla più alta consapevolezza spirituale, non risiede dunque nella repressione di istinti e passioni. Infatti, questi, se repressi tendono a strutturarsi in maniera ancor più potente a livello inconscio. La soluzione non può essere nemmeno quella del loro libero sfogo che aprirebbe completamente le porte al dominio della coscienza da parte dell'ego o io inferiore. Quindi la realizzazione del sé e l'elevazione fino al sentimento dell’amore richiedono trasformazioni armoniche della personalità, scelte ponderate, svolte coscienti e sono l'esito di una serie di sforzi ben coordinati e costanti, volti a consentire il passaggio del potenziale umano dalle istanze dell’ego a quelle del sé, attraverso lo sviluppo delle più elevate qualità dell'anima. Come ha affermato anche Arthur Schopenhauer, “l'amore autentico è sempre compassione; e ogni amore che non sia compassione è egoismo”. La conoscenza di immediato valore pratico che ci tramandano i testi millenari della tradizione Bhaktivedantica, con i loro tanti e significativi esempi di vite trasformate e di coscienze illuminate, oltre alla nostra personale esperienza nell'applicazione di tali metodologie, ci dimostrano che tale trasformazione dei sentimenti è possibile attraverso un processo di rieducazione della personalità. Cambiamento in cui pulsioni ed emozioni possono essere ri-orientate e rese propedeutiche a quell'evoluzione interiore che dall’inconsistente eccitazione dell’eros porta alla solida beatitudine della Bhakti, quindi del vero amore trionfante.

Per approfondimenti si consiglia la lettura del libro Dall'Eros all'Amore, di Marco Ferrini - Ed. CSB.

martedì 5 maggio 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE QUARTA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.

4. L'IDEALE DELL'AMORE COME FORZA TRASFORMATRICE.
L’umanità ha conosciuto diverse figure esemplari, le più grandi, quelle che hanno lasciato un segno nella storia del mondo, sono quelle che erano animate dall’amore più elevato e questo le ha dotate di una forza trasformatrice straordinaria. Se invece l’amore che fa da propulsore è ad un livello meno puro, è misto con altri sentimenti, la capacità trasformatrice diminuisce sensibilmente e agisce solo su coloro che sono più predisposti alla correzione. Nella filosofia indiana esiste una dottrina della trasformazione chiamata parinama-vada, che può agire anche in senso involutivo. Il dharma è una forza immane, ineluttabile, ineffabile, onnipervadente che sospinge verso l’evoluzione, ma non è l’unica forza in campo, c’è anche la volontà umana. Solo quando la volontà umana si allea alle forze evolutive del dharma, la personalità si armonizza e segue la sua strada di ascesa interiore senza più incorrere in inciampi e frustrazioni. Da Buddha a Cristo a Krishna, tutti i grandi hanno convenuto nel dire che la vita incarnata è dolore, ma esso si placa se il soggetto sviluppa un buon rapporto con la propria guida interiore e se si collega al dharma. In questo modo le difficoltà diminuiscono visibilmente, finché la crisi per eccellenza, che è la morte, cessa di essere motivo di spavento e diventa la consapevole occasione di transizione verso un’esistenza superiore. La vita, infatti, non abbisogna del corpo fisico per manifestarsi, per godere o soffrire delle proprie esperienze, è piuttosto vero il contrario. Nel sogno ad esempio si vivono numerose situazioni a seconda di quelle che sono le componenti oniriche, indipendentemente dal corpo fisico. Una relazione ideale dovrebbe fluire tra anima e anima, nella consapevolezza della propria natura spirituale, e progredire dall’attrazione (ratim) allo sviluppo di intensità e gusto (ruci) nel relazionarsi, per poi passare a priti, ovvero allo sviluppo dell’affetto ed infine all’amore che si manifesta nel desiderio di servire e di far piacere all’altro ma che, nel suo stadio più evoluto, trascende un rapporto a due di tipo egoico e avvicina al bene universale, all’amore totale, ad una relazione che mette in contatto con l’universo, le creature, il creato e il Creatore. Nel processo evolutivo s’incontrano frequentemente sia gli ostacoli posti dagli altri, sia quelli creati dai brandelli della nostra vecchia personalità, dalle nostre precedenti abitudini ed antichi attaccamenti. Ma in quanto espansioni di Dio non corriamo mai definitivamente il rischio di perderci o rimanere soli, possiamo in ogni momento e in ogni circostanza risvegliare le nostre capacità creative superiori connesse alla natura spirituale che ci permettono di agire in maniera oculata e seminare bene per il nostro futuro attraverso la gestione sana di desideri, pensieri e parole. Queste capacità e facoltà latenti che noi tutti possediamo, si rinforzano o si indeboliscono a seconda dell’impostazione etico-morale che diamo alla nostra vita e in base al modello che scegliamo per scolpire la nostra personalità ed esistenza. Non sono sufficienti formule già fatte applicate astrattamente all’insieme delle persone; le autentiche evoluzioni non possono essere altro che individuali, non sono dunque semplicemente il frutto di un’adesione acritica ad una fede o denominazione religiosa, bensì l’esito di sforzi personali ben coordinati, costanti e determinati di chi anela alla luce, alla gioia, alla libertà e all’amore.

venerdì 1 maggio 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE TERZA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.

3. LA SUBLIMAZIONE DELL'INTIMITA'.
Una delle tensioni principali che possono nascere all’interno della coppia si verifica quando uno dei due soggetti, ricercando la pace e la gioia dello spirito, perde appetito ed interesse per i rapporti sessuali. La cultura moderna tende ad ingenerare la convinzione che il bisogno di sesso equivalga a quello dell’aria, dell’acqua o del cibo, ma le grandi tradizioni spirituali ci testimoniano una realtà ben diversa. Reprimere gli impulsi sessuali genera nevrosi, ma in chi? Solo in coloro che non hanno ancora la visione e l’accesso ai piaceri superiori. Fino a che una persona non è capace di sostituire qualcosa di meno elevato con qualcosa di più nobile, non può bruscamente tagliare i ponti a un’energia che è abituata a fluire senza ostacoli. Dal momento in cui la mente umana viene illuminata da una visione più ampia ed elevata, tutti gli atteggiamenti condizionanti che in precedenza avevano prodotto attaccamenti e dipendenze, vengono gradualmente superati e trasformati dalla pratica delle virtù, della conoscenza spirituale (jnana) e del distacco emotivo (vairagya) verso tutto ciò che non è utile al processo evolutivo. In questo modo il soggetto acquisisce una visione etica dell’uomo e del mondo dalla quale diviene impossibile prescindere nel pensiero quanto negli atteggiamenti. Non esiste un’inconciliabilità a priori tra rapporti intimi tra coniugi e vita spirituale. L’attività sessuale ha un suo compito e una sua funzione fino ad un certo livello evolutivo, raggiunto il quale il percorso spirituale trascende quelle necessità che solo allora scopriamo essere state mere proiezioni della mente. Bloccare la propria spinta passionale non è salutare, è piuttosto innaturale. Il processo di perdita d’interesse nei confronti delle componenti fisiche deve avvenire da sé, in modo armonico e permettendo l’accesso a piaceri superiori che porteranno a grandi trasformazioni. La regolazione sociale dei rapporti intimi è tutelata dall’istituzione della famiglia e dunque del matrimonio. Tale regolamentazione mira principalmente a limitare e contenere in un ambito più ristretto l’attività sessuale, proprio perché questi bisogni fino ad un certo stadio evolutivo sono ritenuti vitali, importanti da soddisfare, e dunque le persone sono invitate a sviluppare tali rapporti in una struttura socialmente e religiosamente protetta. Ma quella protezione, quella istituzione fatta essenzialmente per regolare gli impulsi, ha la funzione di permettere la crescita individuale fino a trascendere le ragioni stesse per cui la famiglia era stata formata. In altri termini, l’istituzione del matrimonio dovrebbe essere considerata come un contenitore che permetta una zona di evoluzione protetta, fino al momento in cui il livello raggiunto sarà così elevato che essa potrà essere trascesa. Secondo la tradizione alla quale ci riferiamo, l’uomo non è fatto per rimanere nei limiti dell’esistenza fisica, per appiattirsi sulla sola dimensione del corpo, ma piuttosto per riconoscere, scoprire e realizzare la propria natura spirituale, la quale per esprimere la propria gioia, creatività e amore ha tutti i poteri (siddhi) ad essa connessi. Dipende dalla persona se preferisce degradarsi o elevarsi; si deve lasciare all’individuo la libertà di gestire la propria sfera sentimentale, il proprio investimento affettivo, se in eros o in amore. Dobbiamo dare a tutti l’opportunità di muoversi secondo il proprio livello evolutivo, sperando ed incoraggiando ognuno a guardare verso la trascendenza. Occorre una grande lungimiranza e capacità adattiva da parte dell’intelligenza per non turbare gli altri e non essere a nostra volta da loro turbati. Affinché il nostro comportamento non crei anche seppur sottili imposizioni sui nostri interlocutori, è necessario essere molto cauti nel comunicare le nostre scoperte evolutive e il risveglio della nostra coscienza, per non indisporre, non turbare e non incorrere in atteggiamenti che tramuterebbero un gesto d’amore in una forzatura. Essere in grado di percepire dimensioni superiori permette di essere saldi in questa nostra visione; ciò non significa demonizzare o svilire la realtà fisica e nemmeno coloro che vi si dedicano interamente negando ogni ipotesi di realtà ulteriore.

mercoledì 29 aprile 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE SECONDA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.

2. L'AMORE COME STRUMENTO DI EVOLUZIONE E DI SUPERAMENTO DEI CONFLITTI.
Le persone si incontrano, come dei ruscelli, e per alcuni tratti, anche lunghi, fanno la strada insieme condividendo la stessa corrente del karma. Quello che è importante sapere è che l’uomo ha la facoltà di ergersi al di sopra di esso, delle proprie tendenze, del proprio destino e modificarli nella comprensione, nelle intenzioni e nell’impostazione di vita. Ho testimoniato molte situazioni conflittuali e ho raggiunto la profonda convinzione della necessità di una mediazione, di affetto reciproco, di reciproca attenzione. Occorrono sicuramente molta pazienza, tolleranza e la determinata volontà di aiutare l’altro a superare i propri limiti. Affetto vero significa andare incontro ai bisogni degli altri, prendere in seria considerazione ogni loro effettiva necessità e favorire quanto più possibile il loro sviluppo psicologico, intellettuale e spirituale. Se amiamo una persona sarà per noi spontaneo cercare di stimolarla a crescere, ad ascendere ad una visione superiore e a prendere in mano le redini della propria esistenza, perché amare veramente significa proprio sostenere l’altro nel processo di recupero della sua vera identità che è costituita di piena consapevolezza spirituale, di eternità e beatitudine. Ma non è assolutamente detto che l’altro provi il desiderio di modificare certe sue posizioni, magari piuttosto cercherà di minare le nostre, perché molta gente ritiene che la spiritualità e la fede siano malattie da curare. Le persone si aiutano tanto meglio quanto più abbiamo nei loro confronti distacco emotivo, perché tutto ciò col quale ci identifichiamo alla fine ci controlla e ci inibisce. Sono importanti l’affetto, la benevolenza e il desiderio intenso di aiutare e sostenere, ma nel momento in cui ci infatuiamo di una persona, in cui la vogliamo fare nostra e sviluppiamo sempre più forti l’attaccamento e il senso di possesso, nella stessa misura diminuiscono le nostre capacità di intervento, di trasformazione e di gestione della relazione. E’ l’amore che trasforma in modo palese e duraturo, ma solo quando è libero dagli inquinamenti della libido, del possesso e del godimento. Quando correggiamo o redarguiamo severamente qualcuno, toccandolo proprio nelle sue caratteristiche più problematiche, dobbiamo aver prima avuto l’intelligenza e la sensibilità di fermarci un attimo a riflettere sulle nostre motivazioni e sui nostri sentimenti. Fare delle critiche in una fase di conflittualità, in stato di collera, di attaccamento o di egoismo, oppure per ripicca o per mantenere una posizione di supremazia verbale o emotiva, trasforma quasi sempre la persona in un opponente o addirittura in un nemico. Se invece è stato intimamente appurato che la motivazione è benevolente, affettuosa e priva d’ego, l’atteggiamento e il risultato saranno ben diversi. Occorre stare molto attenti al concetto diffuso di “lo faccio per il tuo bene”, perché il desiderio di cambiare qualcuno è raramente a beneficio dell’altro, nella maggior parte dei casi il problema è che la persona, così com’è, non risponde alle nostre aspettative o non ci piace. Amare è voler aiutare gli altri ad evolvere verso una consapevolezza spirituale della vita ma senza imporsi, perché l’amore dona una totale libertà ed è privo di qualsiasi tentativo di manipolazione.

venerdì 24 aprile 2009

LA SCELTA DELLE RELAZIONI AFFETTIVE (PARTE PRIMA).
Tratto da 'Dall'Eros all'Amore' di Marco Ferrini.


1. LA SCELTA DEL PARTNER.
La coscienza è la causa di tutto ciò che ci succede, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore. Essa influenza e determina anche le nostre relazioni ed i nostri incontri. Questi infatti sono imprescindibilmente orientati dalle vibrazioni che emaniamo, dai nostri contenuti psichici e dai desideri inconsci. Interroghiamoci dunque sulle conoscenze che facciamo lungo il percorso della vita e chiediamoci perché incontriamo certe persone sul nostro cammino piuttosto che altre. Dobbiamo premettere che gli incontri non sono mai casuali, il fenomeno delle sincronie è stato studiato da tutte le grandi personalità fra le quali anche K. G. Jung. Krishna nella Bhagavad-gita (XIII.22) spiega in modo preciso come ciascun essere si muova secondo i guna, le sottili caratteristiche energetiche sue proprie, incontrando individui che ugualmente subiscono spinte inconsce. Quando si incontrano sono ignari di essere gestiti da istanze che non vedono e si convincono d’aver fatto scelte libere, creative ed originali. Durante i primi incontri, la prima settimana, il primo mese, il primo anno, non emergono tutte le tendenze latenti. Le tre energie della natura materiale: tamas, sattva e rajas, sono distribuite in maniera diversa nei vari individui, per cui le loro tendenze saranno le più svariate da una persona all’altra. Se si sviluppa una conoscenza abbastanza approfondita di queste componenti, si capiscono i tipi psicologici comprendendo con chi possiamo avere una maggiore partnership, ma soprattutto una più costruttiva ed evolutiva relazione. Se entriamo in situazioni conflittuali a causa di scelte affettive superficiali, perché siamo stati attratti da caratteristiche prive di valore profondo, ci troveremo ad affrontare grossi ostacoli sul cammino della crescita spirituale e ci accorgeremo presto d’aver firmato cambiali in scadenza per acquistare la nostra dose di sofferenza. Tenendo conto delle diverse esigenze e maturità, le relazioni intime debbono essere orientate verso lo sviluppo di una consapevolezza sempre più elevata e verso quelle modalità che facilitano il nostro percorso di crescita interiore. Le persone che vivono con maturità la loro vita sono estremamente caute ed oculate nella scelta delle relazioni affettive. Per instaurare rapporti armoniosi occorre conoscere l’armonia. Dell’individuo che incontriamo dobbiamo essere in grado di notare la composizione dei guna ed il tipo psicologico ad essi sotteso: una persona può essere fortemente rajasica, l’altra può esserlo solo in parte ed avere una forte componente sattvica, oppure tamasica. È bene essere dotati di un know how che consenta di scorgere, nell’interlocutore, le caratteristiche davvero preminenti a discapito di quelle superficiali e trascurabili. Nella cultura moderna, consumistica e materialistica, l’attenzione nella ricerca del partner è orientata alla marca delle scarpe, della felpa, del cellulare o al costo del fuoristrada. Ma quando il vostro partner, la sera, scende dall’auto per entrare in casa, toglie le scarpe, sfila la felpa e spegne il cellulare: cosa vi rimane di lui? Se due persone cominciano ad avere rapporti intimi, le loro capacità di valutazione si abbassano vicino allo zero e la loro unione, che viene descritta come romantica, si rivela piuttosto un’attivazione di manierismi, dipendenze e condizionamenti. L’attrazione, su questo piano, è paragonabile all’azione di un magnete nei confronti del materiale ferroso. Non si tratta di qualcosa di magico, ma di dinamiche dettate da una legge naturale. Le leggi naturali hanno un’immensa utilità sul piano fisiologico, per la conservazione della vita e la sopravvivenza della specie, ma debbono essere integrate ad una conoscenza e visione superiore per sfociare nella costruzione di rapporti saldi, profondi, realmente e durevolmente appaganti, mirati alla realizzazione piena delle istanze più profonde dell’essere. Ogni individuo si trova al suo proprio livello evolutivo. Lo scopo primario di ogni essere è quello di elevarsi, attraverso l’esercizio della virtù e della conoscenza, fino ad unirsi al Divino. Questo è l’obiettivo dello Yoga autentico e di tutte le religioni: ascendere fino alla comunione con il trascendente e con Dio. Se siamo in grado di percepire la realtà spirituale nel nostro orizzonte, potremmo scegliere di sviluppare rapporti con persone che ci aiutino a realizzare meglio questa dimensione, a raggiungerla il più rapidamente possibile, e nel frattempo saremo in grado di risolvere le eventuali relazioni problematiche attivate nel passato, in un momento in cui forse eravamo ciechi ai valori esistenziali più alti. Le persone si pongono nei confronti della vita a seconda delle proprie componenti psicologiche influenzate dalle caratteristiche dei guna e dal karma, per cui ognuno segue la corrente creata dal risultato delle proprie tendenze ed azioni. Essendo che l’universo appartiene ad un disegno dinamico in continuo mutamento, i guna ed il karma sono fattori modificabili con un impegno individuale quotidiano, attraverso le proprie azioni, l’alimentazione, la preghiera, la dedizione a scopi ideali, la volontà e, ancora più importante, la compagnia di persone situate in un percorso spirituale evoluto che possano esserci di guida e ispirazione. Nel momento in cui due individui si incontrano è importante valutarne le tendenze più spiccate, per comprendere se la loro unione potrà essere di beneficio ad entrambi o se, piuttosto, saranno nocivi l’uno per l’altro. Ogni individuo è un pianeta a sé, con le sue forze, il suo percorso esistenziale e le sue lacune, quindi in ogni relazione le componenti in gioco sono moltissime e debbono essere conosciute da chi vuole fare un viaggio consapevole. Per accedere alla conoscenza delle dinamiche relazionali il primo grande passo consiste nell’approfondito studio di se stessi, nel desiderio di conoscere le proprie inclinazioni e necessità. Contestualmente sarà opportuno attivare un processo per il risveglio, per la centratura in sé, per l’incontro con la propria natura spirituale ed il mantenimento dei nuovi equilibri acquisiti. Le nostre attuali tendenze patologiche sono la conseguenza di scelte antiche, ma sono anche la causa degli ostacoli che troveremo sulla via del raggiungimento degli ottenimenti futuri; risulta pertanto necessario lavorare profondamente sul nostro carattere per sconfiggere sia le tentazioni che ci assediano dall’esterno, sia le passioni che ci spingono dall’interno. Non è difficile cadere vittime degli stereotipi, degli schemi di pensiero patologici, fissi, bloccati in una recita senza fine e sempre uguale e se stessa, il difficile è uscirne. La distorsione del pensiero si esplica nelle parole, la cui conseguenza è l’agire. La ripetizione sistematica di azioni dà luogo alle abitudini che strutturano il carattere, generano pulsioni e desideri dello stesso segno producendo un ciclo senza fine (samsara). Quel che è stato fatto nel passato tende ad imporsi e a ripetersi in maniera schematica, come un copione imparato a memoria, conseguenza di quella legge psicologica che è la coazione a ripetere, nel bene e nel male. In questo modo le azioni più perverse, degradanti e morbose, così come le più nobili e virtuose, diventano di attuazione spontanea in forza del suddetto meccanismo che trasforma gli atti in abitudini. Dall’accurata analisi delle esperienze precorse, delle compagnie scelte nel passato, possiamo giungere ad avere indicazioni importanti sul nostro attuale modo di pensare e sui nostri desideri, al fine di modificarli ed orientarli opportunamente verso il raggiungimento del completo successo nella vita: la realizzazione spirituale.

venerdì 10 aprile 2009

COMUNICATO CSB PER IL TERREMOTO IN ABRUZZO.

Care amiche e amici,
in questa giornata di lutto nazionale ci uniamo al profondo dolore della popolazione dell’Abruzzo colpita dal terremoto.

Oltre ad un modesto contributo in denaro che abbiamo piacere di devolvere al finanziamento dei soccorsi, offriamo le nostre congiunte preghiere per tutte le vittime e per sostenere spiritualmente coloro che al momento vivono situazioni di grande difficoltà.

Con fede, rinnoviamo il nostro impegno nella diffusione di una cultura spirituale che possa aiutarci a superare anche le crisi più gravi.

Centro Studi Bhaktivedanta

giovedì 9 aprile 2009

LA SCIENZA DELLA MEDITAZIONE.



PARTE PRIMA: Intervento di Marco Ferrini. Napoli, Castello Angioino, 20 Dicembre 2008, Convegno “La Scienza della Meditazione”.

L'UOMO ALLA RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA'.

Vorrei porre innanzitutto attenzione su alcuni aspetti cosmogonici, per la comprensione del contesto in cui si colloca l'uomo. L'uomo moderno non sa più da dove viene, non sa più dove sta andando, ma soprattutto non sa più chi è, completamente identificato con un'identità esteriore e temporanea. Questa sua decontestualizzazione è uno dei problemi più seri che affligge la società attuale e non è risolvibile semplicemente attraverso l'erudizione. La ricerca di se stessi rappresenta il substrato della meditazione e questo è confermato dalle grandi opere della Tradizione Indovedica come le Samhita, le Upanishad, le Itihasa ed i Purana, che possono avere un dialogo molto interessante con la Tradizione Occidentale moderna. Tra i numerosi autori, maestri di pensiero che hanno attinto dalla vastissima Cultura vedica strumenti, spunti e concetti per le loro dottrine e teorie, possiamo citare Carl Gustav Jung e la sua “individuazione di sé”. Individuare se stessi significa conoscere la nostra natura profonda, non limitarsi ad un livello superficiale e fallace quale quello della percezione sensoriale. I segnali e le informazioni che dall'ambiente esterno giungono alla nostra coscienza, attraverso gli organi di senso e la successiva elaborazione a livello corticale, rappresentano solo una minima parte della realtà, persino inferiore al 10% indicato dal prof. Genovesi durante l'intervento precedente. La conoscenza della realtà rispetto alla percezione sensoriale è uno zero ed è lo stesso anche per quanto riguarda la nostra capacità di comprensione poiché è soggetta, e dunque condizionata, dalla nostra percezione sensoriale. Dunque non solo i sensi (indriya) sono fallaci, ma anche il bacino di raccolta delle informazioni percettive corrispondente alla mente (manas) è così, proprio perché si fonda sulla percezione sensoriale. La tendenza (vasana) della mente a dipendere dai dati sensoriali, porta alla costituzione di una precostituita, rigida e generalmente strutturata percezione del mondo, che se non viene integrata non è utile alla definizione dell'identità individuale. La questione sulla natura dell'identità personale è cruciale per la meditazione. La psicologia indovedica identifica l'uomo nel suo complesso: così come l'universo è detto anche trimundio in quanto costituito da terra, dimensioni intermedie e cielo, allo stesso modo anche l'uomo incarnato ha una triplice natura: fisica, psichica e spirituale. La costituzione terrena, solida, fisica, è il corpo materiale, comprensivo di quella complessa struttura - la più complessa struttura materiale ad oggi conosciuta - che è il Sistema Nervoso; ma possiede anche un apparato che, sebbene sempre materiale, ha una natura più sottile, che non è possibile definire graficamente o collocare spazialmente e a dire il vero neanche misurare temporalmente: la struttura psichica. Infine vi è la natura più intima dell'uomo, motore della vita stessa, la sua essenza e identità reale, quella spirituale. Secondo la sapienza vedica, infatti, ogni essere vivente è ontologicamente atman, una scintilla spirituale eterna. Per semplificare ulteriormente si potrebbe dire che l'identità dell'uomo è scissa fra due aspetti: l'uno connesso alle diverse condizioni psicofisiche che il soggetto ha vissuto storicamente lungo i diversi cicli esistenziali, l'io storico o falso ego, somma dei contenuti psichici con i quali il soggetto si identifica, in sanscrito definito ahamkara; l'altro reale, eterno ed immutabile, oltre ogni spazio e tempo, ovvero la sua natura spirituale. La facoltà base per accedere alla dimensione meditativa è rappresentata dall'attenzione che, contrariamente a quanto affermato dall'estremo positivismo abbracciato dalla moderna psicologia occidentale, non è governata dal Sistema Nervoso, ma è promossa in prima istanza dall'atman, centro unificatore che tiene insieme e che in ultima analisi fornisce una caratterizzazione unica e irripetibile alla personalità. Il sé spirituale utilizza solo come strumento la parte fisiologica e biologica del soggetto cosiddetto “umano”, alimentando e muovendo le sue energie. Tutte le Scuole della tradizione indiana classica (Sampradaya), tutte le linee dei grandi Maestri (acarya) che hanno vissuto nel proprio quotidiano gli insegnamenti vedici, riconoscono l'atman come principio fondamentale. Krishna, nella Bhagavad-gita, uno dei testi più diffusi e condivisi dalle differenti Scuole di pensiero del continente indiano, definisce conoscenza ciò che distingue il campo (corpo) dal conoscitore del campo (il sé). Prendere le distanze dal corpo non significa rifiutarlo o dispregiarlo; in tal modo non se ne prenderebbe vero distacco in quanto, come anche Eraclito aveva spiegato, ciò che attrae poi ripugna e viceversa e per superare la coppia di opposti di attrazione e repulsione, in sanscrito definiti rispettivamente raga e dvesha, è necessario equilibrare gli opposti, trovare una congiunzione, un'armonizzazione tra di essi. In quest'opera di armonizzazione e ricerca di equilibrio, in questo caso lo Yoga, viene data rilevante importanza alla meditazione.

DAL PENSIERO AUTOMATICO AL PENSIERO MEDITATIVO.
Il pensiero ha una potenza straordinaria; ovviamente qui non ci si riferisce al pensiero disordinato, casuale e automatico che purtroppo imperversa nella società contemporanea, bensì a quel principio pensante che consente di superare gli ostacoli che generalmente precludono una comprensione più profonda della realtà, sia interiore, sia esteriore. Effettivamente, oltre ad aver smarrito la propria identità, l'uomo moderno si trova a conoscere solo superficialmente il mondo che lo circonda e vive come realtà ultima ciò che in verità è principalmente apparenza. Attraverso uno sforzo piacevole e un impegno progettuale, con metodo e giusta predisposizione, è possibile penetrare il fitto velo delle apparenze, giungendo ad una visione superiore, ed è proprio questo il fine della meditazione. La meditazione è uno strumento, un mezzo, grazie al quale è possibile fare un viaggio esplorativo all’interno di se stessi, varcando soglie, dimensioni sconosciute, ciò che in una terminologia psicanalitica potrebbe definirsi inconscio. Sebbene questa esperienza sia già di per sé straordinaria, il processo meditativo non si limita a ciò. In sanscrito meditazione si traduce con dhyana, dalla radice dhi, dalla quale deriva anche il termine dhira che significa 'saggio'. La peculiarità di questa radice è quindi quella di indicare non un pensiero semplice, automatico, che si riproduce come una sorta di circuito psichico dipendente o condizionato dall'esperienza sensoriale e nemmeno un pensiero intellettuale, comunque troppo riduttivo, bensì di indicare un pensiero che suscita una visione superiore, da cui si genera illuminazione e in ultima analisi saggezza. Dunque il processo di meditazione non è un semplice processo di pensiero, una mera riflessione, ma piuttosto una trasformazione, una modificazione del principio pensante. La concatenazione di pensieri e le conclusioni che ne derivano, limitano la nostra visione al mondo delle conoscenze empiriche, della percezione sensoriale e anche a quel mondo più sottile, ma pur sempre materiale, della cognizione intellettuale. La meditazione può portare ad esperienze interiori cui l’intelletto non giunge, la percezione delle quali esula persino dalla sua funzione. Il mondo interiore è dominio di altre dinamiche, quali contemplazione, orazione e preghiera. Questi tre termini condividono un principio importante: quello cioè di orientare l'attenzione verso un punto specifico, di dirigere il flusso mentale verso l'oggetto di contemplazione, lode o preghiera. Dunque anche se i processi sottesi da questi tre canali possono differire per alcuni aspetti, quando l'operazione di condensazione del pensiero verso il punto prescelto riesce, si entra in stato meditativo. Patanjali ha descritto una tecnica ordinata per giungere a dhyana, per trasformare il pensiero automatico, prodotto dalla mente, manisha, in pensiero meditativo: proprio come si può trasformare del legname ordinario in sofisticato materiale per costruire una barca. Tale trasformazione non può avvenire se non attraverso un investimento personale, con impegno, operosità e creatività e, una volta ottenuta, sarà possibile travalicare il pensiero ordinario giungendo ad una dimensione più profonda, ad esso non accessibile, proprio come per mezzo di una barca sarebbe possibile solcare le acque approdando ad una diversa sponda. Il raggiungimento di questa dimora in cui l'uomo può trovare se stesso ed il proprio principio Divino, portandosi oltre la comune esperienza sensoriale e concettuale, si definisce trascendenza, così come espressa dai mistici e da eminenti pensatori quali Kant e Jung. Questo viaggio, che in chiave mitologica vede l'entronauta, colui che viaggia nell’interiorità, dirigersi verso dimensioni sempre più profonde ed intime di sé, ha una componente importante, che è la motivazione del viaggiatore. Non tutte le esperienze meditative conducono allo stesso livello di assorbimento o di illuminazione: in base a differenti aspirazioni, gusti e tendenze che contraddistinguono il protagonista, il viaggio può avere differenti esiti e quindi i mistici possono riportare esperienze diverse nonostante tutti loro, a vario livello, abbiano fatto questa esperienza. Solo proseguendo verso questa dimensione più profonda, gusti e tendenze derivanti da condizionamenti culturali o religiosi, perdono progressivamente la loro consistenza annullandosi, ma in base al livello di elevazione raggiunto dalla persona, possono ancora sussistere generando esperienze di diversa natura. Com'è possibile quindi trascendere il pensiero? Attraverso il pensiero stesso, ma non il pensiero con il quale si è iniziato il processo, poiché nel frattempo si è modificato, sia formalmente, sia nella sua natura, quasi come fosse avvenuta, grazie alla meditazione, una transustanzazione del principio pensante. Tale processo non è immediato, ma avviene per gradi, che si possono trovare descritti nei Veda, con un linguaggio straordinariamente affascinante, che parla per immagini, per metafore, come quella del carro che durante il viaggio diviene luminoso proporzionalmente all'avvicinarsi della realtà.

YOGA: LA SCIENZA DELLA UNIONE.
Il termine Yoga deriva dalla radice sanscrita yuj che letteralmente significa ‘unire, collegare’; lo Yoga infatti costituisce la scienza per la reintegrazione del sé individuale con il Sé supremo, della coscienza infinitesimale con la Coscienza cosmica. Nella Bhagavad-gita vengono descritti diversi tipi di Yoga e Patanjali nel suo celeberrimo trattato sugli Yogasutra, che costituisce una delle prime e più importanti Scuole di psicologia del genere umano, definisce otto fasi di sviluppo della disciplina Yogica (Ashtanga Yoga) di cui la meditazione, dhyana, costituisce solo la penultima fase. Prima di entrare in uno stato meditativo, l'aspirante yogi deve infatti purificare la propria mente ed il proprio cuore astenendosi da attività contrarie all'evoluzione spirituale, yama, e impegnandosi in attività ad essa favorevoli, niyama. Si deve poi diventare esperti nell'assumere posture, asana, che permettano di percepire il corpo il meno possibile e successivamente apprendere l'arte del respiro, pranayama. Rivolgendosi verso l'interno e distogliendo i sensi dai loro oggetti, pratyahara, cercando di concentrare le proprie risorse attentive verso un'unica direzione, dharana, lo yogi si predispone alla meditazione vera e propria, dhyana appunto, in cui il proprio flusso di attenzione non è più distratto da interferenze esteriori e grazie alla quale egli giungerà ad uno stadio di completo assorbimento interiore definito samadhi. Gli stadi precedenti il samadhi sono necessari per risolvere i conflitti tra le diverse strutture e funzioni psichiche, attraverso una armonizzazione della personalità, prima di aspirare ad un totale assorbimento nel seme meditativo, bija, e che dire nel sé. L'approccio alla meditazione dev'essere graduale, poiché prima si devono sviluppare certe conoscenze derivanti dalla presa di consapevolezza di piccole verità, senza avere la presunzione di avere di volta in volta conquistato la Realtà, la Verità e dunque essersi illuminati definitivamente. Quella che avviene durante la meditazione è una realizzazione continuativa e progressiva della Realtà, che lentamente si svela fino a diventare palese, manifesta, chiara e naturale, talmente naturale da non poter concepire qualcosa di differente da essa. Ad esempio, per quanto riguarda la consapevolezza di essere diversi dal corpo, essa può avvenire in modo immediato, come nel caso di una diagnosi di malattia terminale, di una patologia irreversibile e degenerativa, che spinge il paziente a non concentrarsi sulla struttura fisica oggetto di quella devastazione, ma su se stesso. In quest'ottica, come riportato in numerosi lavori ECM tenutisi in numerosi ospedali e AUSL italiani, la morte non dev'essere vista come un evento fisico, qualcosa di concreto, ma più come un concetto astratto, in quanto non c'è veramente una fine di qualcosa, bensì c'è la trasformazione in qualcos'altro. Oppure, la disidentificazione avviene come progressivo traguardo di un processo introspettivo che permette la comprensione del corpo come qualcosa che è esterno a noi, con il quale quindi non essere identificati ma come strumento prezioso, utile e caro per successive conoscenze ed esperienze.

L'ESSERE SPIRITUALE ED I SUOI CORPI.
Il corpo umano e la personalità umana non esauriscono la persona nel suo insieme, ma ne costituiscono semplici aspetti. La parte eminentemente divina di noi considera tali aspetti, quindi in generale la dimensione umana, come una riduzione, una costrizione, una sorta di prigione; nella metafora platonica la gabbia dell'anima, che tuttavia non va vista come qualcosa di ossessivo e oppressivo, in quanto struttura evoluta della materia il cui grado di evoluzione è pari al grado di elevazione della coscienza che ospita. Dunque ognuno abita un determinato corpo e, con esso, è portatore di una certa patologia o veicolo di salute. La scienza della salute o Ayurveda (il termine sanscrito ayur significa vita, vigore, salute) affronta in maniera molto dettagliata lo studio della natura dell'essere umano e del suo rapporto con tutta una gamma di energie; essa estende il panorama di interazione corpo, psiche e coscienza intraindividuale ad un piano interindividuale, dunque il comportamento, l'agire del singolo, viene visto come esito non solo del proprio apparato individuale, ma anche dell'interazione di questo con corpo, psiche e coscienza altrui. Quest'ultimo dato è molto importante perché ad esso possiamo ricondurre molti dei conflitti che attualmente affliggono l'uomo, sia a livello singolo, sia a livello collettivo, in quanto spesso, la conflittualità che non si riesce a risolvere interiormente la si proietta fuori, sulle persone che ci circondano, vicine o lontane che siano. La connessione tra i diversi elementi del creato, non è riducibile esclusivamente alle relazioni, ma permea l'Universo intero: basti pensare al Teorema di Bell, il quale enuncia che due particelle in contatto, partecipi della medesima esperienza, permangono in risonanza ed in sincronia anche quando vengono separate ed attuando una modifica su una di esse, tale variazione si estende anche all'altra istantaneamente, in tempo zero. Nell'Universo non vi è quindi niente che sia separato da qualcos'altro: ogni cosa è in rete, e, come nel micro possiamo identificare reti, circuiti neurali, nel macro è possibile individuare reti molto più ampie al di là dell'individuo come singolo. Nei Veda, nella Gita, nelle Upanishad, negli Yogasutra e in altri testi della Tradizione indovedica, è possibile trovare descritti con incredibile specificità di linguaggio questi concetti ed in generale vi si ritrova la visione dell'uomo come creatura composta da più “corpi”, strati, che vanno dal più grossolano al più sottile e non si limitano ai soli corpi materiale e psichico.
Nello schema soprariportato è possibile notare che il corpo materiale è solo la copertura più esteriore dell'uomo; questo strato, grossolano e visibile a tutti, si definisce annamaya kosha. Annamaya significa energia del cibo, perché il corpo fisico è sostenuto dal cibo. Ad un livello più sottile è possibile identificare il campo energetico, prana, che ogni essere umano possiede, individualizzato e specifico per ciascun essere vivente: tale livello è definito pranamaya kosha. Il corpo fisico non ha energia propria, non starebbe neanche in piedi senza questa energia vitale che è ciò che fornisce vigore al corpo, che gli permette di muoversi e che lo rende così prezioso: si tratta dell’involucro energetico di prana. A questo supporto energetico si rivolge, ad esempio, l'agopuntura; infatti, quando l'energia che supporta il corpo fisico non è ben distribuita, si possono verificare dei blocchi energetici. Progredendo verso livelli sempre più sottili successivamente al piano energetico si colloca l'involucro mentale, manomaya kosha, dunque l’involucro energetico dipende dalla mente. Pranamaya kosha è direttamente dipendente dalla nostra mente, dal nostro stato mentale e non è quindi possibile sviluppare energie ecologiche che sostengano il corpo se dapprima non si procede alla rieducazione della mente. Questo messaggio viene sostenuto dai rishi, i Maestri Spirituali appartenenti alla Tradizione Indovedica, ed è un insegnamento fondamentale di cui occuparsi immediatamente in quanto, come spiega Krishna nella Bhagavad-gita, la mente può essere la nostra migliore amica o la nostra peggiore nemica, può essere il tramite per il processo di guarigione o la causa di malattia, infermità, paralisi. La mente è quindi prioritaria nella ricerca della salute, prima ancora del corpo fisico, perché il corpo fisico ne è dipendente ed in questo scenario si inserisce l'affermazione di Giovenale “mens sana in corpore sano”. In generale mente e corpo sono talmente interdipendenti e così interagenti, che un guasto in uno dei due si trasmette quasi immediatamente nell'altro, perciò sono da curare simultaneamente. Per questo motivo Patanjali pone come primo step nella via della realizzazione spirituale codificata nei suoi Yogasutra alcune norme etiche fondamentali (yama e niyama) per l'armonizzazione della struttura psicofisica. Il sostegno dell'involucro mentale è l'involucro intellettivo, vijnanamaya kosha. A livello della dimensione psichica l'intelletto (buddhi) è costituito da convinzioni profonde, sulle quali le persone, consciamente o inconsciamente, fondano la loro vita. Tali convinzioni profonde, depositate nell'intelletto, sono il sostegno della struttura mentale. Ananda significa felicità inesauribile, beatitudine. Non è paragonabile al piacere dei sensi, in quanto il piacere dei sensi non rappresenta neanche l'ombra di questa felicità. Euforia, eccitazione, orgasmo, tutti hanno un inizio e una fine e quindi dalle persone sagge sono considerate prodotti illusori della vita umana. Quando l'essere è completamente soddisfatto nel sé non ha nessun’altra aspirazione; colui che prova ananda sperimenta un senso di comunione con tutte le creature, desidera diventare amico di tutti e infatti diviene benevolo nei confronti di tutti gli esseri viventi. La conflittualità infatti è segno di insoddisfazione, di sofferenza. Ananda è una caratteristica essenziale per mantenersi in salute; un proverbio napoletano popolare dice “a cor contento Dio provvede”. L'involucro intellettivo è dunque sostenuto da un involucro di beatitudine o gioia essenziale, anandamaya kosha, fondamentale per il nostro benessere fisico in quanto la soddisfazione interiore garantisce l'armonizzazione e l'equilibrio di tutte le altre strutture, fisiche, energetiche, psichiche, mentre un umore depresso o emozioni negative, come spiegato anche nell’intervento precedente al mio, quello del Professor Genovesi, incidono sul sistema immunitario deprimendolo attraverso la de-sincronizzazione ormonica. Ananda appartiene all'atman: la vera sorgente energetica della persona è di natura spirituale; non è energia fisica né psichica, ma energia spirituale, le cui caratteristiche, oltre ad ananda, sono eternità, sat, e coscienza, cit. Noi siamo entità spirituali, siamo atman e sat, cit, ananda sono caratteristiche per noi impossibili da perdere, qualsiasi cosa succeda, perché sono intrinseche, inseparabili da ciò che oggettivamente e intimamente siamo, sebbene possano essere più o meno appannate dall'ignoranza, neglette o atrofizzate.

IL “POPOLO” INCONSCIO.

Durante un percorso introspettivo si incorre in un bacino di esperienze che il soggetto vive come inconsce, quasi ignote, ma con le quali si trova ad interagire quotidianamente; tali esperienze inconsce possono essere individuali o comuni a varie creature e rappresentano parte integrante di questo universo nel suo complesso. E' quest'ultimo il caso, citando Jung, dell'inconscio collettivo. L'inconscio collettivo rappresenta il mondo degli archetipi, il mondo dei simboli, dove un americano, un indios, un abitante di Capo di Buona Speranza, un eschimese o un cinese alla fine hanno gli stessi essenziali sistemi di riferimento: è questa infatti la natura universale del simbolo. Cruciale diviene quindi il concetto di memoria, o ricordo, in sanscrito smritaya, ciò che si può ricordare sia a livello cosciente, sia a livello inconscio. Queste memorie sono tanto più condizionanti quanto più sono inconsce, in quanto se un ricordo o un pensiero cosciente possono essere temporaneamente e volontariamente messi da parte dalla persona che magari sta cercando di concentrarsi su altro, un ricordo inconscio, proprio per il suo carattere, non può essere gestito direttamente e consapevolmente dalla persona, la quale si trova invece ad essere agita da tali ricordi. Esperienze simili archiviate nell'inconscio profondo, karmashaya, si definiscono samskara, dove sam significa 'insieme', kara deriva dalla radice sanscrita kr che significa 'fare'; di per sé tali esperienze non hanno segno positivo o negativo, ma la loro importanza risiede nella potente influenza che esercitano sull'individuo, che generalmente pensa, sbagliando, di essere l'autore delle proprie azioni. Esperienze simili si attraggono e costituiscono poi solchi profondi nella psiche inconscia, veri e propri sentieri che il soggetto si trova sempre a percorrere, rinforzandoli ulteriormente. Questi solchi psichici sono rappresentati dalle tendenze individuali, vasana, anch'esse positive o negative. Dunque spesso veniamo agiti dall'inconscio senza saperlo, spinti dalle nostre tendenze che possono essere artistiche, scientifiche, di armonizzazione o sopraffazione, di pacificità o bellicosità e ovviamente, per divenire realmente padroni di noi stessi, dobbiamo compiere un'opera di bonifica verso tali tendenze, in particolare verso quelle negative: esistono tecniche molto precise e molto efficaci per poter, attraverso l'uso della volontà, trasformare i contenuti dell'inconscio: tale opera è essenziale al fine di intraprendere il percorso meditativo. Solo in questo modo potremo liberare la nostra capacità intuitiva, la via “del cuore”, che può andare bene solo se il cuore è stato adeguatamente purificato.

STRUMENTI DI CONOSCENZA: L'INTUIZIONE OLTRE LA PERCEZIONE.
Per conoscere infatti non possiamo basarci sulla percezione sensoriale, che come già accennato permette sì e no di conoscere lo 0,1% della realtà esteriore ed interiore, e non possiamo nemmeno basarci sulle informazioni diffuse nella società, specialmente in una società come quella in cui viviamo, altamente tecnologica, completamente estrovertita e finalizzata alla realizzazione di progetti esteriori, e dove i giudizi spesso sono pregiudizi. La capacità critica in questo caso rappresenta l'applicazione della massima socratica “sapere di non sapere”, e costituisce un invito a mettersi in discussione, a non accettare aprioristicamente qualcosa solo perché palese ai nostri sensi o alla nostra ragione, a mettere costruttivamente in dubbio le proprie convinzioni profonde. In tal modo è possibile travalicare la concezione di realtà ancorata al mondo fisico e psichico, superando la mera funzione razionale, l'intelletto che ha “l'ale corte”, come dice Dante, e riscoprendo quelle facoltà intuitive pure, tipiche della psiche infantile, che sono alla base anche delle moderne ricerche scientifiche. In quest'ottica non si vuole negare l'intelletto in generale, “il ben de l'intelletto”, sempre parafrasando Dante, poiché esso costituisce uno strumento d'indagine prezioso se non abusato a scapito di altri canali conoscitivi, da utilizzare opportunamente ma da cui essere liberi proprio come un saltatore con l'asta che, dopo averla utilizzata per compiere il salto, la abbandona per proseguire il volo. Tutte le grandi scoperte derivano da brillanti intuizioni e solo in un secondo momento vengono verificate sperimentalmente tramite le scienze positive, matematica, fisica o chimica, affinché risultino evidenti per tutti, non solo per chi le ha “partorite” in prima persona. Spiegare, condividere con altri le proprie scoperte o realizzazioni, sono sentimenti di compassione, karuna, e trasmettere e in maniera convincente, con il rispetto tipico dello spirito di offerta, è fondamentale per la crescita, non solo degli altri intorno a noi, ma anche individuale, in quanto quello che si dà agli altri ritorna tutto a noi e non c'è un modo di fare del bene a noi se non facendo del bene agli altri, offrendo loro quel che per noi è più prezioso.

L'ORIGINE PSICHICA DEL COMPORTAMENTO E DELLA PERSONALITA'.
L'agito ha un effetto straordinario su di noi, si rilascia una fotocopia in materiale mentale che va ad imprimersi nella nostra struttura psichica; qualsiasi cosa facciamo, qualsiasi cosa diciamo, pensiamo, desideriamo, lascia una traccia. Dunque sempre in riferimento a grandi insegnanti, conoscitori della psiche e dell'animo umano, dell'essere umano e soprattutto della sua natura divina e della sua prigione, sempre in termini platonici, e senza dispregio verso il corpo fisico, possiamo affermare che siamo dove siamo perché abbiamo desiderato, pensato, parlato e agito in un determinato modo. Questa visione è solo apparentemente deterministica perché in constante evoluzione: nel momento in cui stiamo parlando e nel momento in cui state leggendo, è già in essere una modificazione della vostra comprensione e dei vostri samskara. Ciascun desiderio, pensiero o parola origina manifestazioni fisiche corrispondenti; nei Veda la parola, vac, si definisce creatrice, crea i mondi, ed è proprio così, in quanto attraverso la parola esprimiamo il nostro stato d'animo e per questo motivo dev'essere più veritiera possibile, perché prima ancora di ingannare gli altri inganniamo noi stessi. La parola, al pari dell'azione, è tuttavia solo una manifestazione esteriore di un processo interiore, il processo di riflessione, vicara, di pensiero e prima ancora del desiderio. Nella Brihadaranyaka Upanishad viene spiegato che “l'uomo non è che desiderio”: diviene quindi essenziale selezionare i desideri, poiché ve ne sono in grande quantità nell'inconscio: “un'intera mandria di cavalli scalpitanti”, per usare una metafora platonica. Abbiamo il dovere di orientare, guidare, queste pulsioni che spingono dall'inconscio, non appena superano quella soglia di pensiero cosciente o coscienza in cui noi ne possiamo trarre consapevolezza. Il nostro temperamento è in ultima analisi il risultato di una concatenazione di desideri, pensieri, riflessioni, parole, azioni, azioni ripetute che, interagendo con componenti emotive più o meno forti, divengono tendenze, tratti salienti del carattere dai quali siamo agiti, se non li incanaliamo nel modo giusto. Per poter agire su queste fasi pressoché inconsce è necessario accedere a quella dimensione che sta al di là della della soglia della consapevolezza e per farlo si possono percorrere diverse vie: la meditazione, la preghiera e il sogno, che Freud indica come accesso regio all'inconscio”. Tutte queste vie possono aiutarci ad indagare la nostra dimensione interiore e ad estendere sempre di più la luminosità della nostra coscienza, restringendo il buio dell'inconscio, dell'ignoto, e andando a conoscere noi stessi più profondamente. L'applicazione pratica di tali tecniche richiede diverse conoscenze, teoriche e pratiche, di cui è possibile fare esperienza nella vita di tutti i giorni. L'esperienza della meditazione può permanere mentre parliamo, camminiamo, mangiamo, dormiamo: non facciamo meditazione semplicemente quando ci sediamo con le gambe incrociate. Per giungere ad una meditazione continuativa e quindi essere sempre consapevoli della nostra natura profonda e dell'interazione che abbiamo con il fenomenico esterno è importante però che teniamo in considerazione alcuni aspetti: in primo luogo il fatto che la nostra psiche è come un'arena in cui si scatenano continuamente, in lotta tra loro, titaniche forze di tendenze opposte. Queste tendenze a volte sono entropiche, a volte sintropiche, evolutive e involutive, di salute e di malattia. Esprimendosi con il potente linguaggio mitologico, si potrebbe indicare ciò come l'incessante lotta tra Bene e Male. Esistono degli ostacoli alla meditazione; questi ostacoli, secondo Patanjali, sono la distrazione, vikshipta, e l'annebbiamento della coscienza, l'ottundimento, l'abbassamento del livello dell'attenzione, mudha, laddove un'attenzione selettiva e sostenuta è fondamentale per la buona riuscita della pratica meditativa.

L'INDIVIDUALITA'.
Un altro aspetto centrale che dobbiamo considerare relativamente alla meditazione, concerne l'individualità: ogni soggetto è uguale solo a sé stesso, ognuno è un individuo, ognuno ha avuto un suo percorso, non esiste l'uguaglianza in questi termini, perché ognuno ha il proprio vissuto, ha fatto le proprie esperienze:

Io ho creato le quattro divisioni della società umana
sulla base delle tre influenze della natura materiale
e delle attività ad esse collegate;
sappi però che sebbene Io sia il creatore di questo sistema,
non agisco all'interno di esso perché sono immutabile.
(Bhagavad-gita IV.13)

Nel momento in cui il soggetto, l'essere spirituale, lascia un determinato corpo fisico, viaggia in una bolla psichica in cui è inglobato, costituita da samskara e vasana, e le tendenze più forti saranno quelle che in particolare determineranno la natura della nascita successiva e dunque il luogo, la specie d'appartenenza e altri fattori connessi ad un altro corpo materiale destinato ad essere abitato da quel particolare jiva. La struttura psichica differisce quindi per le esperienze che ci portiamo dietro dalle vite precedenti e, vita dopo vita, determina nascite diverse anche per gemelli monozigoti e che dire per “semplici” fratelli, compaesani, compatrioti o persone della stessa cultura. L'influenza esercitata dalle tre forze archetipe, guna, costituenti la natura materiale, prakriti, ed il bagaglio dei frutti relativi ad azioni compiute in tempi recenti e remoti, karma, sono diversi per ciascun individuo e dunque, quando un soggetto desidera avvicinarsi alla pratica meditativa, andrebbe conosciuto a livello personale perché ciascuno dev'essere aiutato e introdotto in una maniera speciale, peculiare a lui in base al proprio guna e karma.

LA LIBERTA'.
Se l'individualità, la specificità di quel particolare modello di personalità è unica, si deve riflettere sul concetto di libertà come naturale corollario ad essa. Nessuna pratica deve negare libertà all'individuo e nessun Maestro deve privare di libertà il proprio discepolo. Non dev'esserci suggestione, ma una libera scelta di obbedienza ad un'offerta, proposta da un modello ritenuto dalla persona superiore agli altri. Il rapporto con il meditante dev'essere sempre un rapporto rispettoso della libertà perché la persona potrà meditare nella misura in cui riuscirà ad essere libera; sicuramente farà degli errori, non riuscirà a rifuggire certi automatismi mentali ai quali magari è soggetta da chissà quante vite, non riuscirà immediatamente a rinunciare a qualcosa che è un ostacolo, un condizionamento, un'abitudine, un cibo, una bevanda, una relazione, un rapporto, ma se conosciamo la libertà e se riconosciamo la specificità di quel modello di personalità in transito, allora la persona sarà libera di esprimersi secondo il proprio livello coscienziale, senza nostre imposizioni distruttive, ma anzi con offerte mosse da puro spirito di bhakti, di relazione d'amore, prema, con un investimento affettivo, in quanto l'amore per definizione non ha bisogno di una contropartita, basta a sé stesso.

L'INTEGRAZIONE ARMONICA DELL'INDIVIDUO NELL'UNIVERSO.
Come ulteriore componente importante per la meditazione, è da citarsi l'integrazione sociale: non in senso corporativistico, tanto meno di casta. Per integrazione sociale s'intende in questo caso la capacità di interazione armonica, costruttiva, evolutiva, con qualsiasi creatura, l'attitudine di valorizzazione di ogni creatura, che siano uccelli, rettili, pesci e che dire uomini, potenziali compagni di viaggio da cui imparare, per progredire nello sviluppo. In un certo senso quanto descritto potrebbe rientrare in una delle più importanti astensioni indicate da Patanjali, ovvero la non violenza, ahimsa. Infine, fondamentale componente per l'efficacia della pratica meditativa, è la tensione spirituale, quel bisogno irrefrenabile che ogni essere umano ha di rivolgersi e orientarsi verso l'idealità. La meditazione non può prescindere da questa necessità di realizzare l'idealità dentro di noi. I principi di libertà, di giustizia e di amore sono irrefrenabili e ciascuno di noi tende a realizzarli per cui, nella misura in cui ci dedichiamo allo sviluppo di queste nostre idealità, diventiamo ecologici nel nostro ambiente, cioè favoriamo non solo le persone con le quali viviamo, ma l'ambiente in generale, e ci integriamo con l'umanità e con tutte le creature. Questa idealità, che può inizialmente sperimentarsi in maniera sporadica con una pratica meditativa saltuaria, dovrebbe diventare la modalità dell'intera vita, costante e quotidiana, se si vuole raggiungere la perfezione nella meditazione. La perfezione non esiste in senso umano, esiste un tendere verso, un muoverci verso, metterci in cammino verso, tuttavia, non c'è necessità di aver paura dell'agire pensando che siccome non siamo perfetti la nostra azione sarà imperfetta. La nostra azione sarà imperfetta comunque, ma se muoviamo i primi passi nella direzione giusta e se ci muoviamo verso la perfezione, ogni passo porterà gioia, quella gioia essenziale, interiore, piena soddisfazione, samtosha, appagamento, tushti, che rende la persona estremamente tollerante, estremamente umile. Non sono la posizione sociale, gli araldi che portiamo o i colori di qualsiasi divisa, a determinare il livello di realizzazione che abbiamo raggiunto, ma sono la nostra umiltà, la nostra tolleranza.

IL DISTACCO EMOTIVO COME CHIAVE PER UN PIACERE SUPERIORE.
Per questo motivo la conoscenza, la sapienza vanno trasformate in distacco emotivo, in distacco da ciò che non solo non serve, ma che è dannoso, e di ostacolo alla nostra evoluzione. Il primo livello di distacco da esercitare è ritrarre i sensi dai loro oggetti (pratyahara), fare in modo che non diventino cavalli selvaggi, evitando di contrastarli con violenza e repressione, ma incanalandoli in un progetto evolutivo, funzionale alla nostra crescita interiore. Questa rinuncia non è brutale privazione dettata da dogmatismo o pregiudizio, al contrario, è attraente ed efficace astensione che attuiamo naturalmente nel momento in cui sperimentiamo qualcosa di superiore:

L'anima incarnata può astenersi dal godimento dei sensi,
sebbene il gusto per gli oggetti dei sensi rimanga.
Ma se perde questo gusto sperimentando un piacere superiore,
resterà fissa nella coscienza spirituale.
(Bhagavad-gita II.49)

Letteralmente dal sanscrito param significa 'superiore' e drishtva 'avendo visto': quando abbiamo sviluppato una visione superiore, possiamo rinunciare ad una visione inferiore. Non dobbiamo temere l'inibizione: anche alcune aree cerebrali, così come alcuni organi del corpo, vengono inibiti quando facciamo qualcosa che richiede attenzione. Non è certo questa l'inibizione che ci preclude il viaggio evolutivo, al contrario è qualcosa che noi stessi dominiamo, che dunque possiamo gestire in maniera sensibile ed esperta rinunciando a qualcosa di inferiore a beneficio di qualcosa di superiore. Questo atto può definirsi ascesi, in sanscrito tapas, ovvero la capacità di rinunciare con un atto volitivo, con una scelta deliberata, a qualcosa di inferiore a favore dell'ottenimento di qualcosa di superiore; implica una straordinaria coerenza con una progettualità che mira alla liberazione dai condizionamenti, quindi allo scioglimento di tutti i samskara virulenti che condizionano i soggetti e muovono spinte irresistibili. Il beneficio di ciò si estende poi a tutti quei sensi di colpa o complessi, che popolano il nostro inconscio e che hanno avuto origine in qualche momento della nostra storia esistenziale, sciogliendone gli effetti negativi e liberando l'individuo dalla prigionia fino a quel momento subita. L'ascesi, sebbene non esaurisca in se stessa il significato di meditazione, ne costituisce e rappresenta una componente che non può essere trascurata; essa si accompagna alla preghiera e al retto agire, ovvero all'agire a beneficio di tutte le creature, arrecando il minor danno possibile, ahimsa, per esempio nutrendoci di cibi ottenuti con la minima violenza possibile: cereali, vegetali e legumi. L'obiettivo che dovremmo porci dovrebbe dunque essere quello di strutturare la nostra vita in maniera veramente progettuale, tendendo al raggiungimento del massimo livello evolutivo in questo segmento di esistenza e di conseguenza aspirando ad un eventuale corpo più evoluto nella vita successiva. Il Vishnu Purana spiega che esistono 400.000 sfumature evolutive all'interno della specie umana: esistono umani, subumani, sovrumani, santi e briganti, tante diverse tipologie quante sono le differenti strutture psichiche e le relative spinte ctonie che provengono dal profondo. Tali spinte possono anche agire l'uomo, dominarlo inesorabilmente e, se distruttive, antisociali, spingerlo fino a compiere orrendi crimini. La consapevolezza, anche da parte della giurisprudenza, che alcune di queste spinte sono irrefrenabili per il soggetto e non possono da lui essere controllate, ha fatto sì che tali casi non vengono condannati al carcere ma curati in speciali strutture, gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG). Tuttavia, prima di giungere a situazioni così estreme e compromesse, è possibile attuare profilassi, piani preventivi e risolutivi, di cui la meditazione fa parte e costituisce un esempio concreto.

PARTE SECONDA: Benefici della meditazione riscontrati a livello scientifico.

PREMESSE:
La meditazione (dhyana): secondo Patanjali è lo stato fra la contemplazione (darana) e il completo assorbimento (samadhi). Secondo la neuropsicologia rappresenta uno stato intermedio fra la veglia ed il sonno. La letteratura scientifica sull'argomento distingue fra due essenziali forme meditative, macrocategorie a loro volta contenenti diverse pratiche:
- Concentrazione: la coscienza si focalizza su un determinato “oggetto”, che sia un immagine, un suono evocato da un mantra, il respiro.
- Mindfulness Meditation, meditazione profonda: la coscienza si espande attraverso la consapevolezza non giudicante di propri stati interiori, a livello fisico, psichico ed emotivo. Lo scopo è accrescere l'equanimità: uno stato di accettazione, non reattività, in altre parole distacco emotivo dagli eventi. E' necessario escludere esterni stimoli distraenti, per raggiungere un più illuminato stato di coscienza. Coinvolge le seguenti funzioni: non giudizio – accettazione – consapevolezza del momento presente – attenzione e intenzione.

Non è possibile separare tout court queste due dimensioni, ma è preferibile identificare un continuum lungo il quale questi poli si dispongono e lungo il quale si alternano anche differenti pratiche meditative. La varietà di processi implicati nei differenti eserciti meditativi ha fatto sì che alcuni dei risultati sperimentali riscontrati in oltre 1500 studi condotti in merito, a partire dal secolo scorso, non fossero facilmente interpretabili né collegabili l'un l'altro. Gli effetti che sono stati indagati a livello scientifico riguardano essenzialmente caratteristiche di stato: modificazioni transitorie per il soggetto meditante, sia caratteristiche di tratto: modificazioni a lungo termine che permangono nel soggetto successivamente alla sessione meditativa pratica. Le modifiche funzionali, strutturali ed immunitarie registrate, si sono riscontrate sia a livello transitorio, sia a livello permanente, il che può ricondursi al generale concetto di neuroplasticità(1) (continuo rimodellamento delle connessioni sinaptiche interneurali), processo sul quale la pratica assidua e costante della meditazione influisce.

LIMITI ALL'INDAGINE SCIENTIFICA DELLA MEDITAZIONE:
Nello studio neuropsicologico della meditazione si sono riscontrati diversi limiti dovuti prevalentemente ai seguenti fattori:
- Innumerevoli tipologie di pratiche meditative anche molto distanti fra loro;
- Fattori soggettivi legati al campione: caratteristiche personali di introversione estroversione, ansia, età e simili;
- Fattori soggettivi legati alla pratica meditativa: livello di expertise raggiunto, di intenistà e simili;
- Limiti intrinseci alla strumentazione utilizzata.
Di seguito riporteremo in sintesi i principali risultati sperimentali ottenuti investigando fattori psicologici, fattori fisiologici e fattori clinici, implicati nella meditazione. Tali risultati vanno letti tenendo ben presenti le suddette premesse.

FATTORI PSICOLOGICI.
Gli approcci tipo Mindfulness, contrariamente a quelli di stampo cognitivista, non si focalizzano tanto sul pensiero, quanto piuttosto sulla relazione dell'individuo con i propri pensieri e, come già detto, si basano sull'osservazione non giudicante dei cambiamenti esterni ed interni così come emergono, in tempo presente. Mindufluness coinvolge tre funzioni: Intenzione + Attenzione + Attitudine. Anche se il focus non è ottenere cambiamenti cognitivo-comportamentali, di fatto questi si manifestano come conseguenza dell'essere Mindful; in particolare si è riscontrata una correlazione con:
  • Decremento pensiero automatico e reattivo associato ai sentimenti di compassione e calma derivanti dalla meditazione.
  • Migliore rievocazione di memorie autobiografiche.
  • Miglioramento nell'attenzione sostenuta.
  • Miglioramento dell'attenzione selettiva: inibizione di risposte a stimoli distraenti.
  • Miglior shift, alternanza del focus attenzionale.
  • Episodi di completa attenzione, totale assorbimento.
  • Decremento nell'arousal tipica risposta del SN Autonomo e incremento dell'attività corticale.
  • Veloce ritorno a condizioni normali di battito cardiaco e conduzione cutanea in seguito ad uno stress improvviso.
  • Percezione visiva: miglioramento nella detezione di segnali visivi presentati per breve tempo.
  • Regolazione emotiva.
Tutti gli effetti sopraelencati sono proporzionali all'intensità con cui si effettua la meditazione e dal livello di esperienza e di tempo nella pratica. Meccanismi che sembrano infatti sottendere la meditazione sono: abitudine, esposizione, desensibilizzazione ed estinzione di risposte automatiche apprese mediante condizionamento operante, grazie all'attivazione di circuiti inibitori frontali che hanno spezzato le associazioni fra pensieri (memorie, credenze, anticipazioni) e le loro concomitanti sensazioni corporee. La Mindfulness Meditation comporta l'abilità di essere presenti in tempo presente astenendosi dal pensiero rimuginante e giudicante, questo è stato dimostrato aumentare le difese immunitarie, aumentare un senso di equanimità chiarezza, empatia e favorire relazioni miglioro; soprattutto è stato dimostrato essere utile per creare una nuova strutturazione del pensiero e di conseguenza del cervello. Infatti, quando informazioni ed energia scorrono in determinati circuiti cerebrali, si generano i correlati anatomico-neurali dell'esperienza psichica. Riuscendo a canalizzare tale flusso di informazioni ed energia in maniera intenzionale, attraverso un training meditativo, è possibile modificare gli schemi psichici già presenti ed appresi tramite l'esperienza e i vari condizionamenti. La neuroplasticità consente infatti di rimodellare le reti neurali, spezzando le catene dei patterns abitudinari e attivando nuove connessioni. E' sufficiente la ripetizione di un compito per pochi mesi per attivare un processo plastico. Queste connessioni vengono rese salde dalla ripetizione costante dell'azione che le ha dapprima generate: tale ripetizione è la base per conquistare il passaggio da benefici di stato a benefici di tratto ed è una chiave fondamentale per garantire al soggetto una qualità di vita migliore, attraverso nuove prospettive indotte in modo intenzionale a livello cerebrale. La capacità di leggere la nostra mente, che si ottiene con la Mindfulness Meditation, consente quindi di orientare il nostro focus attentivo da vecchi a nuovi patterns psichici di varia natura, andando a migliorare la visione di sé (da storico-narrativa a immediata, presente), la rievocazione di memorie autobiografiche, gli schemi patologici di gestione emotiva e relazionale.
  • Percezione del dolore: attraverso un profondo stato meditativo è possibile indurre uno stato cerebrale sovrapponibile a quello dell'anestesia, riducendo l'attività cerebrale come in uno stato di riposo. Questo è stato dimostrato in uno studio su uno Yogi la cui attività cerebrale è stata registrata mediante EEG(2) mentre gli veniva fatto un piercing: il decremento di onde delta e theta a livello corticale, in particolare nella regione prefrontale e la comparsa di onde molto lente durante il piercing conferma l'ipotesi sopra riportata e conferma l'affermazione dello Yogi di non aver provato dolore. Particolare è il risultato riportato in un recente studio sugli effetti della Meditazione Trascendentale nella percezione del dolore ove si è riscontrata una differenza a livello cerebrale tra soggetti praticanti e soggetti non praticanti sottoposti a stimoli termici dolorosi, ma dove tuttavia, non si è riscontrata differenza in un'analisi soggettiva a posteriori: ovvero tutti i soggetti, indipendentemente dall'attivazione cerebrale registrata, hanno valutato gli stimoli dolorosi allo stesso modo. Questo effetto può essere ipoteticamente dovuto al fatto che sebbene tutti i partecipanti all'esperimento avessero percepito dolore in seguito alla somministrazione degli stimoli, i soggetti meditanti fossero stati molto meno turbati da essi e di conseguenza le aree cerebrali corrispondenti non si sono attivate come nei soggetti di controllo.

FATTORI FISIOLOGICI.
EEG.
Sia la concentrazione che la Mindfulness Meditation differiscono dal rilassamento secondo un indagine tramite EEG. In particolare la Mindfulness Meditation produce un aumento nell'attività di onde:
- Delta (regioni frontali e posteriori).
- Beta 1 (frontale, centrale, posteriore).
- Gamma: aumento dell'intensità e differenti patterns di distribuzione secondo le diverse pratiche meditative. Aumento della gamma-sincronia.
- Theta (regioni frontali): l'aumento dell'intensità di queste onde è proporzionale alla competenza acquisita con la pratica meditativa, quindi all'esperienza. Una meditazione di tipo Mindfulness produce un aumento maggiore rispetto alla concentrazione. Un ulteriore effetto abbondantemente dimostrato è l'aumento dell'attività theta a livello della midline frontale, prodotto dalle cortecce cingolata anteriore e prefrontale mediale e dorsolaterale ed è correlata con il livello di attenzione richiesto. Un aumento a livello di attività theta è correlato a sentimenti di pace interiore e con un minore contenuto di pensiero e una diminuzione di ansia.
- Alpha (centro-posteriore): anche solo il fatto di chiudere gli occhi determina minori stimoli sensoriali e di conseguenza crescenti onde alpha a livello occipitale. Viceversa l'aumento di stimolazioni sensoriali e di attenzione verso un qualcosa determina un decremento nelle onde alpha. Dunque l'incremento di onde alpha valutato con EEG e metodi di neuroimaging ha evidenziato un aumento di intensità correlato a una diminuzione dell'afflusso sanguigno nelle regioni corticali frontale inferiore, cingolata, temporale superiore e occipitale. Interessante è stato notare che l'intensità delle onde alpha fosse maggiore nei soggetti che meditavano durante la meditazione stessa rispetto alla situazione di controllo, ma questo aumento permaneva anche in stato di riposo se venivano confrontati i soggetti meditanti con i soggetti di controllo. Ciò determina un cambiamento apportato dalla meditazione sia a livello di stato, sia a livello di tratto: questi risultati non sono stati tuttavia confermati da tutta la letteratura sull'argomento. E' stato dimostrato che maggiore attività di onde alpha è associata a sentimenti di calma e positivi in generale, oltre che a più bassi livelli di ansia.

METODI DI NEUROIMAGING(3).
  • Si sono riscontrate differenze anche nella meditazione spontanea a la meditazione guidata, laddove la prima coinvolge l'attivazione del SN Autonomo Parasimpatico, con relative modifiche neurochimiche.
  • Diversi tipi si meditazione attivano diversi circuiti neurali, per esempio è stata riscontrata un'attivazione della corteccia cingolata dorsale sia per meditazione di tipo Mindfulness (Vipassana) sia con meditazione tramite mantra (Kundalini Yoga), ma solo nella prima è stata identificata un'attivazione a livello temporale destro. E' stata riscontrata in entrambi i gruppi una simile, seppur non sovrapponibile, attivazione delle cortecce frontali e parietali.

  • Aumento dello spessore corticale in entrambi gli emisferi: in particolare un'ampia regione a livello dell'insula e del solco frontale superiore e mediano destro e a livello del giro temporale superiore sinistro nella coda del solco centrale. Questa è stata la prima prova scientifica di una modifica strutturale indotta dalla pratica meditativa costante. La meditazione può prevenire l'assottigliamento della corteccia frontale dovuto all'invecchiamento, anche se in questo caso fattori neuroprotettivi ereditari non possono essere controllati.

  • Fattori neuroprotettivi indotti dalla meditazione: blocco della riduzione del volume della materia grigia causato dall'invecchiamento e mantenimento dell'abilità attentiva. Effetto riscontrato in particolar modo a livello del Putamen: struttura importante per la funzione attentiva e posturale. Questo risultato potrebbe avere notevole rilevanza clinica per il trattamento della ADHD.

  • Lateralizzazione emisferica: attivazione della corteccia prefrontale destra e sinistra i cui indici sono tono dell'umore e motivazione. Una maggiore intensità delle onde alpha a livello dell'emisfero sinistro indica una maggiore attivazione dell'emisfero destro durante la meditazione. Lateralizzazione destra per attivazione regioni talamiche. Suddividendo la pratica meditativa in fasi ha rilevato come ad ogni fase fosse associata l'attivazione di una particolare regione:
    - Sensazioni corporee = maggiore attivazione parietale e frontale superiore, se motorie attivazione della corteccia motoria supplementare che potrebbe rivelare il richiamo a schemi motori celati o inconsci.
    - Sensazione astratta di gioia = maggiore attivazione parietale e temporale superiore, compresa Area di Wernicke, attivazione sinistra derivante ipoteticamente dalla richiesta verbale astratta del compito o dall'associazione fra l'attività sinistra dominante per i soggetti destrimani e dalla valenza positiva del sentimento.
    - Visualizzazione meditativa: forte attivazione del lobo occipitale, tranne area V1 in quanto area non necessaria per la consapevolezza visiva.
    - Rappresentazione simbolica del sé = attivazione parietale bilaterale.
  • La produzione di dopamina cresce durante la perdita di controllo cognitivo che avviene nella meditazione di tipo Yoga Nidra. In questo particolare tipo di meditazione il soggetto si astiene dalla volontaria applicazione di volontà nell'agire e e diviene un osservatore neutrale e distaccato. In questo studio è stato rilevato che questa mancanza di desiderio per l'azione è correlata con un decremento nell'afflusso si sangue nelle regioni prefrontali, del cervelletto e subcorticali, circuiti esecutivi dell'azione. In questa condizione è stato rilevato un aumento di dopamina endogena a livello dello striato ventrale. Questo studio è il primo che evidenzia una regolazione dello stato di coscienza con effetti a livello sinaptico ed ormonale.
  • La lettura di salmi e per esteso anche di mantra vedici o scritture sacre in genere, produce in chi è religioso un aumento dell'attività prefrontale dorsolaterale e parietale mediale destra, rispetto a letture non religiose; probabilmente ciò è dovuto al fatto che tale circuito è implicato nell'attività cognitiva che elabora sensazioni emotive. La Preghiera determina un aumento dell'afflusso di sangue a livello parietale inferiore, prefrontale e frontale inferiore.
  • La meditazione riduce il tasso metabolico dell'organismo mentre la respirazione lo aumenta. In generale la meditazione favorisce la sincronizzazione cardio-respiratoria.

  • Effetti immunitari della meditazione: incremento degli anticorpi antinfluenzali.

  • La difficoltà nella meditazione decresce proporzionalmente alla pratica effettuata.

  • Comportamenti ritualistici, ritmici e lenti, stimolano il sistema parasimpatico il quale, raggiungendo livelli altissimi di attivazione, innesca i meccanismi inibitori dell'ippocampo, con il risultato di avere una deafferenzazione dell'area dell'orientamento con conseguente sensazione di unione “col tutto” tipica dell'estasi mistica. Allo stesso modo la danza o qualsiasi attività ritmica, producono stimolazioni del Sistema Nervoso Autonomo, inducendo stati di piacere: la ripetizione di un mantra, l'inalare incensi e altre singolari routine inducono più facilmente il raggiungimento di stati alterati di coscienza.
APPLICAZIONI CLINICHE.
Benefici fisiologici:
  • Migliore gestione delle emozioni negative, percezione del dolore inclusa, ed in generale differenze individuali negli stati affettivi, che potrebbero essere dovute ad un'alterazione dell'equilibrio interemisferico.

  • Funzione immunitaria.
  • L'attivazione della corteccia prefrontale è in stretta correlazione con l'attivazione del circuito del piacere, in particolare si può suddividere tale porzione cerebrale in due parti: la ventromediale e la orbito frontale. La prima è connessa all'elaborazione di emozioni spesso negative ed infatti è iperattiva negli stati di ansia e depressione; la seconda è il centro dell'attenzione, della memoria di lavoro e della percezione del tempo. La meditazione si è dimostrata avere effetti su quest'ultima svolgendo quindi importanti effetti antidepressivi.
  • Rilassamento profondo che non ottunde l'attenzione, bensì la potenzia.
  • Maggior controllo dei circuiti neuroendocrini e quindi miglior gestione dello stress:
    - Regolazione del cortisolo, fondamentale ormone dello stress.
    - Aumento notturno della melatonina.
    - Riduzione della noradrenalina: ormone prodotto da ghiandole surrenali quando si è sotto stress.
    - Aumento della serotonina: importante per la regolazione dell'umore (antidepressivo), della fame, della sete e del sonno.
    - Aumento del DHEA (dedroepiandrosterone).
    - Aumento del testosterone.

  • Maggior coerenza cerebrale, migliore comunicazione fra gli emisferi e capacità di adattamento:
    - Maggiori livelli di coerenza e sincronizzazione cerebrale intra ed inetremisferica.
    - Il cervello dei meditanti sembra poter ridurre il sovraccarico di input, semplificando la complessità.
Benefici personali:
- Sviluppa la tolleranza.
- Promuove un atteggiamento non giudicante.
- Aiuta le persone a vivere bene le situazioni incerte e instabili.
- Stimola le persone a prendere contatto con se stesse e con la propria coscienza.
- Sviluppa la responsabilità personale.
- Organizza sentimenti che permangono.

Benefici clinici:
- Disturbi d'ansia.
- Disturbi della pelle correlati allo stress.
- Depressione.
- Patologie compulsive e dipendenze da uso di sostanze.
- ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività).
- Disturbi connessi allo stress.
- Patologie ossessive.
- Disturbi di personalità: borderline, narcisistica.
- Disturbi alimentari: bulimia.
- Dolore cronico.
- In generale migliora la consapevolezza e la stima di sé, gli stili di vita e riduce le recidive.

Di recente sono stati identificati diversi paradigmi terapeutici che abbinano esercizi di varia natura con pratiche meditative di altrettanta varia natura e che sono stati utilizzati nel trattamento di diverse patologie:
  • MBRS Mindfulness-based stress reduction: formulato essenzialmente per pazienti affetti da stress e dolore cronico, è strutturato come una serie di incontri settimanali in gruppi da circa 30 partecipanti per 8-10 settimane. In gruppo si discutono strategie di coping, di stress e si assegnano compiti che poi i partecipanti dovranno svolgere individualmente. I partecipanti devono condurre individualmente 45 minuti di esercizi quotidianamente per 6 giorni la settimana. Questo tipo di tecnica comprende diverse pratiche come l'Hatha yoga, la focalizzazione su un oggetto (postura del corpo, respiro...) ed in generale devono cercare di mantenere uno stato di coscienza da osservatori e distaccato in ogni attività che compiono: mangiare, passeggiare...L'obiettivo è non identificarsi con i pensieri, emozioni, sensazioni che scorrono nella mente, lasciarli fluire senza giudicarne il contenuto, osservandone semplicemente il transitare come fossero onde del mare; l'attenzione deve rimanere sul focus stabilito.
  • MBCT Mindfulness Based Cognitive Therapy: come il precedente ma con l'aggiunta di una elaborazione da farsi sui pensieri esplicitando la differenza fra il soggetto ed il pensiero avuto, per esempio ripetendosi: “io non sono i miei pensieri”. Questo trattamento è stato applicato per prevenire ricadute in stati di depressione maggiore poiché si pensa eviti il pericolo del degenerare dei pensieri in rimuginazioni poiché il soggetto si distacca emotivamente dai pensieri non entrandovi a capo fitto.
  • ACT Acceptance and commitment therapy: sebbene non sia una tecnica meditativa ha i medesimi scopi dei precedenti approcci ovvero: osservare in modo distaccato i pensieri e non identificarsi con essi.
  • DBT Dialectical behaviour therapy: considera la realtà come una manifestazione di forze contrastanti in cui il soggetto si attiva per cambiare le abitudini negative che possiede, ma accetta serenamente la sua condizione quale situazione in cambiamento.
  • Relapse Prevention: utilizzata per i disturbi da dipendenze: le crisi di astinenza vengono viste come increspature dell'oceano da cavalcare che poi passano.
I fattori che in questi approcci permettono uno sviluppo positivo dell'individuo sono: l'esposizione allo stimolo, fronteggiandolo ripetutamente con distacco, senza volerlo rimuovere o evitare; il cambiamento cognitivo nella valutazione di quel pensiero o emozione; l'osservazione di sé, il rilassamento e l'accettazione.

(1) La neuroplasticità consente di rimodellare le reti neurali, spezzando le catene di patterns abitudinari e attivando nuove connessioni. E' sufficiente la ripetizione di un compito per pochi mesi per attivare un processo plastico. Queste connessioni vengono rese salde dalla ripetizione costante dell'azione che le ha dapprima generate. Semplicemente ponendo attenzione costante e focalizzata sulle estremità del proprio corpo, praticanti di thai Chi hanno dimostrato un aumento nell'acuità tattile. Questa acuità nella percezione tattile era tanto maggiore quanto più giovani erano i praticanti e direttamente proporzionale agli anni di pratica effettuati. Ulteriori esempi di questa importante funzione cerebrale che fino a poco tempo fa si pensava essere esclusiva di alcune fasi della vita umana, prevalentemente infantile nei cosiddetti periodi critici, sono costituiti dalle osservazioni svolte su tassisti londinesi e musicisti. I primi hanno mostrato un ippocampo destro, fondamentale per il loro lavoro, molto più sviluppato, mentre i secondi, così come altri soggetti che per mestiere o passatempo compiono movimenti routinari in maniera costante, ampliano l'area corticale motoria primaria che sottende tali movimenti e, qualora si trovino ad utilizzare strumenti di qualsivoglia genere, per esempio racchette per i tennisti, si trovano ad ampliare il loro campo percettivo non limitandolo al proprio corpo, ma estendendolo al tool così ripetutamente utilizzato.

(2) -EEG – Registrazione dell'Attività Elettrica Cerebrale:
- Onde delta (0.5-4 Hz) = presenti durante il sonno non REM e associate a condizioni patologiche tipo il tumore.
- Onde theta (4-8 Hz) = associate all'allerta, all'attenzione, alla risposta a compiti cognitivi e percettivi, all'orientamento alla memoria di lavoro e all'elaborazione emotiva; ci sono due tipi di attività theta, di cui una connessa a livelli più bassi di allerta. In generale un'attività theta accresciuta, è indicativa di un aumento nell'elaborazione cognitiva e della consapevolezza.
- Onde alpha (8-12 Hz) = presenti in stato di rilassamento e di cessata attività cognitiva: non appena un individuo comincia un compito cognitivo l'attività alpha cessa e questo fenomeno è detto alpha blocking o desincronizzazione. La desincronizzazione più elevata di bande alpha indica un aumento nell'elaborazione cognitiva e nell'attenzione a stimoli esterni, mentre la sincronizzazione riflette un'attenzione interna. Alpha veloce indica un'attività cognitiva connessa al compito specifico, mentre lenta indica un'attività cognitiva non connessa al compito.
- Onde beta (12-30 Hz) = legate ad attività cognitive, allerta.
- Onde gamma (30-70 Hz) = associate a attività significative e all'integrazione della singola informazione in un tutto coerente.


(3) METODI FUNZIONALI - NEUROIMAGING: la quantità di sangue che irrora un dato tessuto ed il metabolismo dipendono dal grado di attivazione di quella determinata area. Questi metodi utilizzano un tracciante che con varie metodologie viene poi rilevato, indicando l'apporto maggiore di flusso ematico alle zone cerebrali che saranno più coinvolte nel particolare compito cognitivo valutato. Tali metodi sono:
Misurazione del FLUSSO EMATICO CEREBRALE.
SPECT Tomografia ad Emissione di Singoli Fotoni.
PET Tomografia ad Emissione di Positroni.
f-RMI Risonanza Magnetica Funzionale.